SUL COMMERCIO DIVERGENTI INTERESSI FRA EUROPA E STATI UNITI

Alto tradimento». Pare che in Germania possa incorrere in un’accusa del genere quel parlamentare che, conoscendolo per essere stato autorizzato a prenderne visione, renda pubblico il contenuto del Ttip, il Trattato internazionale per il commercio e gli investimenti, intorno al quale si sta negoziando da tre anni fra gli Stati Uniti e l’Europa. Un giornale tedesco ha scritto che chi sa di che cosa si tratti non può parlarne, mentre può criticarlo soltanto chi non lo conosce. Sollevando così un problema di etica democratica sulle leggi che i parlamenti devono approvare in perfetta trasparenza e con i cittadini che ne abbiano consapevolezza.

In Italia non si è ancora giunti all’accusa di violazione del segreto di stato ma quei parlamentari che, come i colleghi tedeschi, hanno preso conoscenza dei testi sui quali si discute, hanno potuto farlo per poche ore, chiusi in una stanza sorvegliata dai carabinieri, senza che fosse loro permesso di fotografare e copiare le pagine del documento, autorizzati soltanto a prendere appunti a mano. Oltretutto su migliaia di pagine redatte in inglese e in un linguaggio tecnico-giuridico di difficile traducibilità e comprensione. Praticamente difficoltosa, quindi, una pubblica discussione basata sulla conoscenza dei fatti. Conoscenza che però è stata resa possibile da rivelazioni di Geenpeace (l’associazione internazionale di protezione della natura), confortando quei movimenti di opinione pubblica a suo tempo messi in sospetto dalla segretezza del negoziato.

In effetti, la trattativa è stata condotta sino a oggi secondo regole di riservatezza imposte dal partner americano, che sta esercitando sulla Ue e sui 28 paesi che dovrebbero ratificare il Ttip una pressione mai conosciuta in passato, così come stanno facendo con tutti i mezzi le multinazionali interessate alla firma. Sono in pericolo almeno 280 prodotti italiani – alcuni dei quali tipici del nostro Abruzzo – di origine protetta, alla cui tutela gli Usa non sono interessati, così come respingono ogni ipotesi di indicazione geografica. E si aggiunga che l’apertura dei mercati americani agli europei sarebbe limitata da condizioni che è poco definire leonine, oltretutto senza adeguate reciprocità. Se è vero, peraltro, che si deve considerare positiva una liberalizzazione e una apertura degli scambi, essa, come afferma un tecnico pur favorevole all’accordo, il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, va “subordinata al rispetto di regole condivise”.

Senza parlare del “criterio di prudenza” che la Ue utilizza (talvolta esagerando) su prodotti alimentari e farmaci, un criterio che gli americani vorrebbero abolire. In altre parole, l’Europa sarebbe alla mercè di industrie avventuriere, quelle stesse che stanno inducendo gli Stati Uniti, per esempio, al record dell’obesità. E aggiungiamo la bislacca ipotesi di tribunali privati dinanzi ai quali le industrie che si sentissero lese potrebbero addirittura convenire i governi. E si sa che negli Usa esistono agguerritissimi studi le-gali specializzati in materia.

Il presidente americano Barack Obama è certamente benemerito per aver messo termine al contenzioso con Cuba, attuato una riforma sanitaria a favore dei cittadini meno abbienti, ripristinato i rapporti con il Vietnam, firmato il trattato sul clima, ed è meritorio che si stia battendo (ancora peraltro senza risultati) per l’abolizione della pena di morte e il controllo della vendita di armi. Sembra difficile, però, che giunga alla firma del Ttip prima della fine del suo mandato. C’è un fermo no della Francia, ci sono dubbi in Italia, in Germania (qui nonostante l’esplicito favore del governo) e in altri paesi della Ue. Comincia, oltre tutto, a esserci una decisa opposizione dell’opinione pubblica. In democrazia non si può, e non si deve, non tenerne conto.