STAMPIAMOCI UNA BISTECCA…
Carne coltivata in laboratorio oppure quella tradizionale ottenuta dall’uccisione di animali? Maggiore o minore sicurezza alimentare con il cibo sintetico? Meno impatto a livello di suolo e inquinamento? Costo eccessivo, questione sociale ed etica? Malessere dell’animale da cui si estrae il siero e salvaguardia del patrimonio agroalimentare?
Insomma, il dibattito sul cibo sintetico è aperto su scala mondiale. Diciamo subito che il nostro Paese ha già detto no approvando, con procedura d’urgenza, un disegno di legge che vieta vendita, commercializzazione, produzione e importazione di alimenti artificiali”. Un no, a mio avviso, più di principio che di sostanza, visto che al momento le varie ricerche in atto sul pianeta Terra non mostrano tempi particolarmente vicini per una vendita al banco. Tantomeno conosciamo tutto ciò che la scienza, al momento, ha tirato fuori. Infatti fino a oggi solo Singapore e Israele hanno autorizzato la vendita di carni coltivate. Proprio nel piccolo stato del Medio Oriente è sorta la Stakeholder Foods, un’azienda leader nella lavorazione delle cellule animali. “La nostra missione – si legge nel sito della startup con sede in Israele – è rendere la vera carne sostenibile, deliziosa, pulita. La carne è un fulcro della cultura che dobbiamo produrre in modo da preservare i nostri ecosistemi, mantenere sicuri il nostro cibo e l’acqua dolce e proteggere il benessere degli animali. Miriamo a trasformare il modo in cui la carne viene acquistata e fornita al mondo. Ma non possiamo farcela da soli. Ecco perché siamo diventati pubblici fin dall’inizio e siamo diventati la prima azienda di carne coltivata quotata al Nasdaq” (mercato azionario telematico statunitense creato con l’obiettivo di facilitare gli scambi di titoli che avvengono al di fuori delle borse valori ufficiali, ndr).
Lo scorso aprile Stakeholder Foods ha collaborato con Umami Meats, con sede a Singapore, per creare il primo taglio intero al mondo di cernia coltivato, stampato in 3D. “In questa prima degustazione, abbiamo presentato un prodotto coltivato che si sfalda, ha un sapore e si scioglie in bocca esattamente come dovrebbe fare il pesce”, ha commentato durante la degustazione Mihir Pershad, cofondatore e amministratore delegato di Umami Meats. “Stiamo ancora mangiando carne nel modo in cui l’abbiamo consumata migliaia di anni fa – sottolinea Arik Kaufman, amministratore delegato di Stakeholder Foods – quindi abbiamo deciso di adottare un nuovo approccio per provare a reinventare il modo in cui viene prodotta la carne”. Assaggiatore e testimonial d’eccezione del cibo sintetico è stato il primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu. “Oggi – ha commentato – abbiamo mangiato pesce prodotto senza pesce e carne prodotta senza bestiame. Questa è una rivoluzione globale. Israele è un leader globale nel campo delle proteine alternative e faremo in modo di continuare a guidare”. D’altra parte nell’ottobre del 2021 il governo israeliano aveva formato un consorzio per la carne coltivata sostenuto da un finanziamento di 18 milioni di dollari. Una strada intrapresa anche sulla scorta delle tante ricerche in atto nel mondo, in particolare quella delle Nazioni Unite. Quasi il 90% della popolazione ittica marina globale, sottolinea lo studio, è sovra sfruttata o impoverita. Per quanto invece riguarda la carne, l’allevamento del bestiame genera quasi il 15% delle emissioni totali di gas serra. Secondo un rapporto del 2022 dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, la carne coltivata in laboratorio potrebbe aiutare a ridurre tali emissioni diminuendo l’uso di terra, acqua e nutrienti. Anche la Nasa sta conducendo vari esperimenti.
Tra i contrari alla carne sintetica, in prima fila c’è Coldiretti. “La carne da laboratorio – ha tuonato la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana – non salva gli animali, perché sfrutta i feti delle mucche e non salva l’ambiente, perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali. In più non aiuta la salute, perché non c’è garanzia che i prodotti chimici siano sicuri e non è accessibile a tutti perché per farla serve, addirittura, un bioreattore”.
Di business delle multinazionali, invece, ha parlato Federico Varazi, vice presidente Slow Food Italia. “È solo l’ennesimo grande affare delle multinazionali del cibo, che distrae il consumatore, spostando gli interessi verso un nuovo business. Il cibo che diventa merce di scambio come tante sui mercati nazionali… frutto di una deriva tecnologica che lo rende priva di qualunque significato culturale. Essa lo priva dal legame con i territori, con le comunità che ci vivono e con i loro sapori e tradizioni”.
