SEMINATORI PAZIENTI E MISERICORDIOSI COME IL PADRE
Uno dei pilastri su cui si fonda la fede di ciascuno e si misura l’efficacia della parola di Gesù nelle scelte della vita è dato da come la si ascolta. Siamo talmente sommersi dalle tante parole, che ovunque hanno il senso del frastuono, del non senso, che abbiamo perso la capacità di ascoltare, di approfondire.
Così, senza che ce ne accorgiamo, lasciamo che il campo della nostra anima, assetato di verità e amore, venga sommerso da malefiche “spine, rovi e sassi”, come se noi fossimo gente solo da far divertire, non fare pensare. Leggendo il vangelo, invece, si ha come l’impressione viva che Gesù percorra tutte le regioni della Terrasanta, offrendo a tutti la sola “buona novella” del regno di Dio. Se ascoltiamo il maestro, che parla a noi, scopriamo che la sua parola è di un’attualità che sconcerta. Egli ci invita a capire, in primo luogo, di quale natura è il nostro “campo” Oggi spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro nel profondo dell’anima e del cuore.
Può essere un terreno sassoso, in cui vi sono spazi di bontà che sono apertura a Dio, ma basta una difficoltà e il piccolo seme, che si era affacciato al sole dell’anima, si affloscia e, della gioia che si era conosciuta nell’accogliere Dio che ci parla, rimane nulla. Può essere un terreno, invaso dalle spine, in cui il seme riesce a passare, ma poi il groviglio non perdona. E queste spine Gesù le chiama “le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze”. Oggi, in un tempo di ricerca di benessere, come è facile imbattersi in terreni spinosi, poco adatti per la crescita della parola. E alla fine si giunge a essere incerti anche sul senso della vita su questa terra, il cuore finisce per essere devastato dal dubbio, che può tramutarsi in disperazione.
Gesù non vuole che il suo campo sia un deserto di morte e neppure un groviglio di spine o un terreno sassoso, dove è impossibile attecchisca la vita. Vuole la nostra piena realizzazione, per questo ci invita a diventare terreno buono, e non ci lascia soli nel cammino.
Non resta, allora, che prestarci come terreno buono, per ottenere, se non il cento per cento, almeno il trenta! Vorrà dire che Dio è passato, e non inutilmente, perché nascerà in noi l’urgenza di diventare noi stessi buoni seminatori della parola nell’ambiente in cui viviamo, sapendo che, come sottolinea Gesù, occorre per prima essere un terreno buono, cioè credenti che si aprono totalmente alla parola, che diventa vita, per poi essere missionari della parola. Questo il vero coraggio a cui siamo invitati. È facile, infatti, una certa superficialità nell’ascolto senza mettersi in discussione. Oggi davvero sono tanti i nemici che seminano cattiva semente o zizzania. Siamo davvero assediati da “criminali maestri”, come li definì Paolo VI, che, con l’inganno, tanto simile a quello di satana verso Eva, ci suggestionano, offrendoci la possibilità di una felicità in uno stile di vita, che nulla ha a che fare con il vangelo. Così, lentamente, lasciandoci affascinare dalle varie mode, che il consumismo propone, senza accorgercene, restiamo assediati dalla zizzania e, inesorabilmente, non siamo più quello che avremmo voluto essere, accogliendo la parola.
Può anche accadere di essere, per grazia, terreno buono, che si impegna a seminare buon grano, ma anche in questo caso è importante vigilare, per non cadere nella tentazione dei servi, narrata nella parabola della zizzania: la tentazione dello zelo inopportuno, che è la voglia, che prende tanti, di allontanare, di estirpare dalla comunità quanti si trovano avvinti dalla zizzania; penso ai divorziati, a chi vive nel peccato, anche se non vorrebbe, a tanti insomma che ancora conservano la voglia di Dio e di verità, ma senza riuscire a incarnarla nella vita. Dio rigetta questo zelo e invita ad attendere il tempo della mietitura, sforzandoci solo di restare terreno buono, fino al compimento dell’attesa stessa di Dio: la grande attesa della misericordia del padre, sempre pronto a darci una mano, lui, così misericordioso, nel liberarci dal male. È la divina raccomandazione ad avere fiducia nella misericordia e pazienza del padre, verso di noi e verso tutti. La comunità cristiana, ognuno di noi, dovrebbe essere il “riflesso” di questo amore misericordioso e paziente del padre, di cui fa continuamente esperienza nella propria vita, dando una mano, mostrando dolcezza, comprensione, invitando alla speranza, aiutando i deboli a tornare forti, senza pregiudizi, senza chiusure, senza condanne. Dio ama ciascuno e vuole che tutti, ma proprio tutti, siano salvi e ha tante vie per tagliare le radici della zizzania… se noi lo aiutiamo e glielo permettiamo. Non stanchiamoci mai di rivolgergli spesso la preghiera insegnataci da Gesù:
“Non permettere che soccombiamo alla tentazione, ma liberaci dal male!”, perché davvero la parola trasformi la nostra vita e possiamo così diventarne annunciatori credibili, gioiosi e … misericordiosi!