SPUMIAMOCI IL CARNEVALE

ABRUZZO DEL GUSTO
By Gloria Danesi
Pubblicato il 7 Febbraio 2016

Parliamo dei deliziosi pasticcini frutto di un impasto a base di mandorle, limone, cannella, glassa di albume di uovo e zucchero  Spumeggiante e cerimonioso è l’Abruzzo a tavola, in piazza e fuori piazza! A Milano, in occasione di Expo 2015 presso la sede di Casa Abruzzo, nello storico quartiere di Brera, tra le molte iniziative è stato presentato il progetto tutto al femminile My Wedding Abruzzo, il cui obiettivo è quello di convincere gli sposi a celebrare la cerimonia del matrimonio in qualche località di una regione, così ricca di scenari ideali per questo tipo di festa. I visitatori – oltre alle stupende immagini – sono stati deliziati con le bontà culinarie abruzzesi, connubio insuperabile di tradizione e materie prime uniche. Nel menù: mezze maniche al sugo, con basilico e pecorino, ventricina, salami e formaggi di ogni tipo, vino della casa abbinato al fiadone e in ultimo i dolci della sposa, i classici bocconotti e gli spumini accompagnati da due eccellenti liquori l’acqua santa e la ratafia.

Proprio sugli spumini abruzzesi intendiamo stavolta soffermarci. Deliziosi pasticcini a forme di barrette (6-8 cm di lunghezza e 3 cm di spessore) frutto di un impasto a base di mandorle, limone, cannella, glassa di albume di uovo e zucchero. Con lo sbattimento delle chiare si perviene ad una pasta sostenuta dalla cui massa, dopo aver tolto una quarta parte, si aggiungono: mandorle tritate, cannella in polvere e buccia di limone grattugiata. Versato l’impasto su di una spianatoia si realizzano dei grossi cannelli schiacciati che, spalmati con le chiare precedentemente montate, si tagliano in pezzetti (tipo wafers) e posti a cuocere in forno a fiamma debole per 15-20 minuti. Per i più curiosi diciamo che l’acqua santa, sopra nominata, è un liquore forte, gustoso e dall’intenso profumo, preparato con infusione di erbe, radici ed agrumi, ottimo digestivo, in grado di esaltare macedonie e gelati. Viene utilizzata dai famosi cuochi di Villa Santa Maria (Ch) per la preparazione di piatti alla fiamma.

Dolci, maschere, coriandoli, balli e carri allegorici sono le peculiarità del carnevale la festa che dappertutto entusiasma piccoli e grandi. A Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, questo periodo di euforia è talmente sentito che alla chiusura dei festeggiamenti vengono celebrate solenni esequie alla sua personificazione. Al “carnevale morto” è riservata – nel giorno delle ceneri – una parodia del rito funebre, un corteo di maschere vestite a lutto si snoda per le vie del centro storico, sfila dietro la bara contenente non un fantoccio ma un carnevale in carne ed ossa. La colonna sonora, curata dalla banda cittadina, alterna musiche funebri e brani irriverenti, il finale prevede graffianti scene satiriche che mettono alla berlina personaggi locali e politici. Nell’aria aleggia uno spirito scherzoso e beffardo, assieme al profumo di vin brulé e castagnole. La manifestazione – che risale ai primi decenni del secolo scorso – deriva dalla commedia dell’arte dove, a quei tempi, il carnevale sfilava a dorso di un asino impartendo con un baccalà (pesce) benedizioni agli astanti. Montorio offre anche altro, vedi l’eccellente enogastronomia teramana come anche monumenti di pregio. Tra questi: la collegiata di San Rocco con i suoi altari lignei in stile barocco e alcuni preziosi arredi; la chiesa dei Cappuccini dove e conservato uno splendido altare intagliato da fra Palombieri da Teramo, di rilievo anche il chiostro; bello il centro storico, dove tra i tanti palazzi antichi, spicca quello dei Catini per il meraviglioso portale quattrocentesco. Da non perdere, inoltre, per gli amanti delle rievocazioni storiche La congiura dei Baroni, manifestazione che si tiene nel mese di giugno, e per i golosi il bocconotto reale (uova, mandorle, marmellata di uva e prugne, limone).

La gente d’Abruzzo conosce il profondo significato del tempo della gioia, esaltandosi all’inverosimile, ma anche quello della mortificazione in attesa della resurrezione del Cristo e dei “poveri cristi”, quest’ultimi un tempo piuttosto numerosi in una terra a volte ostile. La cultura agropastorale conosce la ciclicità del tempo e quindi non teme l’austerità della quaresima avendo adottato il motto “Ciò che non ci spezza ci rende forti e… gentili”.

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