Ma come funziona, in concreto, la coltivazione della carne in laboratorio? Ecco come lo spiega la Fondazione Umberto Veronesi: Attualmente la carne coltivata è un prodotto che nasce a partire da cellule animali che vengono prelevate tramite una biopsia e fatte crescere su un terreno, una soluzione, ricco di nutrienti. Dopo la crescita, queste cellule staminali, che non presentavano alcuna specializzazione, si differenziano in una cellula di interesse, nel caso specifico in una cellula muscolare. Queste cellule staminali si differenziano anche rimanendo all’interno dell’organismo di partenza; quindi, non viene in nessun modo modificata ma procede in quella che è la fisiologia della cellula. Dalle singole cellule, messe insieme, si costituisce poi un tessuto che darà quindi origine a quello che sarà il prodotto finito. La ricerca, in questi anni, si è concentrata per rendere questo processo riproducibile su larga scala. Lo strumento che si è dimostrato utile ai fini del raggiungimento di questo scopo è il bioreattore. Un nome che, anche in questo caso spaventa ma che è stato in realtà già impiegato nella produzione di altri alimenti come birra e yogurt. Lo scopo di questo strumento è di mantenere una temperatura controllata e utile a tenere in vita le cellule e di rifornirle di nutrienti.
Il passaggio finale, poi, vede le cellule, che si differenziano in muscolari o adipose, trasformate in bio-inchiostri (una formulazione di cellule e materiali leganti) e inserite in cartucce nella stampante 3D. Il processo di stampa consente di personalizzare le bistecche offrendo ai consumatori la possibilità di scegliere la composizione grassa del loro taglio. Una volta che il processo è partito, teoricamente è possibile continuare a produrre carne all’infinito senza aggiungere nuove cellule da un organismo vivente. Si è stimato che, in condizioni ideali, due mesi di produzione di carne in vitro potrebbero generare 50.000 tonnellate di carne da dieci cellule muscolari di maiale. Il tutto in una piccola stanza…
Naturalmente anche i produttori di latte sintetico utilizzano diverse fonti di cellule staminali, tra cui cellule staminali mammarie bovine e funghi geneticamente modificati. Si lavora anche sulle uova e altri alimenti di origine animale. Nel Paese a stelle e strisce, ad esempio, si sta lavorando per lanciare un sushi da salmone coltivato in laboratorio. Finanziamenti e raccolte fondi si registrano in tante nazioni e diversi analisti sono pronti a scommettere che entro il 2040 il 35% di tutta la carne consumata arriverà da cellule staminali, mentre i sostituti a base vegetale copriranno una quota di mercato pari al 25%. Certo, parliamo di stime e numeri che potrebbero essere smentiti nei prossimi anni, ma ciò che resta inconfutabile è lo stato del nostro Pianeta. Più dell’80% dei terreni agricoli globali, infatti, e non parliamo di numeri tirati fuori dal sacchetto della tombola natalizia…, attualmente è utilizzato per ottenere prodotti di origine animale, come appunto la carne. Udite, udite, però: l’apporto calorico per l’uomo, ricordano gli esperti, è solo del 18% e quello proteico del 37%. Giusto per fare qualche nome, Brasile e Stati Uniti sono i più grandi produttori di soia, ma solo il 7% viene impiegato per prodotti alimentari consumati da noi umani. Tutto il resto dei semi di soia, e cioè il 77%, finisce nella realizzazione di mangimi destinati all’alimentazione del bestiame allevato per la produzione di carne. Il corto circuito, dunque, è più che mai evidente e non è più possibile non provare a ripararlo…
Per non parlare della deforestazione mondiale la cui principale causa (41%), è legata alla produzione di carne. Carta e legname, invece, raggiungono insieme il 13%.
Anche il cambiamento climatico deve al settore alimentare una buona fetta dei guai generati. Basta pensare che prodotti animali come la carne producono gas serra da 10 a 50 volte in più di quelli vegetali. Tranne ovviamente le eccezioni, in questo caso rappresentate da cioccolato, caffè e olio di palma.
Al momento, anche se ci sono i primi consumatori, la ricerca della carne coltivata possiamo inserirla in una fase iniziale. Di conseguenza anche le evidenze scientifiche sulla sicurezza non possono che avere numeri tali da non permettere valutazioni esaustive e definitive. Quindi una buona dose di cautela in merito a studi, ricerche e annunci, più o meno clamorosi, sarebbe consigliabile. E comunque, il giorno in cui il prodotto dovesse entrare nel mercato europeo, avrà dovuto superare gli stretti controlli e le normative dell’Autorità Europea sulla Sicurezza Alimentare (Efsa).
Nel frattempo, però, in attesa di un quadro più completo, non possiamo restare con le mani in mano dinanzi al disfacimento della casa comune donataci dal buon Dio. Tutta l’umanità deve prendere coscienza del problema ambientale, dalle emissioni di gas a effetto serra, che portano al riscaldamento globale e causano il cambiamento climatico, all’uso di suolo e di acqua che ne deriva. Ignorare tutto ciò significherebbe incamminarsi lungo il sentiero dell’autodistruzione.