SOFFERENZA E MORTE NEL PIANO DI DIO?

By Michele Seccia
Pubblicato il 31 Maggio 2013

È UNA QUESTIONE CHE MERITA CHIAREZZA SO-PRATTUTTO PER RISPONDERE AL MODO DIVERSO, FORSE ANCHE POLEMICO, CON CUI IL CREDENTE SI INTERROGA SU TALE ARGOMENTO: se Dio è buono e ha creato tutto per amore, perché esistono la sofferenza e la morte? Questa domanda si ripresenta spesso nei momenti critici quando si pensa che la vita sia più sofferenza che gioia, più dolore che serenità e il vivere sembra essere una condanna piuttosto che motivo di consolazione! E non è solo il pessimista a lasciarsi prendere da tali pensieri, ma anche chi confonde la fede con una garanzia di felicità tutta da godere e che, di fronte alle difficoltà, se la prende con Dio che non avrebbe fatto le cose perbene! Il racconto della Creazione, nei primi due capitoli della Genesi, chiarisce con un linguaggio semplice una verità che il catechismo dei giovani spiega così: “Dio non vuole che gli uomini soffrano e muoiano. L’idea originaria di Dio per gli uomini era il paradiso, ovvero la vita eterna e la pace fra Dio, gli uomini e il loro ambiente, fra uomo e donna” (YC 66). È evidente il riferimento alla bontà di tutto il creato con la ripetuta affermazione Dio vide che era cosa buona e, a proposito della creazione della prima coppia, aggiunge che era cosa molto buona.

Insomma una situazione ideale di partecipazione alla vita divina, di armonia tra Dio e la creatura, tra uomo e natura, ben spiegata con l’immagine dell’avere a disposizione tutto e il passeggiare nel giardino. Condizione definita nel Catechismo della chiesa cattolica di santità e giustizia originale (n.375), che l’uomo ha perso con “la caduta” o peccato. Rimandando al prossimo articolo la riflessione sul peccato, credo sia utile ora riflettere sul progetto originario di Dio a partire dalla nostra esperienza personale. Per quanto sia limitata e, di primo acchito, impossibile, facciamo la prova… Infatti, chi di noi non ha sperimentato momenti nei quali ha avuto piena coscienza della bellezza e della bontà della vita? Esperienze che avremmo voluto prolungare nel tempo. Ma che troppo presto sono svanite! Ho parlato di momenti, di attimi fugaci poiché, quasi contemporaneamente, ci ritroviamo in situazioni nuove avvertendo una conflittualità interiore tra ciò che è bene per noi, ciò che vorremmo o dovremmo essere e ciò che siamo realmente, quando compiamo delle scelte in rapporto o a regole già stabilite da altri, o anche a decisioni assunte da noi stessi, però, in altri contesti. Nel nostro agire “in libertà”, preferiamo ciò che ci appare in quel momento più facile, più comodo, più interessante, magari per ottenere un maggiore successo, provare una forte emozione, aspirare all’affermazione di noi stessi a tutti i costi, avendo di mira solo ed esclusivamente il fine gratificante che intendiamo perseguire senza pensare alle eventuali conseguenze negative. Ad esempio: causare il male altrui, ignorando i loro eventuali diritti per affermare i nostri ad ogni costo, con la conseguenza di alterare o rovinare anche relazioni belle ed importanti con i genitori, gli amici, o anche con Dio, il cui amore riecheggia nella nostra coscienza. E quando ce ne rendiamo conto, anche ciò che, nel momento della scelta, ci è apparso migliore e giusto diventa motivo di sofferenza, di disagio interiore accompagnato da un recondito e impossibile desiderio di cancellare il passato!

Quanto ho cercato di spiegare è una pallida idea (ma molto realistica) di ciò che la sacra scrittura spiega come la caduta nel peccato le cui conseguenze hanno determinato l’abbandono del paradiso da parte di Adamo ed Eva: da una situazione di sintonia con Dio, con il creato e con il proprio simile si è passati ad una condizione di precarietà dovuta alla fatica del lavoro, alla sofferenza, alla paura della morte e alla dissoluzione del proprio corpo, ad un futuro ignoto. Di fronte a queste constatazioni può sorgere il dubbio sulla effettiva bontà e bellezza del piano di Dio nella creazione! Anzi è il primo pensiero, quasi istintivo dovuto all’autodifesa per cercare il responsabile che, quasi sempre, è Dio! A tale proposito mi viene in mente un’espressione che ripeto spesso: quando tutto va bene, il merito è mio, se qualcosa va male la colpa è di Dio! E non sono pochi quelli che, convinti, ne fanno una ragione di vita, allontanandosi dalla fede o limitandosi ad una pratica abitudinaria.

A TE CARO AMICO che stai leggendo, rivolgo l’invito a non lasciarti vincere da simili pensieri e, pensando alla dignità della persona umana che Dio ha dotato di libertà, coscienza e volontà, ti offro una frase di san Giovanni Crisostomo (349/350-407), dottore della chiesa, che ci lascia pensare: “Abbiamo perso il paradiso, ma abbiamo ricevuto il cielo, e per questo il guadagno è superiore alla perdita”. Se, a causa del peccato originale, l’uomo ha perso la condizione beata, la colpa, però, ci ha aperto il cielo con l’incarnazione, la passione e morte di Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, nostro Salvatore

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