SULLA CHIESA VEGLIA FRANCESCO

Papa Jorge Mario Bergoglio, “venuto dalla fine del mondo”, amico dei poveri di Argentina, davanti a sé ha le immense praterie che la crisi della contemporaneità gli consegna, ma le sfide gli piacciono Papa Francesco. Anzi, vescovo Francesco. Soprattutto vescovo Francesco, come vescovo emerito è Benedetto XVI. Basterebbe questo per fermarsi un attimo e lasciare al soffio dell’anima il respiro e il profumo della speranza che si è fatta carne. Le parole non sono le nostre, ma di un uomo che, da lassù, quel 13 marzo di un mese fa, dalla finestra adornata a festa della basilica di San Pietro, tentava di rispondere alla chiamata di Dio. Davanti al suo nuovo popolo. La chiesa, oggi, è ancora l’unica realtà mutabile che sa stupirci ed entusiasmarci. È innegabile che il soffio dello Spirito abbia soffiato su piazza San Pietro, e per un attimo, quel gabbiano posato sul comignolo proprio durante i minuti dell’elezione, ci ha fatto pensare che qualcuno, lassù, ci stava guardando. Francesco. Come mai nessuno aveva mai osato chiamarsi. Perché a questo punto non conta più se Francesco è un religioso gesuita, se è stato nel 2005 il candidato progressista opposto a Ratzinger proposto dal cardinale Martini. Non conta. Forse conta solo una cosa: la sua sobrietà e povertà conosciuta dal suo popolo sarà la pietra angolare della chiesa del futuro. Non conta che non ha mai avuto la macchina blu e autista, che va in metropolitana a Buenos Aires, che a Roma ha sempre preso i bus, che ha vissuto sempre in un appartamento modestissimo. Conta che ha chiesto al popolo di pregare per lui, vescovo di Roma, e il popolo, circa centomila persone presenti a piazza San Pietro, si è fermato. Pregando, in un silenzio impressionante. Da oggi sulla chiesa veglia Francesco. La gente che era in piazza quella sera del 13 marzo ne era già entusiasta. C’è da lavorare, sembra dirci papa Francesco, tirarsi su le maniche e sudare per annunciare il vangelo. Ma oggi, questa chiesa, con questo Fran-cesco, ce la può fare. Francesco ha riacceso le speranze per un mondo più giusto. Nella prima messa celebrata con i cardinali che hanno partecipato al conclave lo scorso 14 marzo, papa Francesco, parlando a braccio e non in latino e dal lato dell’ambone, sconvolgendo antichi riti e usanze liturgiche sedimentatesi nei secoli, come d’altronde già aveva fatto la sera della sua elezione dal balcone di piazza San Pietro vestendo una semplice talare bianca con croce d’argento, ha detto: “In queste tre letture vedo che c’è qualcosa di comune: è il movimento. Nella prima lettura il movimento nel cammino; nella seconda lettura, il movimento nell’edificazione della chiesa; nella terza, nel vangelo, il movimento nella confessione. Cam-minare, edificare, confessare”. Già un programma di governo. Cam-minare: “la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa”. Edificare la chiesa. “Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la chiesa, la sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare”. E poi confessare. “Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong assistenziale, ma non la chiesa, sposa del Signore. Quando non si cammina, ci si ferma”. Poi, ha aggiunto, ponendo le basi di un futuro possibile del suo pontificato: “Cammi-nare, edificare, costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro”. Il papa dal nome Francesco, “venuto dalla fine del mondo”, amico dei poveri di Argentina, ha conquistato già i cuori degli umili e dei semplici. Davanti a sé ha le immense praterie che la crisi della contemporaneità gli consegna, ma le sfide gli piacciono. Dai gesuiti ha imparato disciplina, rigore, silenzio, sobrietà di vita. Dal popolo latino-americano ha ereditato la semplicità di una fede che parla all’uomo di oggi attraverso il linguaggio del cuore e della parola. Di Fran-cesco, il santo poverello di Assisi, ne è innamorato. Dicono che sia anziano, come in effetti è. Ma se sprizza gioventù come lo abbiamo visto fare nei primi giorni di questo (lungo, ci auguriamo) pontificato, allora la speranza della profezia non sarà legata all’agenda biografica ma al mistero di un Dio che ci ama.