SUI MIGRANTI SI CAMBIA

PAPA FRANCESCO e ANGELA MERKEL L’UNIONE fa la SOLIDARIETÀ
By Angelo Paoluzi
Pubblicato il 1 Ottobre 2015

con le armi dello spirito e con quelle della politica nel giro di poche settimane è cambiata, in Europa, la percezione del problema dei rifugiati. La Germania di Angela Merkel annuncia che accoglierà mezzo milione di stranieri all’anno, per lungo tempo; soltanto nel 2015 saranno attorno al milione. Papa Francesco chiede: “Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, cominciando dalla mia diocesi di Roma”.

La cancelliera tedesca, a metà agosto, aveva anticipato la svolta affermando che si trattava “di sapere come agiremo con i migranti, cosa che ci occuperà molto di più della Grecia e della stabilità dell’euro”. E il 26 dello stesso mese, dopo il trecentesimo episodio di violenza dell’anno nella Repubblica federale nei confronti di un asilo per stranieri, si era recata a Heideman presso Dresda dove, contestata da un gruppo di cittadini fomentati da estremisti di destra, aveva detto con estrema decisione che non ci sarebbe stata “nessuna tolleranza per quelli che mettono in discussione la dignità di altri uomini”.

Il salto di qualità in favore di una soluzione drastica e coraggiosa era stato offerto dal doloroso spettacolo del calvario di migliaia di persone che, per mare e per terra, spesso a rischio della vita, fuggivano dai luoghi in cui si consuma la violenza delle guerre, della distruzione, della morte, del disprezzo della dignità umana. Ancora prima che fosse consegnata alla storia della sensibilità collettiva e alla commozione del mondo la foto di Aylan, il bimbo curdo di tre anni annegato all’inizio di settembre sulle coste turche insieme con la madre e il fratellino.

Così la politica si è messa in moto e del problema si è parlato nel vertice europeo dello scorso 14 settembre, per mettere a punto comuni strategie. Non senza tensioni, considerando la forte contrarietà di un gruppo di paesi dell’est europeo – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceka e Slovacchia – che dalla libera circolazione delle persone prevista dagli accordi di Schengen vorrebbero ricavare soltanto vantaggi, sottraendosi a quei doveri di umanità che qualificano una civiltà, nel caso occidentale e cristiana. “Se non riusciamo – ha detto l’ausiliare della diocesi Estergom-Budapest, monsignor Jénos Székely – ad aiutare i profughi, abbiamo già perso le nostre radici cristiane”.

Possiamo rallegrarci perché lo slancio di solidarietà è stato unanime e generale in tutta Europa, al di là di ogni attesa. A cominciare dalla Germania, dove i profughi sono stati ricevuti addirittura con applausi e, assai più concretamente, con cibo, indumenti, alloggi, aiutati da centinaia di volontari che hanno sostenuto lo sforzo delle strutture istituzionali: senza di loro, ha detto un dirigente dell’amministrazione di Berlino, saremmo crollati. Le statistiche rivelano che il 60 per cento dei tedeschi sono con la Merkel in questa gara di altruismo. Non sempre è stato così. Il paese che oggi si fa onore ci ricorda che, appena venticinque anni fa, dopo il crollo del muro di Berlino, in parecchie città dell’Ovest (ne fummo diretti testimoni a Monaco di Baviera) si verificarono manifestazioni di intolleranza nei confronti del fiume di tedeschi in fuga dalla zona orientale. L’operazione attuale costerà a Berlino, in ogni caso, come minimo sei miliardi di euro che potrebbero anche aumentare. E Bruxelles ha stanziato 2,4 miliardi di euro, una cifra che alcuni considerano irrisoria.

Frans Timmermans, vice presidente della Comunità europea, ha affermato:  “Per l’Europa è arrivato il momento della verità. O vinciamo tutti assieme, o perderemo ognuno per conto proprio”. Così l’opinione pubblica inglese, con una serie di manifestazioni di protesta, ha contestato le decisioni del governo e costretto David Cameron a tornare sui provvedimenti di chiusura rispettando – come si è espresso un alto dignitario anglicano – “gli obblighi morali della decenza e della chiesa” con l’aumento del numero di fuggiaschi da ospitare.

Anche a Varsavia è in corso un ripensamento sulle quote mentre in Ungheria, dove il sostegno ai profughi è considerato reato di complicità all’immigrazione clandestina, mi-gliaia di cittadini hanno sfidato il governo soccorrendo gli stranieri che attraversano il paese, a rischio di arresto, come in alcuni casi è accaduto. Dall’Austria sono partite trecento automobili che a Budapest hanno preso a bordo famiglie di profughi da accompagnare, in lunga fila, per 250 chilometri sino a Vienna, per poi proseguire in treno con destinazione Germania. Persino il piccolo Belgio, che già ospita un considerevole numero di stranieri, si è detto disposto ad allargare l’ospitalità. Ed è sotto i nostri occhi il quotidiano sforzo italiano per i soccorsi in mare.

La comunità cattolica europea si sta organizzando per dar seguito alla richiesta del papa, anche se è noto che la chiesa da anni presta l’insieme delle sue strutture per l’accoglienza e l’aiuto, spesso sostituendosi (non senza polemiche pretestuose) con maggiore flessibilità alle burocrazie statali. E tuttavia è anche necessario non menare troppo vanto per ciò che si fa: Libano, Turchia e Giordania ospitano, assieme, i tre quarti dei profughi mediorientali, siriani in particolare. Ma intanto è importante agitare la bandiera della speranza contro quella della paura, ricordando che un grande paese come gli Stati Uniti si è formato ospitando cittadini originari di oltre cinquanta etnie diverse. Per la comune umanità è necessario abbattere i muri con i picconi morali, come hanno fatto papa Francesco e Angela Merkel.

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