STELLE DI IERI, STELLE DI DOMANI
Le donne hanno sempre lavorato nel silenzio perché la scienza potesse progredire, eppure soltanto negli ultimi anni si sta raggiungendo quella sospirata parità tale che i loro lavori vengano presi in considerazione alla pari dei loro colleghi maschi.
Emblematico è il caso di Henrietta Leavitt (nella foto 1868-1921), mai riconosciuta ufficialmente come vera astronoma, seppur al tempo famosa in tutti i circoli scientifici per il suo lavoro certosino, a cui si deve la scoperta di una particolare relazione matematica riguardante le stelle variabili chiamate Cefeidi.
All’inizio del vecchio secolo gli astronomi osservavano nel cielo dei particolari oggetti che non riuscivano a ben catalogare. Con i nuovi telescopi tali oggetti apparivano genericamente come delle nebulose (tra le quali la più famosa è sicuramente quella di Andromeda). Con gli studi di Henrietta si poté misurare per la prima volta la distanza di alcune cefeidi presenti nelle Nubi di Magellano, e si scoprì che queste non erano affatto nella nostra Via Lattea (che tutti pensavano essere il “tutto” astronomico, ossia che l’universo fosse la nostra galassia), bensì costituivano esse stesse un nuovo complesso di stelle, un’altra galassia. E così cominciammo a renderci conto che le dimensioni dell’universo andavano misurate non in anni, ma in milioni di anni luce.
Per ottenere i suoi risultati Henrietta dovette consultare migliaia e migliaia di lastre fotografiche, di modo da rinvenire, dopo un lunghissimo lavoro, quella serie di dati che legava luminosità e periodo delle stelle, e dunque indirettamente scovarne la distanza.
È passato un secolo dal lavoro della “donna computer” e oggi, noi figli del 2000, pensiamo di esserci emancipati totalmente dalla penna e dalla carta. Certo le fotografie non sono più né su lastra, né su negativo, né su carta, ma oserei dire sui bit… Certo non passiamo più interminabili ore al telescopio perché li abbiamo automatizzati e li abbiamo anche mandati nello spazio (al freddo e al gelo!) in modo da avere lunghe ed ampie survey del cielo osservabile… Certo non prendiamo più squadra e righello per fare grafici e mettere in correlazione grandezze differenti… Certo ne è passato di tempo, eppure l’idea di base è quella di un secolo fa. La differenza? Facciamo tutto più velocemente perché lo abbiamo insegnato ai computer e lo abbiamo attuato nei nuovi mezzi tecnologici.
Così, con la modestia dei nani che stanno sulle spalle dei giganti, riconosciamo che la nostra tecno-arte non sarebbe stata possibile se non vi fossero stati gli errori e le vittorie di chi ci ha preceduto.
Arrivati al nostro tempo postmoderno e tecnocratico, tanto l’uomo che la donna non si sono accontentati di misurare qualche “migliaio” di stelle. La nostra buona “ingordigia” ha toccato quota 1 miliardo, grazia al capolavoro tecnologico (in cui tanta parte è anche italiana) della sonda (femminile!) Gaia della Esa.
Che dire? Tramite i dati di questa sonda stiamo elaborando una dettagliata mappa tridimensionale della nostra galassia. Così abbiamo verificato molte nostre teorie, e abbiamo trovato nuovi enigmi da risolvere, come ad esempio il fatto che tante stelle della nostra galassia in un lontano passato … erano di un’altra! Che successe nei tempi biblici della via Lattea? È stata sempre così come la conosciamo oggi o nel suo passato ci sono incontri/scontri con il vicinato galattico, da cui la permuta di stelle?
Anche se siamo al top dell’arte, l’essere umano mai s’accontenta e rimugina sulla sconcertante considerazione: abbiamo misurato solo l’1% delle stelle della nostra galassia e appena qualche decina di migliaia delle altre. Una vecchia canzone diceva per l’appunto… le stelle sono tante milioni di milioni…