UN COTTO DI…VINO

una scommessa vinta con ricerca e qualità
By Gino Consorti
Pubblicato il 3 Settembre 2016

È quello prodotto da Ezio Di Giacomo e Mariarosa Dei Svaldi, una coppia veneto-abruzzese proprietaria di una cantina situata allE porte del Parco nazionale del Gran Sasso. Una passione antica per un prodotto particolare che ha ricevuto anche gli apprezzamenti di alcuni chef stellati. L’ultimo nato è il vino da messa certificato dalla curia vescovile e realizzato secondo i dettami del diritto canonico

«Frutto della vite, naturale, sano, genuino, sincero, senza aggiunta alcuna di lieviti o conservanti secondo procedure e metodi di tradizione locale, maturato in botte. Viene preparato, imbottigliato e sigillato secondo i dettami del diritto canonico». Recita così il retro dell’etichetta che campeggia su un’elegante bottiglia contenente il vino da messa realizzato da Ezio Di Giacomo e da sua moglie Mariarosa Dei Svaldi, titolari dell’azienda agricola abruzzese La Civetta, situata a Montorio al Vomano, in provincia di Teramo. Attenzione, parliamo di un grande vino, un cotto pregiato figlio della grande passione e della continua ricerca messe in campo dalla coppia veneto-abruzzese. Lui, infatti, teramano doc, sin da bambino ha respirato i profumi della cantina e contemplato le sensazioni coinvolgenti proprie dei vari passaggi, dalla raccolta dell’uva al riposo in botte. Lei, invece, è originaria del Veneto, precisamente di Santa Croce del Lago (Belluno) ed ha scoperto l’Abruzzo da ragazza, innamorandosene in tutti i sensi, “grazie” al lavoro itinerante di suo padre. Così, una volta all’ombra del Gran Sasso, ha sposato l’uomo della sua vita e il suo progetto del vino cotto. Un doppio “matrimonio” che oltre a figli e nipoti ha generato anche la caratteristica Cantina dello Stù (prende nome da un tipico e antico gioco di carte montoriese, ndr), appoggiata su un ex frantoio alle porte del Parco nazionale del Gran Sasso dove sapori e odori si fondono a meraviglia inebriando gli avventori con prodotti tipici del territorio la cui qualità è un marchio di fabbrica.

Ma torniamo al vino da messa su cui c’è il sigillo del vescovo della diocesi Teramo-Atri, monsignor Michele Seccia, che ha personalmente scelto l’etichetta. Prendendo spunto dall’Anno Santo della Misericordia il presule ha infatti optato per la Resurrezione di Cristo, un’opera del pittore rinascimentale Andrea di Litio custodita nella cattedrale di Atri, in provincia di Teramo. Il suo è stato un sì entusiasta e immediato all’iniziativa, anche perché nella sua storia antica il vino cotto può vantare un parterre di estimatori di prim’ordine: papi, re, principi. Le cronache, ad esempio, raccontano che nel 500 Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III, menzionò il vino cotto esaltandone la bontà e la qualità elevandolo alla dignità del rito sacrificale della santa messa. Vista allora la storia millenaria di questo apprezzato elisir dal gusto morbido e profumato, siamo andati a vedere cosa accade nel “laboratorio” montoriese. A farmi da Cicerone, ovviamente, Mariarosa Dei Svaldi, un vulcano di idee ed energie. Donna dal carattere tracciante, di quelli che contagiano, pronta a ogni sfida che arriva dal mondo del lavoro e che solletica la sua mente. Sia lei che suo marito nella vita fanno altro per mestiere, il vino cotto è una straordinaria e travolgente passione. Una di quelle a cui non è possibile resistere. Un hobby costoso, sia in termini economici che di tempo, il cui appeal, però, è irresistibile… Interior designer, direttore artistico, operatrice culturale, scrittrice, fondatrice di una galleria d’arte. Insomma Mariarosa De Svaldi non corre sicuramente il rischio di annoiarsi, tanti e vari sono i suoi interessi che allungherebbe volentieri di qualche ora le giornate. Il problema – o la fortuna – è che già saprebbe come riempirle…

Lei sul vino cotto da anni porta avanti una difficile ma quanto preziosa ricerca, testa e cuore sono sempre rivolti alle antiche tradizioni, a quel sapere autoctono che rappresenta passato e futuro di una comunità, di un paese, di una nazione. Ora, però, sono arrivato. Mi aspetta nell’accogliente cantina e io, allora, non posso che dare la parola alla padrona di casa.

