Cari lettori dell’Eco, sono felice di tornare al mio appuntamento con voi in questo mese di febbraio che ci ricorda la morte di san Gabriele, avvenuta il 27 di centocinquantatre anni fa. San Gabriele, che tutti noi tanto amiamo, è morto con il sorriso sulle labbra, come ha sempre vissuto. Un sorriso contagioso frutto di un’esistenza contrassegnata dal suo profondo innamoramento per il Signore e per Maria, nonostante le tante sofferenze conosciute nella sua breve ma intensa vita.
Purtroppo, nel nostro paese, non è per tutti possibile una morte dignitosa, soprattutto per coloro che sono ammalati di malattie invalidanti che costringono in un letto i malati, come fossero agli “arresti domiciliari”, o al milione di malati di malattie degenerative mentali, come l’Alzheimer o il Parkinson, che spesso non riescono non solo a vivere ma, come ribadisco, nemmeno a morire con dignità. Perché questa nostra bella nazione, che ha un ottimo servizio sanitario, funziona a macchie di leopardo. In alcune città i malati possono essere accuditi, curati e soprattutto amati come persone e non come malattie. In altre no. e cosa possiamo fare, tutti noi, per cambiare la situazione in meglio? Emma Bonino, la leader politica radicale, che ha dichiarato ai media di avere un tumore (e di questa dichiarazione dobbiamo esserle grati), ha detto “io non sono la mia malattia”; che bella frase!
Alessio Biondino, uno dei bravissimi infermieri assistenti domiciliari italiani che seguono con grandissimo impegno i malati di Sla, ha scritto un romanzo che vale più di un’interrogazione parlamentare sulla situazione della sanità in Italia: Buonanotte Madame (edizioni 0111), dove racconta del suo lavoro con Rosa, una delle moltissime malate italiane di questa sindrome. È un libro pieno di speranza e di piccole felicità quotidiane, e anche se tutti noi sappiamo che la Sla è una malattia che porta alla morte, leggendo il resoconto quotidiano del lavoro di Alessio, comprendiamo quanto la vita sia meravigliosa e quanto alcuni malati desiderino viverla, fino all’ultimo momento.
Questo libro me lo ha consigliato una mia cara amica, Erminia Manfredi, sì, proprio la moglie dell’indimenticabile Nino: Erminia è la presidente di una onlus col nome più bello che c’è Viva la vita (www.wlavita.org). “Cara Paola – mi ha detto quando me lo ha regalato – la voglia di vivere di questi malati è immensa e il fatto più grave che può capitare è che rimangano muti, e non riescano a comunicare le proprie necessità, lo scambio di idee e l’espressione di qualunque desiderio diventano difficilissimi, ma non impossibili. I pazienti, infatti, si concentrano su qualunque abilità motoria residua, riuscendo a comunicare nonostante”. E quando queste esigenze si trasformano in una scommessa per vivere o morire, la realtà diventa tragicamente senza via d’uscita: Rosa muore soffocata, di notte, una fine terribile, perché il marito si addormenta, e non la sente e perché la tanto promessa assistenza domiciliare notturna sarebbe arrivata quattro giorni dopo.
Ogni rapporto con i malati è un incontro, ogni incontro tra persone è un dono: perché, come scrive Alessio al termine del suo libro: “non esistono malati incurabili, ma solo inguaribili”.