TEHERAN E IL NUCLEARE
Un ritrovato equilibrio del Medioriente – quindi un contributo alla possibile attenuazione delle violenze che attualmente sconvolgono Siria, Egitto, Libia e Tunisia – dipende anche dall’esito delle trattative sul controllo del nucleare iraniano. Gli interlocutori, a differenza del passato, ora si parlano: confronto apparentemente positivo a Ginevra a metà ottobre e poi nella prima settimana di novembre fra una delegazione di Teheran con il gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina più la Germania) per raggiungere un accordo.
Come si sa, l’Iran sta sviluppando un programma nucleare a suo dire pacifico, ma che in molti ritengono destinato alla produzione della bomba atomica, con le naturali conseguenze di rischio per l’intera area mediterranea e forse per il mondo. Sino a ora Teheran si è sottratta a ogni serio controllo internazionale, suscitando sospetti (e l’assoluta diffidenza di Israele, pronto a iniziative militari) sull’obiettivo da raggiungere; ma la situazione costringe il regime degli ayatollah a più miti consigli.
Infatti le sanzioni imposte al commercio del petrolio da un gruppo consistente di paesi hanno avuto pesanti effetti negativi, riducendo del 50 per cento le esportazioni (la perdita è di un milione di barili al giorno, pari a 130 milioni di dollari quotidiani), con risultati devastanti sull’economia. Che sono: inflazione attorno al 25/30 per cento; diminuzione delle riserve valutarie; dimezzamento del valore del rial, la moneta nazionale; crescita violenta della disoccupazione e conseguenti tensioni sociali. E con l’ovvia rinuncia all’ambizione, carezzata da Teheran, di diventare la potenza egemone del Medioriente.
Il fatto nuovo è l’elezione, lo scorso giugno, del presidente Hassan Rohani, un moderato, vincitore a sorpresa, con largo margine e favore popolare, delle consultazioni. Nel giro di poche settimane Rohani ha dichiarato che Israele non è più il nemico da distruggere; stanno per riprendere le relazioni diplomatiche con Londra, sospese due anni fa dopo l’assalto all’ambasciata inglese da parte di un gruppo di fanatici; si è riattivato, come detto, il dialogo sull’atomica.
Teheran è disponibile (contrariamente al passato) a ispezioni a sorpresa nei siti di sperimentazione del nucleare. e, durante la recente sessione delle Nazioni Unite, lo stesso Rohani si è espresso in termini ragionevoli nei confronti degli Stati Uniti. Si è resa così possibile una conversazione telefonica (una cosa del genere non si verificava dal 1979) con il presidente americano Barack Obama. Ci si attendeva anche un incontro che non c’è stato; ma che si sia sulla strada giusta lo hanno dimostrato alcuni estremisti contestatori che a Rohani, di ritorno da New York, hanno lanciato uova, scarpe, sassi e invettive.
Una normalizzazione dei rapporti con l’Iran è nell’interesse generale: prima di tutto perché la fine dell’embargo contribuirebbe all’equilibrio dei prezzi mondiali del greggio; con un Iran che, almeno parzialmente pacificato, sia in grado di svolgere un ruolo positivo nel Medioriente, dopo aver soffiato sul fuoco da posizioni oltranziste (con l’appoggio alle frange islamiche estreme in tutta l’area, col sostegno del regime siriano, con la minaccia di distruggere Israele). Ci si attende un gesto: il dissequestro da parte di Washington dei beni iraniani, congelati dopo l’occupazione dell’ambasciata Usa a Teheran. Ammontano, con gli interessi, a oltre dodici miliardi di dollari e darebbero respiro all’economia in difficoltà. Basta una decisione di Obama per svincolarli: una cartina di tornasole per verificare la buona volontà di tutti.