Come nasce la vostra azienda agricola?

Sin da piccolino mio marito, insieme agli zii, tirava l’alba in cantina preparando il vino cotto. Da quel bellissimo ricordo d’infanzia, dunque, si è pian piano sviluppata la passione. L’azienda si chiama La Civetta ma noi preferiamo farci identificare come Cotto d’amore perché attorno a questo felice gioco di parole nascono diversi progetti. È la nostra bottiglia più amata che caratterizza la nostra produzione e attribuisce il nome a tutta la linea. Cotto d’amore è frutto di una combinazione di mosto cotto ottenuto dalla riduzione di uve pure di Montepulciano d’Abruzzo, un tranquillo riposo in botti pregiate e un microclima fluviale che ne custodisce l’invecchiamento.

In quanti siete a lavorarci?

Al momento io e mio marito, mentre saltuariamente ci avvaliamo dell’opera di altri. Spero che a breve anche nostra figlia possa seguire la stessa strada.

Vendete solo il vino cotto?

In realtà il vino cotto è quello che ci porta maggior lavoro in quanto la produzione non si esaurisce certamente con la cottura. Recentemente, poi, abbiamo aderito al concorso della patata turchesa, e tra i vari prodotti abbiamo anche l’olio, i formaggi, le olive e i ceci di antica tradizione e la composta di Montepulciano…

In che consiste quest’ultima?

Alla fine della cottura del mosto conserviamo una bollitura integra da cui, poi, tiriamo fuori la composta.

Navigando in internet mi sono imbattuto anche in una invitante mousse d’amore…

In quel caso abbiamo chiesto alla bravissima e conosciuta Cesira Pinciotti di Montorio, referente del blog Cucinar Cantando, di inventarsi con l’utilizzo del vino cotto un dessert innovativo ma nello stesso tempo ricco di tradizione. Ne è venuto fuori un dolce al cucchiaio spettacolare che in un concorso si è guadagnato anche il premio della giuria presieduta dal noto chef Bruno Barbieri. Ha una base che fa riferimento al croccante e alla pizza dolce di tradizione, quindi la spuma di ricotta fresca di pecora e naturalmente il vino cotto d’amore…

Come nasce questa grande passione per il vino cotto? Una bevanda che fino a poco tempo fa era abbinata solo al dessert…

È frutto della nostra ricerca. Il primo vino cotto vede la luce nell’ottobre di 17 anni fa, in corrispondenza con la nascita della nostra prima nipotina Isabella. In quella occasione è stata fondata la prima serie di botti della produzione riserva Isabella. Si tratta del nostro vino di maggior pregio ottenuto dalla riduzione di mosto di Malvasia, Passerina, Chardonnay, Mondonico e Montepulciano.

E l’idea del vino da messa?

Dall’evoluzione di tutto ciò. Ho iniziato a studiare la storia e non nascondo che è stata una ricerca faticosa in quanto ci sono pochi riferimenti in merito. Così mi sono affidata, come faccio di solito, ai racconti degli anziani e di quanti avevano notizie, riempiendo un registro con tutte le testimonianze. Quando poi nel 2015 papa Francesco ha indetto il Giubileo straordinario della Misericordia è scattata la molla… In quell’anno, tra l’altro, è nato il nostro secondo nipote Tommaso… A quel punto ho avuta subito chiara la progettualità e come prima cosa abbiamo contattato il vescovo di Teramo-Atri monsignor Mi-chele Seccia. Ho incontrato una persona veramente speciale.

Qual è stata la sua prima reazione al progetto?

Di umana attenzione. L’ha sposato immediatamente mostrando grande disponibilità e intelligenza. Ha intuito le potenzialità e il fatto che possa diventare un valore aggiunto per tutto il territorio. La sua premura e il suo guardare oltre mi hanno veramente stupita.

