SI COMPLICA IL NODO GERUSALEMME
È veramente un danno che gli americani abbiano perso un credibile ruolo di mediatori nella pace in Terra Santa. Potrebbe esserne capace l’Europa? In tremila anni Gerusalemme è stata assediata e conquistata quaranta volte; in due casi fu completamente distrutta. Fra l’ Antico e il Nuovo Testamento ci sono circa mille citazioni principali e diecine di altri riferimenti minori. È considerata città santa dalle tre grandi religioni monoteistiche, ebraica, cristiana e islamica, anche se nel Corano non viene mai nominata. Da alcuni decenni è al centro della maggiore, e praticamente perenne, crisi internazionale, quella che squassa l’intero Medio Oriente, le cui tensioni potrebbero allentarsi se il nodo Gerusalemme fosse risolto. Ma il buonsenso non sempre caratterizza i comportamenti politici: lo dimostra la decisione, presa lo scorso 6 dicembre dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, di trasferire l’ambasciata del suo Paese da Tel Aviv, capitale amministrativa di Israele, a Gerusalemme Ovest, senza che alcun accordo sia stato raggiunto fra gli interessati, il governo israeliano e l’Autorità palestinese, che da anni si scontrano in cerca di un possibile compromesso sul destino della città. La scelta di Washington ha innescato una serie di reazioni, in massima parte negative: adirate da parte islamica, ad altri livelli sconcertate per l’inopportuna iniziativa. Trump è riuscito non soltanto a collezionare un unanime rigetto sul piano mondiale ma anche a scontentare gli stessi americani, che in meno di un terzo sono d’accordo con lui. E se si dava per scontata la contrarietà del mondo islamico e degli avversari storici, come la Russia e la Cina (la cui politica di espansione viene favorita dagli errori di Trump), non altrettanto si poteva pensare di tradizionali alleati, come i paesi dell’Unione Europea, i membri della Nato, alcuni governi latino-americani. Alle Nazioni Unite gli Usa soltanto facendo uso del diritto di veto hanno impedito l’approvazione di una mozione di sfiducia del Consiglio di Sicurezza, presentata da Turchia e Yemen, e votata compattamente dagli altri 14 membri, europei compresi; ma non hanno potuto evitare un duro schiaffo in assemblea, con 128 voti di condanna e soltanto 9 contrari, fra cui gli Stati Uniti e Israele (con 35 astenuti e 20 assenti). Accorate le reazioni delle autorità religiose, a partire da papa Francesco che (come precisa una nota vaticana) “eleva ferventi preghiere affinché i responsabili delle Nazioni, in questo momento di particolare gravità, si impegnino a scongiurare una nuova spirale di violenza”, e del quale viene ricordato il richiamo al “singolare carattere della città santa e l’imprescindibilità del rispetto dello statu quo, in conformità con le deliberazioni della Comunità internazionale e le ripetute richieste delle Gerarchie delle chiese e delle comunità cristiane di Terra Santa”; e quel rispetto è richiamato in una nota delle conferenze episcopali europee mentre per il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, “ogni soluzione unilaterale non può essere considerata una soluzione”.
I responsabili delle confessioni cristiane di Terra Santa hanno diffuso una dichiarazione che parla di un “danno irreparabile” per la decisione americana, che “porterà solo violenza, odio e conflitti, arrecando sofferenza a una regione che avrebbe bisogno di unità piuttosto che di distruttive divisioni”: porta la firma di vescovi e patriarchi di rito greco, siriano, armeno, etiope, copto-ortodosso, greco-melchita, siro-cattolico, evangelico e luterano, insieme con il custode della Terra Santa, padre Francesco Patton, e l’amministratore apostolico del Patriarcato latino, monsignor Pierbattista Pizzaballa, il quale ha denunciato “i gesti unilaterali che allontanano la pace”. Anche un rabbino, Jeremy Milgrom, afferma, con i sostenitori del dialogo, che “la decisione di Trump rende tutto più difficile”. Il passo americano farà scorrere sangue: già si contano morti, feriti, assalti ad ambasciate Usa, dimostrazioni di piazza represse con la forza, chiamate alla violenza, atti di guerra e uno stato di tensione permanente. E induce anche a misure di ritorsione come quella immaginata dal presidente turco Recept Tayypp Erdogan, che trasferirà l’ambasciata del suo paese a Gerusalemme Est, invitando altri, specialmente gli islamici, a farlo. Nel frattempo il vicepresidente Mike Pence assaggia una serie di rifiuti a incontri da parte del leader palestinese Abu Mazen e del suo ministro degli esteri, del leader dei cristiani copti Tawadros II, di monsignor Pizzaballa e del grande Imam della moschea cairota di al-Azhar. Mentre molto fredda è stata l’accoglienza al premier israeliano Beniamin Netanyhau, in missione in Europa, da parte sia del rappresentante per la politica estera della UE, Federica Mogherini, sia del presidente francese Emmanuel Macron. È veramente un danno che gli americani abbiano perso un credibile ruolo di mediatori nella pace in Terra Santa. Potrebbe essere il momento dell’Unione Europea: ne sarà capace?