Ad un certo punto della vita, tutti i giovani cominciano a desiderare di uscire più coi loro amici, il cosiddetto gruppo dei pari, che seguire i genitori. Si tratta di un passaggio importante nel processo di crescita durante il quale iniziano a intessere relazioni, affetti e a formare parte di quel bagaglio che contribuirà al percorso di maturazione dell’individuo e allo sviluppo della personalità.
Gabriele dell’Addolorata è undicesimo di tredici figli: dopo di lui sono nati solo Vincenzo (1839-1882) e Rosa (1840-1841). Data la prematura scomparsa di Rosa, solo Vincenzo è più giovane di lui (di appena un anno!).
A 18 anni, un giovane della Spoleto bene dell’ottocento, avrebbe forse voluto avere una vita sociale più attiva e frequentare salotti, teatri, e altre occasioni di vita mondana. Gabriele lo sa bene: lui che tanto amava il teatro, le conversazioni e la lettura dei romanzi…
Tuttavia, dato che sono quasi coetanei, è lecito pensare che Gabriele comprenda bene pulsioni, desideri e istinti del fratello Vincenzo. Altrettanto però, alla luce della scelta che ha fatto di consacrarsi coi voti tra i passionisti, è lecito ritenere che abbia riletto la sua storia alla luce di una sapienza che non è del mondo, ma ispirata da Dio e – nel caso di Gabriele dell’Addolorata – da Colei che chiamava Madre e Avvocata, la Vergine Maria. Probabilmente, proprio questo l’avrà indotto a riconsiderare alcune sue azioni riconoscendole – col senno di poi – come imprudenti e pericolose.
Così, il 15 novembre 1857, scrivendo al papà Sante, dopo averlo rassicurato circa la propria salute, si raccomanda che vigili su Vincenzo: non vi contentate o papà mio, di fare come facevate con me di raccomandarlo, forse ogni giorno; ma prendete misure, fate passi, caro padre.
Gabriele dell’Addolorata non era certamente un “bacchettone” (tutt’altro!). Era però uno che aveva così a cuore i propri cari da desiderare di risparmiare loro alcune cose di cui si è pentito e di cui fa ammenda dicendole al padre: quanti sospiri mi fanno dare tali cose! e posso dirvi sinceramente che, da che io cominciai a frequentare tali luoghi, non più studiavo, ero pieno di raggiri. E ancora: l’altra cosa, che io piango e sospiro, si è quei libri [sic!], maledetti romanzi; non li avessi mai letti; sembravano innocenti, ed erano tanti diavoli.
A distanza di quasi 170 anni da quando queste parole sono state scritte, conservano una così grande attualità e sapienza che le raccomandazioni fatte a quelli di casa, sembrano rivolte ai genitori e ai giovani di oggi…
Ai primi Gabriele sembra raccomandare la vigilanza sui giovani: non si tratta di opprimere, ma di continuare a tenere un occhio amoroso – attento e vigile – sui giovani che si preparano alla vita adulta, in quelli che sono gli ambiti della loro vita sociale (una volta teatri e conversazioni, oggi forse più le piazze virtuali e i moderni sistemi di messaggistica).
E ai secondi, anche se non lo scrive espressamente, sembra suggerire di pensare alle proprie azioni con uno sguardo rivolto al futuro perché le scelte fatte oggi, un giorno potranno diventare consolazione e piacevole ricordo, o motivo di inquietudine e rammarico.
Gabriele, da 100 anni patrono della gioventù, è veramente il santo per i giovani di oggi e di sempre.