Il vescovo, però, ha apportato dei cambiamenti all’etichetta. Tu avevi proposto Cotto d’Amore

Sì, ma nel nome non c’era nulla di blasfemo, non c’era alcuna volontà di fraintendimenti. Parliamo infatti di un prodotto d’eccellenza del territorio abruzzese salvato dalla Regione Abruzzo nel 2000. Gli ho sottoposto, dunque, non solo la storicità ma anche la definizione legislativa del vino. Nel fronte deve essere definito solo come vino in purezza. Il diritto canonico, infatti, pretende che questo vino sia puro e frutto solo della vite. Come immagine, poi, ha scelto il particolare di un affresco del duomo di Atri.

Puoi riassumerci i vari passaggi della produzione del vostro vino cotto?

L’ingrediente principe, ovviamente, è il mosto, figlio dell’uva precedentemente diraspata. La lavorazione del mosto va fatta nelle ore immediatamente successive alla riduzione tramite bollitura. In pratica si aggiunge una percentuale variabile di mosto di spremitura che consente di far ripartire la fermentazione precedentemente bloccata dalla evaporazione in cottura. Più che una cottura, infatti, dev’essere un’evaporazione lenta e graduale. Originariamente il contenitore era di rame ma negli ultimi anni mio marito si è convertito all’acciaio per una maggiore sicurezza, anche se in realtà il mosto non viene mai lasciato a raffreddare nel contenitore. Viene tolto ancora in fase d’evaporazione per cui in teoria non ci sarebbe alcun problema.

Una volta sulla fiamma di quanto deve ridursi il volume del mosto?

Varia tra il 40 e il 60 per cento, dipende molto dal grado zuccherino delle uve e dall’energia con il quale il mosto si muove. In questo caso entra in campo l’esperienza… Successivamente il mosto viene alloggiato in contenitore d’acciaio dove viene fatto raffreddare e riposare fino alla primavera successiva. In questo periodo viene rinvigorito con il mosto fresco perché durante la cottura muoiono tutti i lieviti naturali. In maniera assolutamente naturale, dunque, si ridona la giusta potenza facendo ripartire la fermentazione. Non dimentichiamo, infatti che si tratta di un prodotto naturale al 100 per cento, privo di alcuna contaminazione chimica,

A primavera, dunque, quando, iniziano i primi caldi il mosto viene messo nelle botti di rovere che completano il lavoro. Per quanto tempo deve maturare?

Qui nasce la nostra differenza di produzione…. Dopo tre anni si ha la definizione di vino cotto, ma naturalmente più si affina in botte più acquista morbidezza e gusto.

Da quanti vini è composta la vostra linea?

Come dicevo il nostro vino riserva Isabella ha quasi 17 anni ed è la nostra punta di diamante… Poi della stessa linea ma con meno invecchiamento (sette anni) abbiamo il Fiasco di San Rocco, presentato nella classica bottiglia impagliata del Chianti in ricordo della grande tradizione vitivinicola italiana. A seguire troviamo il , una linea “velocissima” di tre anni votato alla ristorazione, è un vino più beverino, il Cotto d’Amore e il Vino da messa che è sulla scia del Cotto d’Amore come disciplinare di produzione e annosità (circa sei anni di invecchiamento). Ovviamente parliamo di una produzione potenziale in quanto in mancanza di richiesta i vini restano in botte. Al momento non abbiamo ancora una vigna – è in fase di realizzazione – quindi l’uva la comperiamo. Tra le varie linee abbiamo una produzione annua complessiva di circa 4.500 bottiglie.

Chi sono i vostri clienti?

Diciamo che è una platea diversificata. Ci sono gli estimatori che conoscono il vino cotto e che quindi fanno un acquisto mirato all’annosità e alla tipologia di consumo. Poi ci sono i giovanissimi che riscoprono questo vino e se ne innamorano. Noi stiamo portando avanti un progetto che possa far guardare a questo prodotto non solo come a un  vino da dessert. Lo facciamo assaggiare in cantina abbinandolo, ad esempio, a determinati formaggi e salumi. Quelli a base di fegato sono perfettamente sposabili con il vino cotto, come anche i formaggi pecorini e caprini e perché no anche i ravanelli.

La vendita come avviene? Avete un sito attraverso il quale è possibile acquistare i vostri prodotti?

