Denis Villeneuve ha portato (nuovamente) sul grande schermo Dune, l’epopea letteraria ideata da Frank Herbert. E questo gli è stato premiato con ben 6 statuette, nella serata degli Oscar: Miglior Fotografia, Miglior Scenografia, Miglior Montaggio, Miglior Sonoro, Miglior Colonna Sonora e Migliori Effetti Visivi.
Tra le opere più diffuse al mondo, laboratorio di grandi innovazioni per il genere fantascientifico, Dune è stato in grado di ispirare perfino il mondo di Star Wars. Tra i precedenti tentativi filmici della saga, il più riuscito, quello di David Lynchdel 1984, aveva cooperato a rendere noto il Duniverse anche a coloro che non conoscevano le trilogie del romanzo.
La storia di Dune (ne avevamo già parlato nel numero di ottobre dello scorso anno, ndr) ruota intorno alla figura di Paul che con la famiglia si trasferisce sul pianeta desertico di Arrakis. Qui l’acqua è un bene raro che nella vita tribale della popolazione locale, i Fremen, diventa oggetto di culto insieme alle misteriose creature che abitano il sottosuolo del deserto. Su Arrakis (che per i locali è semplicemente Dune) vivono i vermi delle sabbie, le gigantesche creature per cui Herbert è diventato famoso. Esse passano la maggior parte del tempo immerse nel sottosuolo arido, e affiorano in superficie solo per divorare chi osa rompere la sacralità del silenzio delle sabbie.
Se il film non copre nemmeno lo spazio narrativo del primo romanzo, occorre dire che il ciclo originale di Dune, con due trilogie, è molto vasto.
Qui vogliamo porre l’attenzione sulla dimensione di Paul come capo religioso e da essa ricavare una critica ai momenti attuali in cui si avvicendano guerra e pace.
Paul Muad’Dib ricorda in un certo senso Maometto che fu esiliato dalla Mecca dai Quraysh, dopo aver predicato l’unico Dio, Allah.
In Dune, Paul viene cacciato dalla Rocca imperiale e minacciato di morte. Fugge nel deserto e ben presto lui e sua madre Lady Jessica si assicurano la leadership religiosa dei Fremen, che attendeva l’avvento di un Messia che li avrebbe salvati dai Sardaukar imperiali e dagli Harkonnen.
Sotto la guida di Paul, i Fremen non solo riprenderanno il controllo di Arrakis, ma si daranno alla conquista dell’intero universo. L’aver spodestato l’imperatore Shaddam IV, permette ai Fremen di essere liberati, ma da oppressi si trasformeranno in oppressori.
E qui veniamo alla nostra realtà mondiale. Sembra che la lezione della storia, e anche del recente fantasy/fantascienza come laboratorio morale, non sia compresa dai governi che si ostinano a mostrare i muscoli e i denti all’avversario. Se vogliamo vedere il mondo che verrà, non possiamo più ricorrere all’aumento della potenza di fuoco come deterrente, e ancora meno giustificare le guerre come giuste.
Inoltre, nella situazione mondiale in cui ci troviamo, quanto è lecito armare le parti offese per metterle al pari degli aggressori? Siamo proprio convinti che questa sia la via per fermare i conflitti armati? Herbert percorre fino in fondo il paragone religioso, mostrando che il male perpetrato nei confronti dei Fremen su Dune sarà moltiplicato (a rovescio) per tutto l’impero galattico. Soltanto nei volumi seguenti, quelli che superano il film, la discendenza di Paul riparerà agli errori paterni, e qui la riflessione sulla scelta del male sarà esplorata in campo più personale.
Un altro aspetto convincente di Dune è quello di attingere a piene mani da varie teologie e culture. Tale appropriazione non è finalizzata a mettere in cattiva luce le religioni in sé, quanto a criticare la loro degenerazione in sistema di potere e di asservimento. Da questo spunto ci chiediamo, possiamo accettare (nella realtà) le benedizioni di eserciti con le icone mariane o muovere gli orgogli nazionali con il pretesto di una presunta battaglia che Dio vorrebbe per sconfiggere il peccato in popoli moralmente corrotti (estirpando insieme peccato e peccatore… lo stesso che il Vangelo, nella sua paradossalità salvifica, ci chiede di amare…)?
Certo la riflessione deve continuare, perché tanti interrogativi suscitati rimangono aperti. Spero che queste piccole provocazioni servano a domandarci come costruire una vera e duratura pace.
marco.staffolani.stf@gmail.com