TRA FEDE & FORMAGGIO

By Gloria Danesi
Pubblicato il 3 Giugno 2016

Il 12 giugno, a Serramonacesca, in occasione dei festeggiamenti riservati a sant’Onofrio le genti del posto si recano all’eremo per trovare giovamento in caso di mal di pancia e stati febbrili… E attorno al grande massiccio calcareo della Majella si pratica l’attività storica della pastorizia con una fiorente produzione di prodotti caseari

Volete: una memoria di ferro, ritrovare oggetti smarriti, guarire dolori di pancia, febbri e tristezza persistenti e… vi piace l’arte romanica, la natura selvaggia e il formaggio fresco? Il 12 giugno andate a Serramonacesca, in provincia di Pescara, in occasione dei festeggiamenti riservati a sant’Onofrio. Ogni anno, come da antica tradizione, alle prime luci dell’alba le genti del posto si recano all’eremo di Sant’Onofrio, venti minuti di sentiero in salita e la possibilità di sdraiarsi in un giaciglio chiamato “culla di sant’Onofrio” per trovare giovamento in caso di mal di pancia e stati febbrili. La tradizione vuole che Onofrio, anacoreta, il cui nome significa colui è sempre felice vissuto nel deserto egiziano tra il IV e il V secolo, assieme a sant’Antonio da Padova e a san Graziano di Tours, sia il santo a cui votarsi per ritrovare oggetti smarriti, così come, assieme a san Giuseppe da Copertino, vada in aiuto degli studenti con difficoltà a memorizzare.

L’iconografia lo propone come un vecchio vestito unicamente di lunghi capelli. I devoti dopo aver assistito alla messa, usano bagnarsi alla fontana adiacente dopodiché, tornati in paese, passano alla fase ludica della festa che prevede tra l’altro la preparazione con l’utilizzo di grandi calderoni di rame e la consumazione di formaggio fresco. Tale prodotto, la cui vendita serve a finanziare i festeggiamenti, risulta squisito, non solo per l’appetito scaturito dalla bella passeggiata, ma soprattutto per la qualità del latte, frutto del pascolo degli ovini nei prati del Parco nazionale della Maiella. Luogo, quest’ultimo, incantevole per panorami e borghi antichi, ricca biodiversità e piatti tipici all’insegna della semplicità riconducibili alla civiltà del tratturo. Attorno al grande massiccio calcareo della Maiella si pratica l’attività storica della pastorizia con una fiorente produzione di formaggi: pecorini, caciotte (anche aromatizzate), caciocavalli, scamorze, giuncate, ricotte ovine e caprine (anche affumicate). Apprezzabile anche la produzione di salumi: annoia, mortadelline e salsicce, ma anche la carne fresca. Rispetto agli alimenti vegetali vanno evidenziate le produzioni di grano solina e di farro (entrambi cereali in grado di resistere ai climi freddi), nonché dei gustosissimi legumi di alta quota (cicerchie, lenticchie, “fagioli a pisello”). Pregevoli anche le produzioni di vino e olio.

Notevole, inoltre, la raccolta di funghi, tartufi, orapi (spinaci selvatici spontanei che crescono nei pressi degli stazzi) ed erbe spontanee commestibili. Va da sé che con queste materie prime la cucina locale offre piatti che fanno leccare i baffi. Pasta e ceci, sagne e fagioli, pasta fatta ataccuni e orapi, questi ultimi utilizzati anche per il pancotto pastorale, cotti a parte vengono uniti a pane secco, ricotta e siero, ingrediente che oggi viene sostituito con brodo vegetale.

Deliziosa e salutare la minestra di farricello: farro spezzato e ventilato, cotto in un brodo vegetale e poi unito a un soffritto di lardo battuto, con trito di cipolle, sedano, carota e olio extravergine di oliva. Una curiosità: gli spaghetti alla trippara, piatto che un tempo veniva servito, presso il frantoio, ai contadini in attesa della molitura delle proprie olive. Questa la ricetta: olio novello, aglio, peperoni dolci di Altino e a volte alici salate. La chiamano cucina povera eppure è tanto ricca di storia, saperi, sapori e nutrienti.

Torniamo al cibo dello spirito. Il suggestivo eremo di Sant’Onofrio fu costruito tra l’XI ed il XIV secolo dai monaci benedettini della vicina abbazia di San Liberatore (gioiello di architettura romanica) come luogo privilegiato per l’ascesi. L’edificio sorge in un anfratto di roccia; è composto da due vani, in quello superiore si trova una piccola chiesa ove, da una porta dietro l’altare si accede alla grotta (dove è sita la culla) che costituisce la parte più antica dell’eremo. La Maiella, per Plinio il Vecchio, è il “padre dei monti” mentre per gli abruzzesi è la “montagna madre”. Tali definizioni opposte e complementari al contempo ci rimandano all’androginico guerriero di Capestrano, imponente, magnifico, misterioso, non a caso emblema d’Abruzzo.

 

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