SÌ AI PARTITI NONOSTANTE TUTTO

By Nicola Guiso
Pubblicato il 3 Ottobre 2014

In un fondo del Corriere della Sera il costituzionalista Michele Ainis ha fatto una (parziale) analisi sulla crisi in Italia della democrazia rappresentativa, che è in occidente la forma più alta di tutela delle libertà civili e dello sviluppo economico e sociale del popolo. Il titolare, nella democrazia rappresentativa, del diritto di eleggere i propri rappresentanti negli organi legislativi e di governo, e di organizzarsi in libere associazioni democratiche, col fine di conciliare le aspirazioni delle persone, dei gruppi sociali e delle classi con quelli generali della comunità.

La democrazia rappresentativa – lo dico per memoria – che ha consentito all’Italia del 1945, devastata moralmente e materialmente dalla guerra, di diventare trent’anni dopo la quinta potenza economica al mondo; creando e sviluppando nello stesso tempo una rete di protezioni sociali e sanitarie per i cittadini tra le più estese e generose d’Europa.

L’analisi di Ainis è parziale perché coglie correttamente gli effetti della crisi della democrazia rappresentativa nel profondo distacco che s’è creato tra cittadini, gli organismi politico-istituzionali (partiti, parlamento, governo centrale, assemblee regionali e consigli comunali) e soggetti associativi, quali le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati. Un distacco reso evidente dai sondaggi, per i quali solo il 6% dei cittadini ha fiducia nei partiti (per l’immoralità e l’incapacità di tanti dirigenti); solo il 16% nel parlamento; meno del 30% nelle organizzazioni imprenditoriali e meno del 20% nei sindacati. La fiducia dei cittadini si è invece “rifugiata” in forme estreme di personalizzazione del potere, come dimostrano i consensi di cui godono il capo dello stato; i leaders dei partiti rispetto ai loro organi collegiali; i leaders di governo rispetto al consiglio dei ministri e ai gruppi parlamentari della maggioranza; i presidenti delle regioni e i sindaci rispetto alle assemblee regionali e ai consigli comunali.

Un prevalere dunque di leaders solitari, spesso portati a legittimarsi e ad esercitare il potere soprattutto usando la forza mediatica della Tv, dei tweet, dei sondaggi, delle consultazioni a mezzo internet. Con la tentazione di realizzare l’utopia di cittadini che sostengono o avversino decisioni essenziali per se stessi e per il paese schiacciando un tasto del computer durante la colazione. Una utopia che è tale (ma Ainis tace su questo punto) in quanto i problemi che condizionano la vita delle società del nostro tempo rendono in occidente insostituibile, più che mai in passato, la democrazia rappresentativa. Perché anche in presenza di fenomeni quali la globalizzazione della finanza e del commercio, e l’affermarsi nel mondo di nuove e dinamiche potenze economiche e politiche, essa consente di selezionare in libere elezioni i membri delle istituzioni e dei grandi soggetti associativi; e di verificare costantemente la loro moralità e la loro capacità operativa da parte dei cittadini.

Ma ridare in Italia prestigio e fiducia a tale forma di rappresentanza e di governo sarà possibile (Ainis tace anche su questo punto) solo se si tornerà a dibattere con serietà sul modo di essere e di operare dei partiti, che erano e restano l’elemento fondante della democrazia rappresentativa. Cioè a dibattere di organismi (i partiti appunto) capaci di aggregare liberamente coloro che abbiano in comune una certa idea della natura e dei fini dell’uomo, della società e della storia. Organismi capaci, nello stesso tempo di favorire la ricerca  dei modi e degli strumenti più idonei a realizzare il massimo possibile di quell’idea: considerando le situazioni date, e attraverso il costante e libero confronto al proprio interno, e quello con gli altri partiti nelle istituzioni e nella società.

Solo in questo modo sarà possibile ridare vigore alla democrazia rappresentativa, che ha segnato in modo indelebile – come detto – in termini di libertà e di progresso civile e sociale, la storia delle nazioni dell’occidente negli ultimi due secoli, e quella dell’Italia repubblicana.

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