RI-COSTRUZIONE DELLA RETE SOCIALE CELESTINIANA
Quante pagine sono state consumate, quante interviste, quanti servizi e reportage televisivi sul tema della povertà! Sembra essere uno dei fenomeni mediatici di più ampio interesse, dove le coscienze sembrano aver pace se manifestano un minimo di compassione di fronte alla notizia dell’ultima ora. Amava dire Madre Teresa: “La povertà non si racconta… si vive”. Certo, Lei parlava di condivisione di vita con i poveri, ma per quella raffinatezza di spirito e di vita sono pochi ad accedervi.
Noi siamo abituati a raccontare la povertà, non a trattare con essa. Ai nostri giovani preferiamo stuzzicare contemporaneamente immaginazione e sentimento. Immaginazione perché i fenomeni sconosciuti sono destinati all’immaginario e sentimento perché serve socialmente indignarsi o commuoversi per qualcosa o qualcuno, di tanto in tanto. Ma né l’un caso né l’altro si rapportano con la povertà. Capire la povertà significa comprendere le situazioni di disagio, contestualizzate in famiglia, nucleo sociale, paese, città, nazione. Oggi siamo chiamati a confrontarci con la povertà estrema, confrontando le situazioni esistenti prima del sisma del 2009 con quelle rilevate dopo tale evento.
Ricordo con estrema lucidità la situazione prima del sisma quando la Fraterna Tau Onlus, l’associazione di volontariato che rappresento e che si occupa di povertà da oltre un ventennio, gestiva la mensa dei poveri in via dei giardini al civico 22 a L’Aquila nell’ex convento di San Paolo dei Barnabiti, chiamato da sempre “Il Celestino”.
Gli interventi di solidarietà cui era chiamata la Fraterna erano per lo più quelli di sostegno alle famiglie bisognose e la gestione della mensa di Celestino. Si servivano a pranzo circa 60 pasti giornalieri e altrettante famiglie bisognose venivano prima del pranzo a prendere il cibo da asporto.
Il fenomeno delle famiglie straniere era talmente circoscritto che si faceva a gara tra le varie associazioni e strutture dedicate ad accudirli.
Eravamo tutti entusiasti di svolgere un servizio utilissimo per la città. Il povero era ben definito, era standardizzato, anzi era assai conforme a quell’immaginario collettivo di cui sopra: anziano solo e con pensione minima che difficilmente poteva permettersi di accendere la luce di sera; i senza tetto, per lo più stagionali; giovani in forte disagio familiare a causa di uso di stupefacenti o comunque fuori di casa. Per tutti c’era comunque una risposta positiva, anche se non risolutiva. La mensa si sosteneva con la raccolta di viveri nei supermercati cittadini e con il banco alimentare. I soli fondi pubblici erano della regione che annualmente distribuiva un contributo per tutte le mense d’Abruzzo. Avevamo realizzato una bella e solida rete solidale. Molti lo ritenevano un “punto luce” in città
Il luogo dove si viveva era frequentatissimo da giovani, volontari, artisti, amici. C’erano i cori, le associazioni di volontariato, le cooperative sociali, la sala musica di prove e scuola di canto, sala di incisione (una delle più importanti del meridione d’Italia., frequentata con discrezione da grandi artisti come Lucio Dalla, Amii Stewart, Preziosi, Gigi Proietti eccetera). Un luogo unico, un’isola felice in città dove era possibile il rapporto amicale vero. Ma, ahimè, isola….
Dopo il sisma è la fisionomia stessa del povero che cambia radicalmente. La povertà si allarga e colpisce ceti inaspettati: famiglie con monoreddito, il cui consorte perde il lavoro d’improvviso, piccoli commercianti che vedono il negozio distrutto e dal quale non hanno potuto recuperare nulla e che per giunta, ancora giovani o meno giovani, non hanno maturato nulla per la pensione.
A questo si aggiunga la lunghissima schiera di giovani immigrati, per lo più regolari, che, con il miraggio del lavoro sicuro per la ricostruzione, sono venuti a L’Aquila da ogni parte d’Italia. Beffa e inganno si sommano perché, nonostante la ricostruzione, il lavoro manca. Le ditte sono ben equipaggiate di loro operai e tecnici.
Ce li ritroviamo giornalmente alla mensa di Celestino, ognuno con le loro storie di sofferenze inaudite… ed è qui che l’immaginario non arriva. Perché noi eravamo abituati al povero standardizzato, il vecchietto, la vedova, il senza tetto… Quì se non tratti con la povertà, non puoi immaginarla perché essa è talmente violenta e atroce che risulta perfino inimmaginabile!
