Gli effetti devastanti nel mondo della pandemia in atto mettono in risalto un dato che sembrava cancellato dai successi delle scoperte tecnologiche e delle loro applicazioni nel nuovo secolo: la fragilità della natura umana. Un suo dato costitutivo, che di fronte agli effetti del morbo si manifesta con forza rinnovata nella vita delle persone, delle comunità, delle istituzioni, soprattutto con interrogativi ai quali il più delle volte non viene data alcuna oppure una molteplicità, contradditoria, di risposte. Credo che anche i lettori de L’Eco seguano con apprensione il diluvio di interventi di “esperti” e dei responsabili di istituzioni, strutture e comunità di ogni genere che dibattono sulla natura del virus; sui modi più adeguati per contrastarlo, sulle ricerche di un vaccino per debellarlo.
In Italia il rapporto tra individui, comunità, organizzazioni e istituzioni è reso più complicato dalla molteplicità e varietà di poteri degli ordinamenti istituzionali centrali e periferici (Parlamento, governo, regioni, province e comuni). Da quelli delle organizzazioni sociali (sindacati, associazioni di produttori e di categorie di lavoro autonomo). Dai rapporti delle istituzioni e delle organizzazioni sociali con le articolazioni vitali della società (per ricordarne solo alcune, scuole, caserme, ospedali, penitenziari), ciascuno dei quali dotato di organismi di direzione e operativi con poteri spesso conflittuali con altri ad essi esterni.
Sono evidenti, per esempio, le difficoltà e le contraddizioni sulle proposte, iniziative e decisioni delle istituzioni centrali rispetto a quelle periferiche su fatti riguardanti i modi per limitare la diffusione del virus in date situazioni di lavoro, di ordinaria vita sociale e di svago. Difficoltà create o accentuate anche dalla modifica – seguita la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001 – dei poteri centrali dello Stato rispetto a quelli regionali. E accentuate in questo momento dalla leggerezza – per non dire altro – con cui settori delle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e settori di peso dei mondi del lavoro, della produzione, del commercio e della finanza appaiono più impegnati a conquistare o ad accrescere posizioni di potere sfruttando le occasioni loro offerte dalla pandemia, che non a dare un apporto adeguato ai propri ruoli per fare fronte a essa; e creare possibili ed efficaci situazioni di ripresa qualificata e diffusa della vita sociale ed economica.
Mentre scriviamo, per esempio, continuano le aspre polemiche – spesso deboli di contenuti – tra autorità regionali e centrali, dal nord al sud del paese, sugli obiettivi e i modi di intervento contro i duri effetti sociali ed economici della diffusione del virus. Polemiche accompagnate da altre, tra e nelle diverse forze politiche, al fine di realizzare il massimo vantaggio dalla situazione, in vista delle imminenti elezioni regionali e amministrative in molte, importanti, regioni, e in migliaia di amministrazioni comunali. Tra le forze sociali, se è vero che deve suscitare sorpresa la scelta di qualche sindacalista di schierarsi, con toni degni di migliore causa, a favore dei titolari di locali per la “movida”, è interessante registrare le considerazioni del vice presidente della Confindustria, Maurizio Stirpe, imprenditore, con imprese in Italia e all’estero, nei settori della progettazione e realizzazione di componenti in plastica per il settore veicolare. Per Stirpe, gli imprenditori, oltreché i lavoratori, hanno il dovere di aiutare il Paese. Per esempio, al fine di realizzare “un trattamento economico minimo per tutti i lavoratori; fatto però con una logica concreta produttiva e non demagogica”. In concreto, per Stirpe, realizzare “una media dei contratti economici minimi dei contratti migliori, al fine di fissare i minimi al di sotto dei quali non si può scendere. Lasciando poi ai salari la possibilità di aumentare solo in funzione della crescita di produttività del settore e a quello dell’azienda”.
Sono osservazioni e proposte che evidenziano come anche in situazioni molto difficili si può e si deve guardare con realismo e fiducia al dopo, pur sempre difficile della comunità nazionale.