TAGLI ALLA SALUTE

I dati della ricerca Censis sono drammatici: ben 11 milioni di italiani hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche. Il problema in particolare riguarda 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di nati tra gli anni ottanta e il duemila

Quando le cose non vanno come dovrebbero, per consolarci o consolare qualcuno si sente dire: basta la salute! “Quanno c’è ’a salute c’è tutto. Basta ’a salute e un par de scarpe nove, che poi girà tutto ’er monno”. Aveva ragione Nino Manfredi quando intonava Tanto pe’ cantà; i soldi non sono tutto eccetera, eccetera, eccetera. Il problema è che la salute va e viene, non la possiamo regolare noi. È talmente importante che la nostra carta costituzionale le dedica addirittura tre articoli: uno diretto e altri due collegati. Il primo comma dell’articolo 32 stabilisce: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Il diritto alla salute, come diritto sociale fondamentale, viene tutelato anche dall’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Inoltre, essendo, questo diritto, connesso al valore della dignità umana (diritto ad un’esistenza degna) rientra anche nella previsione dell’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge…. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che… impediscono il pieno sviluppo della persona umana…”.

Come si vede, il contenuto del diritto che la Costituzione riconosce a tutti gli individui è complesso: la situazione di benessere psico-fisico intesa in senso ampio con cui s’identifica il bene “salute” si traduce nella tutela costituzionale dell’integrità psico-fisica, dei diritti di un ambiente salubre, alle prestazioni sanitarie e alla cosiddetta libertà di cura.

Detto questo, c’è qualcosa che non va. Siamo nel periodo in cui ci si accinge ad attrezzarsi per l’autunno, quindi: vaccini, prima di tornare a scuola o per scongiurare fastidiose influenze; controlli per vedere se durante l’estate il nostro organismo è stato messo a dura prova. Insomma, tutte quelle cose che ci spingono a frequentare ambulatori e ospedali. Per questo vorremmo che fosse posto rimedio a un fenomeno molto allarmante e che evidenzia come la realtà sia ben lontana dal dettato costituzionale. Già, perché ben 11 milioni di italiani hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche. Anche a 42-50 euro per un ticket, figurarsi alle parcelle da 100-150 euro e oltre dei medici e dei laboratori privati. Un numero che cresce in modo impressionante: basti pensare che nel 2012 erano 9 i milioni: quindi, in poco più di tre anni c’è stato un aumento vertiginoso del 22 per cento. Sempre più persone non riescono a curarsi. Ce lo ha rivelato una recente ricerca di Censis-Rbm nella quale si spiega che il problema riguarda, tra gli altri, 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millennials, cioè i nati tra gli anni ottanta e il duemila. L’universo della sanità negata tende a dilatarsi; meno sanità vuol dire anche meno salute per chi ha difficoltà economiche.

Le lunghe liste d’attesa sono una delle cause principali della fuga dal servizio sanitario nazionale verso strutture e ambulatori privati dove è possibile effettuare esami e visite in tempi accettabili, evitando attese di mesi, come avviene per la sanità pubblica (e che dire di quei medici ospedalieri che, però, ricevono il giorno dopo nello studio privato?). In questo modo cresce la voglia di sanità integrativa tra chi oggi ne è escluso. Secondo il rapporto, in due anni è aumentata di 80 euro a persona la spesa pagata di tasca propria dagli italiani e non rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. Dal 2013 al 2015 si è passati infatti da 485 a 569 euro procapite mentre, nello stesso arco di tempo, è salita a quota 34,5 miliardi di euro la spesa sanitaria privata, con un incremento del 3,2%: il doppio dell’aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie nello stesso periodo (pari a +1,7%). Così, sono diventati 7,1 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno fatto ricorso all’intramoenia (cioè, le prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dello stesso nosocomio a fronte del pagamento di una tariffa da parte del paziente): il 66,4% di loro proprio per evitare le lunghe attese; il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie è per gli italiani ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può pagarsela.

Mentre l’Associazione sindacale dei medici dirigenti (Anaao Assomed) denuncia “la progressiva e non più silenziosa diminuzione del perimetro della tutela pubblica della salute e il conseguente incremento del welfare privato”, il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sostiene che “quello degli italiani che rinunciano alle cure è un problema conosciuto, per la cui soluzione stiamo operando da tempo con il ministero dell’Eco-nomia, le regioni e i professionisti del servizio sanitario nazionale”. Sembra una buona notizia, ma basteranno i due miliardi stanziati in più per far fronte al problema e placare le polemiche? Forse no. “Basta ’a salute. Quanno c’è ’a salute c’è tutto. Basta ‘a salute e un par de scarpe nove, che poi girà tutto ’er monno”: così sosteneva Nino Manfredi quando intonava Tanto pe’ cantà. Per oltre 11 milioni di italiani, però, nun ce stanno né ’a salute né le scarpe nove.