QUANTO È PIÙ DOLCE!
Cari lettori e care lettrici, san Gabriele dell’Addolorata scrive al papà, Sante Possenti, il 31 dicembre 1859: “Quanto è più dolce fare quattro passi da solo a solo dentro un religioso recinto, con il pensiero che la nostra Regina e la vera amante dei nostri cuori Maria ci sta guardando, che non le più liete passeggiate del mondo che lasciano sempre un gran vuoto nel cuore che giammai al mondano sarà dato riempire”.
La lettera 34 scritta dal ritiro di Isola Gran Sasso dal giovane professo passionista, è davvero un inno alla bellezza della vita religiosa. Se intelligentemente sappiamo andare al di là di alcune espressioni datate nella forma, insistenti nell’esortare a fuggire il mondo e i suoi divertimenti perché causa di peccato – era questo un tema frequente negli scritti spirituali del tempo anche di altri autori contemporanei al santo abruzzese – sapremo cogliere tutta la grandezza d’animo del consacrato Gabriele appagato dalla vita di unione con Dio e dall’amicizia con il Signore e la Vergine Santissima.
È inutile negare che la vita consacrata e quella religiosa in particolare, sta vivendo un prolungato momento di crisi e questo non solo per la forte carenza di vocazioni dovute, almeno in parte, alla crisi demografica e ad un contesto sociale secolarizzato dove il riferimento religioso di tante famiglie è fragile e talvolta inesistente; c’è qualcosa di più! Molti istituti religiosi sono nati per offrire servizi ai poveri che in molti contesti di welfare state sono dati dal servizio pubblico; se a questo si aggiunge la difficoltà di finanziamento degli stessi per realtà assistenziali ed educative che sono considerate private, la sussistenza di tale attività è in grave pericolo.
Ma l’errore è alla radice della questione, quando si confonde l’identità con la missione, e si dà all’attività caritativa il primato sul celibato consacrato e la vita fraterna in comunità, forme essenziali della vita religiosa che precedono e fondano ogni attività apostolica. Non sono pochi i religiosi che diventati anziani e magari cagionevoli di salute, non potendo più offrire un servizio diretto al popolo di Dio e alla società, cadono in forme depressive nelle quali il senso di inutilità rende le giornate nuvolose e difficili. Allora la frase più ricorrente è: “Non servo più a nulla!”.
Leggendo la lettera di san Gabriele sopra citata, il giovane religioso esprime tutta la sua gioia nel sentire “più dolcezza”, espressione ripetuta più volte e riferita alla vita di unione con Dio, di preghiera, di solitudine a testimonianza di appagamento interiore, pienezza di vita, intima gioia, inarrivabile gaudio provato al confronto con le giornate precedentemente vissute nel mondo. Anche le possibili privazioni di beni terreni, le penitenze cercate o incontrate dalle circostanze, diventano un’occasione per offrirle al Signore come segno di amore esclusivo e di partecipazione con Cristo alla santificazione e salvezza del mondo. Quello che è interessante è che san Gabriele invita molte volte il papà e i suoi fratelli a fare altrettanto, mostrando che questa via alla gioia non è solo per i religiosi ma per ogni cristiano.
E oggi san Gabriele indica la stessa strada anche a noi, suoi devoti! L’essenziale è invisibile agli occhi così come il senso di ciò che siamo e facciamo alla stessa realtà; non priviamo alle nostre vite di sperimentare più dolcezza cercandola là dove veramente possiamo trovarla.