Soprattutto con il passa parola… Ovviamente nella fase di invecchiamento non avevamo i numeri per commercializzarlo, quindi in tutti questi anni abbiamo potuto solo curarlo affinché diventasse qualcosa di importante. È stato un grande sacrificio economico supportato però dalla grande passione. Al di là della rete di distributori negli anni ci siamo accorti che a spiegare pregi e virtù del vino cotto dovevamo essere noi… È difficilissimo, infatti, che un rappresentante impieghi gran parte del suo tempo per far conoscere le qualità e la versatilità di utilizzo di questo prodotto. Sino ad oggi il nostro più grande investimento ha riguardato la conoscenza e quindi gli assaggi del prodotto.

Avete proposto il vostro cotto anche ad alcuni chef abruzzesi di grande livello come Niko Romito e William Zonfa. Con quali risultati?

Romito ha definito Isabella un vino d’eccellenza come anche lusinghiero è stato l’apprezzamento dello chef aquilano Zonfa. Tanti chef sono legati da contratto ad alcuni brand, quello che noi vogliamo però è coinvolgerli, in particolare, nell’utilizzazione del vino cotto nella preparazione dei piatti. e non solo, invece, come semplice consumo di fine pasto. Ad esempio abbiamo potuto sperimentare che utilizzandolo nella parte finale della cottura in crosta di un arrosto, attribuisce alla carne profumo e un sapore particolare. Addirittura una nostra amica barman l’ha utilizzato per un cotto&tonic, cioè un pestato di lime e zucchero di canna, con acqua tonica,  cotto d’amore e ghiaccio. Il tutto bevuto con la cannuccia di liquirizia della nota industria abruzzese Melozzi di Silvi Marina. È venuto fuori un long drink straordinario, leggermente alcolico con un piacevole gusto caramellato di fondo. Questa è una delle strade che stiamo percorrendo.

A proposito di gradazione, il vino cotto su che percentuale si attesta?

Tra i 13 e i 14 gradi.

Siete stati anche a Expo…

E anche alla mostra internazionale presso il Palazzo Gonzaga, a Mantova, l’unica d’Italia per quanto riguarda i vini passiti da meditazione. Gli chef, in maniera assolutamente intuitiva, lo hanno abbinato al gorgonzola ed è venuta fuori una cosa eccezionale. Dopo la degustazione in tanti sono passati ad acquistare un prodotto a loro sconosciuto, soprattutto con questo tipo di utilizzo.

Pensate di aprirvi anche al mercato estero?

Attualmente abbiamo fatto due accreditamenti. Il primo attraverso un’agenzia legata alla Camera di Commercio di Chieti per un portale, Eccellenza Italia, dedicato al mercato estero. Abbiano tradotto tutte le nostre schede in tedesco, francese, inglese e spagnolo. Il secondo, invece, riguarda un altro portale, Eccellenze italiane, dove è possibile trovarci prodotti di nicchia e di estrema nicchia, ed è gestito da un’agenzia di Bastia Umbra. Poi c’è un gruppo di acquisto genuino e responsabile messo in piedi da alcuni giovani teramani. Il tutto, ovviamente, è online. Noi abbiamo anche un sito, Cotto d’amore, dove raccontiamo la nostra storia e i nostri prodotti, anche se la difficoltà più grande sta proprio nella poca conoscenza nei confronti di questo vino. Escluse Marche e Abruzzo, infatti, nelle altri regioni è quasi un tabu… Il nord, poi, proprio non lo conosce. Il vino cotto ha questo limite ed ecco perché anche per un rappresentante è difficile venderlo. Riguardo a questo sviluppo, allora, con un giovane sommelier che collabora con l’università di Teramo stiamo cercando di trovare il modo di disciplinare il vino cotto teramano proprio per dargli una identificazione geografica protetta.

Ci sono altre cantine che portano avanti la vostra stessa ricerca?

Esistono tante cantine che producono vino cotto, però come chiusura di un’offerta di bottiglie. Quindi non nascono esclusivamente per la produzione del vino cotto.

E nella produzione di vino da messa quanti concorrenti avete?

Per quello che mi risulta siamo assolutamente gli unici nel teramano e i primi della regione. Di solito il vino da messa viene distribuito come vino marsala e quindi con aggiunta di alcol. Il nostro, invece, è un vino a tutti gli effetti.

 

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