SINDACATO E GOVERNO

La nostra periodicità non consente una prima valutazione dei risultati delle elezioni europee e amministrative del 25 maggio. Lo faremo nella prossima nota potendo disporre anche dei ballottaggi per le amministrative. Il “menù” della politica interna è, comunque, ricco di proposte, tra le quali il riesplodere in Lombardia di gravi fatti di corruzione (con tinte politiche da sinistra a destra) legati ai lavori dell’Expo-2015; l’arresto dell’ex ministro Scajola, e le conclusioni del congresso nazionale della Cgil. Delle vicende lombarde basterà dire per ora (non essendo conclusa l’iniziativa della magistratura) che si differenziano da Tangentopoli dei primi anni 90 perché allora i “tangentisti”, nella maggior parte dei casi, operavano per procurare soldi ai propri partiti senza particolari vantaggi personali. Oggi, invece, sfruttano vecchie e nuove posizioni di partito per arricchire se stessi. Pertanto la politica continua a degradare nel giudizio dei cittadini, come, sicuramente, dimostreranno le prossime indagini demoscopiche.

I contenuti e le conclusioni del congresso nazionale della Cgil meritano particolare attenzione per tre ragioni. La prima, perché è il maggiore sindacato italiano di lavoratori e pensionati. La seconda, perché il congresso è stato dominato dalla questione del rapporto sindacati-governo nella drammatica situazione economico-sociale in cui versa l’Italia. La terza, perché per la prima volta nella storia della Cgil, da sempre proiezione sindacale della sinistra politica (Pci-Psi, prima, Pds, Ds e Pd, poi) il segretario del maggiore partito della sinistra, e oggi anche presidente del Consiglio (Renzi) non solo non si è recato al congresso, ma è stato oggetto di pesanti attacchi dalla segretaria della Cgil (la Camusso, confermata, a larghissima maggioranza per altri quattro anni) ai quali Renzi ha risposto con altrettanta durezza. In sintesi estrema queste le posizioni di contrasto. Per la Cgil (ma anche, nella sostanza, per Cisl e Uil) il rapporto sindacato-governo deve continuare a essere regolato dalle intese “consociative” raggiunte nel 1993 col governo Ciampi soprattutto su due punti. Il primo, che le grandi scelte di politica economica e sociale devono essere assunte dal governo dopo intese preventive con i sindacati e con gli imprenditori. Il secondo, che, di conseguenza, il rapporto sindacato-imprenditori deve restare vincolato soprattutto ai contratti nazionali di categoria e di settore. Per il segretario del Pd e presidente del Consiglio, invece, le decisioni di politica economica e sociale spettano al governo e al parlamento sentite le parti sociali. E gli apprezzamenti espressi, a suo tempo, da Renzi per l’iniziativa di Marchionne di far uscire la Fiat dalla Confindustria al fine di dare forza ai contratti aziendali e di settore, lasciano intendere che Renzi consideri ormai non tanto i contratti nazionali di lavoro ma la loro mitizzazione un ostacolo anziché un supporto agli impegni necessari (da parte del governo e delle parti sociali) per la ripresa della occupazione e della competitività del nostro sistema produttivo. E poiché inoltre (e non solo per Renzi, ma anche per autorevolissimi esperti nazionali e internazionali, di diverse matrici culturali e politiche) la stagnazione dei salari e della competitività del nostro sistema economico è, sicuramente, il risultato anche della mitizzazione dei contratti nazionali da parte dei sindacati e di Confindustria, mi sembra utile concludere ricordando queste osservazioni di Giuseppe Di Vittorio – il grande segretario della Cgil e, allora, deputato comunista – fatte alla vigilia del IV congresso nazionale della Confedera-zione nel 1955: “Il compito fondamentale che incombe ad ogni sindacato è quello di ottenere i più alti salari possibili in ogni azienda e in ogni settore tenendo conto che esistono limiti differenziati da azienda ad azienda dello stesso settore. (…) Il fatto che la Cgil, sottovalutando questo processo di differenziazione, abbia continuato negli ultimi anni a limitare la sua attività salariale quasi esclusivamente alle contrattazioni nazionali di categorie generali è stato un grave errore”.