UN LAICATO MISSIONARIO

By Carlo Ghidelli
Pubblicato il 5 Luglio 2016

È degno di grande attenzione l’inizio del n.21 del decreto sull’attività missionaria della chiesa. Esso recita: “La chiesa non è realmente costituita, non vive in maniera piena e non è segno perfetto della presenza di Cristo tra gli uomini, se alla gerarchia non si affianca e collabora un laicato autentico”. Mi torma alla mente ciò che ebbe a dire un giorno Giovanni Paolo II: “Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non integralmente pensata, non fedelmente vissuta”.

Quello che il papa afferma della fede che si fa cultura, vale anche per ogni comunità di fede che, attraverso i ministeri laicali, fa di tutto per evangelizzare le culture o per inculturare il vangelo.

 

  1. Cittadini di due città

 I fedeli laici appartengono allo stesso tempo al popolo di Dio e alla società civile. Appartengono alla propria nazione, al suo sviluppo cooperano e danno un personale contributo con la loro professione; sentono i suoi problemi come loro problemi e si sforzano di risolverli». Questa è la prima faccia della medaglia: quella che, in termini generali alla scuola di sant’Agostino, si chiama appartenenza alla città terrena, che costituisce il campo e l’ambito della testimonianza di ogni credente.

Per questo i padri conciliari aggiungono: “Ma essi appartengono anche a Cristo, in quanto nella chiesa sono stati rigenerati attraverso la fede e il battesimo, perché rinnovati nella vita e nell’azione siano di Cristo e in Cristo tutto a Dio sia sottoposto, e finalmente Dio sia tutto in tutti” (n.21). Alla città terrena si aggiunge, senza contrapporsi, la città celeste, meta e approdo di ogni itinerario di fede.

Queste ultime parole sono mutuate dalla prima lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Corinto (15,28), là dove chi scrive afferma che, una volta posta ogni cosa sotto i suoi piedi, Cristo si presenterà davanti al Padre per rendergli conto della missione compiuta

 

  1. Gerarchia dei valori

“Principale loro compito, siano essi uomini o donne, è la testimonianza di Cristo, che devono rendere con la vita e con la parola nella famiglia, nel ceto sociale cui appartengono e nell’ambito della professione che esercitano”. Con la vita e con la parola, espressione che ricorre spesso nei documenti conciliari per dire che la nostra testimonianza deve essere integra e integrale, non parziale o parcellare.

“In essi – proseguono i padri conciliari – deve realmente apparire l’uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera” (letteralmente, santità che viene dalla verità). Questa volta il riferimento dei padri conciliari va alla lettera di Paolo ai cristiani di Efeso dove, nel solco del pensiero sapienziale e apocalittico a “verità” si dà una pienezza di significato che ne richiama l’uso giovanneo: è la rivelazione centrata su Gesù e stimolante il pieno consenso dell’uomo all’azione di Dio.

 

  1. Un ruolo insostituibile

 “Questo compito è reso ancora più urgente dal fatto che moltissimi uomini non possono né ascoltare il vangelo né conoscere Cristo se non per mezzo di laici, che siano loro vicini” (n.21). Affermazione nitida che induce a riflettere a ad attualizzare il pensiero dei padri conciliari.

Ciò che essi avevano in mente non poteva essere espresso in modo più chiaro e forte: veramente il vangelo di Gesù non può arrivare in certi ambienti umani se non mediante la presenza, a volte silenziosa ma sempre efficace, di fedeli laici, uomini e donne, profondamente convinti che il loro ministero è assolutamente necessario, oggi come lungo i secoli della storia della chiesa.

Sì, perché si tratta di un vero e proprio ministero, anche se non riceve benedizioni speciali e ufficiali. È questo uno dei doni più preziosi che il concilio Vaticano II ci ha lasciato in eredità: la chiamata dei fedeli laici ad essere parte attiva e, sotto certi aspetti insostituibile, nell’attività missionaria della chiesa.

 

Missione e battesimo

Uno dei doni più grandi che i padri conciliari hanno lasciato a noi, che siamo i fortunati eredi del Vaticano II consiste proprio nell’aver sottolineato fortemente il rapporto tra missione e battesimo. Se è vero, infatti, che cristiani non si nasce ma si diventa, è altrettanto vero che missionari lo diventiamo in forza del dono dello Spirito Santo, che ci è stato dato fin dal battesimo. Si tratta dunque di prenderne coscienza e di cedere all’evidenza. Ma che cosa possiamo fare per ricuperare questa consapevolezza? Come risulta dall’insegnamento complessivo del Vaticano II, occorre anzitutto puntare sulla formazione cristiana in seno alle famiglie. Se non si parte dai primi anni si arriverà sempre tardi.

 

Parole di papa Francesco

Il restare, il rimanere fedeli implica un’uscita. Proprio se si rimane nel Signore si esce da se stessi. La novità ci fa sempre un po’ di paura perché ci sentiamo più sicuri se abbiamo tutto sotto controllo. E questo avviene anche con Dio; ci è difficile abbandonarci a lui con piena fiducia, lasciando che sia lo Spirito Santo l’anima, la guida della nostra vita.

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