Vorrei tanto raccontare storie vissute e raccontate dai protagonisti che ho guardato negli occhi, dove ho trovato l’umanità sofferente, ma pur sempre umanità. Per me quella del Cristo sofferente. Ma preferisco invitarvi a bussare alla porta del povero, a scoprire l’immenso bagaglio di saggezza e di perdono di cui è capace.
La situazione generale di recessione economica del paese amplifica il problema soprattutto a L’Aquila, città smembrata, senza attività produttive, dove la rete di solidarietà prima esistente è venuta meno.
La nuova struttura realizzata a piazza d’Armi, unica a essere ricostruita dopo un anno dal sisma, è catalizzatrice di tutte le esigenze sociali emergenti.
Tant’è vero che è stato necessario istituire un centro di accoglienza per immigrati, otto case famiglia per donne in difficoltà con bambini a carico e per minori.
La mensa in piazza d’Armi è una grande struttura complessa e dinamica dove vengono svolti i seguenti servizi:
4mensa per i poveri con circa 120 pasti giornalieri
480 pasti da asporto giornalieri
4250 buste alimentari per famiglie bisognose settimanalmente
4interventi economici antiusura
4interventi economici per pagamento
di bollette, fitti, libri scolastici
4centro di accoglienza per senzatetto
4centro di accoglienza per donne
con bambino
4case famiglia per minori
4centro polivalente per giovani
4gestione nursery
4segretariato sociale con orientamento
al lavoro e disbrigo pratiche
4corsi di lingua italiana
Attività le cui dimensioni prima del sisma erano impensabili. Non si era mai assistito al fenomeno, per esempio, dell’immigrazione clandestina di minori non accompagnati, oppure all’esplosione improvvisa del fenomeno del maltrattamento e abbandono di donne con bambini a carico.
Ma un’ultima considerazione va comunque fatta, che sottende a tutto il bisogno di ricostruzione.
Si parla, quindi, di ri-costruzione. Ma se non ricordo male, anche prima del sisma invocavamo una sorta di cambiamento drastico del modo di fare, di relazionarci, di convivere e vivere la città. Parlavamo di una sorta di rievangelizzazione a significare il grave e urgente bisogno di ricominciare da zero, almeno per le coscienze.
E allora perché ri-costruire il passato? Non sarebbe da stolti, dal momento che ci viene data l’opportunità di costruire una città solidale a misura d’uomo?
Non siamo orgogliosi di come abbiamo gestito la cosa pubblica, non siamo orgogliosi di come abbiamo vissuto la città, il quartiere, di cosa abbiamo insegnato ai nostri figli in tema di solidarietà piuttosto che di arrivismo, di valori forti tali da improntare azioni e pensieri. Da decenni non abbiamo figure carismatiche tali da rappresentare il meglio della città, da essere come esempio per le generazioni in fatto di capacità progettuali, di buon governo, di servizio per la collettività, di alta moralità.
Eppure L’Aquila ha vissuto momenti di gloria entusiasmanti quando, per esempio, nel 700 i cittadini più facoltosi istituirono ben quattro conservatori per i fanciulli poveri e per le opere pie: l’orfanotrofio San Giuseppe per gli orfanelli, il conservatorio Santa Maria della Misericordia per le fanciulle povere (…affinché evitassero di pericolare), il conservatorio di Sant’Agnese e il conservatorio Fibbioni. Essi rappresentavano una rete di solidarietà così efficiente che non aveva bisogno di nessun intervento di sostegno pubblico perché le rendite poste in essere (fitti di immobili, terreni, rendite vitalizie eccetera) per il loro sostentamento, erano sufficienti.
Nel tempo questi istituti hanno perso efficienza e attività, tanto da rendere necessario l’intervento dello stato per ripristinare funzioni e finalità: si va verso la costituzione di una Azienda sociale pubblica (Asp) con la valorizzazione di detti immobili per finalità socio-assistenziali.
È una occasione da non perdere per ristabilire in città la cultura della solidarietà, oggi sopita. E non è questione di sisma.
Quindi non ri-costruire, ma costruire la rete d’amore, l’unica capace di sostenere anche la ricostruzione delle case. Da sempre abbiamo goduto della bellezza dei palazzi aquilani. Ne sentivamo lo spirito ammaliatore antico e superbo, fatto di cultura, di tradizione, di eventi memorabili, di quotidiana bellezza… Case e palazzi intesi come luoghi vivi, dove le presenze umane danno ragione alle pietre e dove le pietre raccontano storie ineffabili di gesti di valore. Pierino Giorgi