Hate speech, cioè discorsi di incitamento all’odio. Sono diventati un problema sociale, addirittura un’emergenza. E le Reti Sociali ne sono veicolo e catalizzatore privilegiato. Dalle parole ai fatti il passo è breve: crescono episodi di intolleranza, discriminazione. L’evangelista Giovanni: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida”
C’è un genere di parole e discorsi che hanno l’unico obiettivo di esprimere odio e intolleranza verso una persona o un gruppo, e che rischiano di provocare reazioni violente contro quel gruppo o da parte di quel gruppo. In inglese lo chiamano Hate speech, in italiano “discorsi di odio” o meglio “discorsi di incitamento all’odio”,
In effetti c’è tanto odio, tanta cattiveria in giro. Le reti sociali, con la quasi certezza dell’anonimato e dell’impunità, traboccano di ingiurie e incitamenti all’odio. La nostra società, sempre più insoddisfatta, sta diventando intollerante, aggressiva e violenta. Sia ben chiaro, il web veicola anche tanto amore e bellezza, anzi questi sono predominati anche se nascosti. Al solito, quello che fa più rumore è il male, l’odio.
Il fenomeno sociale dell’Hate speech è in crescita e a volte a fomentarlo sono, più o meno velatamente, anche alcuni partiti politici. Il problema è grave e non riguarda solo la morale o la buona educazione in quanto i discorsi di odio turbano la tranquillità della società civile e spingono singoli e gruppi ad azioni anche violente. È facile il passo dalle parole ai fatti. Lo Hate speech è diventato un problema di ordine pubblico, addirittura un’emergenza, secondo il ministro dell’Interno italiano.
Troppo spesso la cronaca ci informa di adolescenti, prede di cyberbullismo, che non reggono alla vergona degli insulti e delle minacce e giungono anche al suicidio. E non è in questione solo la fragilità adolescenziale perché inducano a gesti estremi anche persone mature. Cresce l’intolleranza nei confronti degli ebrei, degli immigrati, dei diversi. Ad una anziana signora di 81 anni, Liliana Segre, deportata dai nazisti a 13 anni nel 1944 nel campo di concentramento di Auschwitz, il governo ha dovuto attribuire una scorta. Anche il tifo sportivo da passione ludica e di evasione si trasforma spesso in violenza. Ugualmente la paura del coronavirus ha dato origine a episodi d’intolleranza.
È un diritto non essere offesi e discriminati. Per questo la società deve prevenire e contrastare l’incitamento all’odio, garantendo insieme al rispetto dell’altro e della diversità, anche la libertà di espressione. Le Reti Sociali, che sono fra i principali canali dello Hate speech, dovrebbero anche diventare i primi attori in quest’azione di contrasto dell’odio. In realtà fanno ancora troppo poco, si muovono in ordine sparso, attenti a non perdere porzioni di utenti.
Le grandi organizzazioni internazionali e gli stati cercano norme efficaci per combattere il fenomeno. Ma per l’Italia giace ancora in parlamento dal luglio del 2018 il disegno di legge, n. 634, riguardante modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di contrasto dell’istigazione all’odio e alla discriminazione. Ottima invece la campagna No hate speech mouvement promossa dal Consiglio d’Europa per sensibilizzare i giovani sul tema. Ovviamente il modo migliore per contrastare l’odio è una politica sociale efficiente che garantisca lavoro e servizi sociali a tutti.
I cristiani sanno che fra i peccati più gravi che possono compiere vi è l’odio perché contrario al grande comandamento di Dio che riassume tutti gli altri comandamenti “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Gesù è perentorio: “Chi poi dice al fratello: ‘Stupido’, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: ‘Pazzo’, sarà destinato al fuoco della Geènna” (Mt 5,22). Non è meno intransigente l’evangelista Giovanni: “Chiunque odia il proprio fratello è omicida” (1Gv 3,15). “Se uno dicesse: Io amo Dio”, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).