indice del rischio

Questo è un momento grave…

By Luciano Verdone
Pubblicato il 26 Ottobre 2020

Siamo tornati alla situazione di marzo ed aprile. Con lo svantaggio di aver perso lo spirito eroico di quei giorni. Più che mai depressi e sfiduciati. Forse perché, nell’euforia solare dell’estate, credevamo tutti d’esserne venuti fuori. Ora è tornato l’incubo. Il mostro che sonnecchiava, che sembrava morto, è tornato a ruggire.

Potrebbe toccare a tutti

Ma, che differenza c’è fra questa ondata e la prima? Ce n’è una molto importante. La pandemia di primavera, in molte località del paese, è stata vissuta dall’esterno, in forma narrativa, attraverso lo schermo televisivo. Era qualcosa di terribile ma accadeva lontano. Invece, in quella che stiamo vivendo, il nemico dilaga per la penisola, raggiunge i territori che prima aveva trascurato. Capillarmente. Non risparmia nessuna latitudine. Da qualche giorno, la curva dei contagi e dei morti sale in modo inarrestabile. E, l’annuncio che coloro che conosciamo risultano positivi, diventa così ordinario da non fare più notizia. In molti luoghi la situazione è già sfuggita di mano. Sembra che, prima o poi, potrebbe toccare a tutti.

Un nemico subdolo

Il mostro. A marzo ed aprile, non ci eravamo ancora organizzati a combatterlo. Ora, conosciamo le mosse da compiere. C’è già un esercito addestrato di sanitari in campo, pronti a respingerlo. Eppure, ci troviamo di fronte ad un nemico subdolo. Invisibile, imprevedibile, per gran parte ancora ignoto. Infatti, se è vero che, per evitarlo, occorre rispettare le norme preventive, abbiamo compreso, però, che questo non basta. Anche chi si è mostrato attento a tutto, in modo scrupoloso, ne è rimasto contagiato. C’è, in questa pandemia, una dimensione aleatoria che ci rende irrimediabilmente vulnerabili.

A rischio economia e scuola

Un pensiero, soprattutto, ci angoscia. Mentre l’inverno avanza, non abbiamo ancora tra le mani le armi per combatterlo. E siamo tutti coscienti della posta in gioco. Un nuovo lockdown sarebbe tremendo, letale, per la nostra economia. Immaginiamo quante aziende, che sono il reticolo vitale del paese, sarebbero costrette a chiudere. La cosa peggiore, in questo momento, è appartenere alla categoria dei lavoratori autonomi. Piccoli industriali, artigiani, negozianti. Essi stanno vivendo nel cardiopalma. Magari sono riusciti a sopravvivere all’interruzione di primavera. Ma ora sono consapevoli che, di fronte ad una seconda chiusura, non ce la farebbero.

La sanità. Già registra i reparti anti-Covid pieni di ricoverati ed è di nuovo stressata nell’affanno di reggere al ritmo. Stanno saltando i tempi delle prestazioni. Le scuole. Se la realtà scolastica fosse un grattacielo, vedremmo, in questi giorni, le luci delle classi spegnersi una dopo l’altra. Tutti se lo chiedono. Pur con tutti gli sforzi, potrà durare quest’anno scolastico? Ammettiamolo. Se la didattica si trasferisse ancora tutta sulla rete, sarebbe un’amara regressione culturale e civile. Ma, mettiamo in conto che in una situazione come quella che si delinea, giorno dopo giorno, ciò potrebbe succedere. Cerchiamo di tenere accesi tutti i motori ma, soprattutto, facciamo quadrato sull’economia. Se crolla l’impresa privata, si trascina dietro il pubblico e lo Stato. Scuola compresa.

Risolutezza e caparbietà

Siamo arrivati a questo. All’angoscia di chi, navigando nella tempesta, pur di salvarsi, è costretto a gettare in mare quasi tutto, anche le cose più preziose, quelle che rappresentano il meglio della propria identità. Con la certezza, risoluta e caparbia, che tutto potrà essere ricostruito. È accaduto altre volte. Accadrà anche adesso. Esistiamo da tremila anni e non sarà un virus a distruggerci.

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