QUEL CRIMINE INVISIBILE CHIAMATO USURA

By Stefano Pallotta
Pubblicato il 2 Dicembre 2019

Lo chiamano il crimine invisibile. Viene consumato occultamente perché nessuno ha il coraggio di  denunciare i colpevoli. L’usura. Basta chiedere in giro, ai responsabili della cosa pubblica per avere decise smentite. “Qui l’usura non c’è”: ti senti rispondere. Del resto è una tesi che trova conferma, ma solo apparente, dai dati dei procedimenti in corso nei tribunali: solo pochi casi. Ma così non è. L’usura esiste ovunque e coinvolge trasversalmente ceti, professioni, persone e famiglie. E l’Abruzzo è tra le regioni più colpite, secondo le recenti statistiche pubblicate nelle scorse settimane. A fronte di poche denunce, le storie raccontate nei tribunali parlano di giri di affari da capogiro. Ma come è possibile? I tassi d’interesse sui prestiti bancari oggi sono sopportabilissimi a fronte dei tassi applicati dai “cravattari”. Il problema è proprio questo. Le banche. Il cosiddetto credito legale. L’accesso al credito bancario, purtroppo, è nella maggior parte dei casi molto restrittivo e l’usuraio finisce per rappresentare l’ultima spiaggia per piccoli imprenditori, commercianti e privati cittadini in stato di sofferenza economica.

Il fenomeno ha subito una continua evoluzione tanto che oggi a fianco della figura dello strozzino classico stanno prendendo piede nuove forme, ancora più occulte e mimetiche rispetto al passato. Si tratta di gruppi organizzati, fatto di professionisti, fino ad arrivare alle mafie. Le banche chiedono garanzie sicure per il ristoro del prestito che molto spesso non è possibile fornire per più svariate cause. Gli usurai si accontentano di molto meno: cambiali e assegni post-datati, beni e oggetti d’oro, procura a vendere, cessione di beni, quote di aziende, quote patrimoniali, imposizione di fornitori e personale. C’è lo strozzino di quartiere, quello di paese, ma c’è anche quello dei cosiddetti “colletti bianchi”. Gente dalla faccia apparentemente pulita riuniti in associazioni (finanziarie). I tassi di interessi iniziali sono abbastanza tollerabili perché il meccanismo di usura scatta sul tasso di interesse che non è mai scalare, ma fisso o sull’obbligo di acquisto di altri servizi tanto inutili quanto onerosi.

Il paradosso risiede nel fatto che l’usurato non si sente vittima. In tanti continuano a considerare lo strozzino come un amico che ha teso una mano nel momento del bisogno. Insomma, una sorta di benefattore. Se la banca mi considera un cliente indesiderato solo perché io imprenditore non sono riuscito, sul momento, a far fronte a una scadenza creditizia, che faccio? Chiudo l’azienda? Mi rivolgo all’amico che grazie al suo prestito mi consente di tenere aperta l’azienda. Ma a quale prezzo? I meccanismi moderni dell’usura sono studiati per privare l’imprenditore del suo patrimonio. L’urgenza di liquidità e lo stato di bisogno (a volte anche di tipo patologico, si pensi al gioco d’azzardo) mettono completamente nelle mani dell’usuraio il destino delle persone con esiti, a volte, drammatici. Il suicidio.

Tutto questo deve far riflettere il ceto politico abruzzese: alcune province della nostra regione sono ai primi posti di questa nefasta classifica dello strozzinaggio. Una riflessione che deve portare a strutturare una diversa politica creditizia. Un grande economista e banchiere del passato, l’abruzzese Raffaele Mattioli, ha dimostrato come etica e finanza possono trovare un comune terreno di incontro, tanto da aver permesso la crescita della nostra nazione anche in momenti storici molto, ma molto più travagliati dei giorni nostri.

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