QUANDO LO SCARTO DIVENTA ORO…

il primo pellet italiano al caffè
By Gino Consorti
Pubblicato il 1 Dicembre 2016

LA GIOVANE IMPRENDITRICE EMILIANA FRANCESCA LOVATO, FONDATRICE E AMMINISTRATRICE UNICA DI OLTRECAFÉ SRL, HA TROVATO IL MODO PER TRASFORMARE I FONDI DELLA BEVANDA PIÙ AMATA NEL MONDO NELLA MIGLIORE ALTERNATIVA AL CONTINUO AUMENTO DEL PREZZO DEI COMBUSTIBILI PER IL RISCALDAMENTO

Il futuro in uno scarto… È questa l’idea coraggiosa e nello stesso tempo geniale di Francesca Lovato, ingegnere 35enne emiliana dall’intelligenza multipla e dallo sguardo sempre rivolto al futuro, fondatrice e amministratrice unica di Oltrecafé srl, startup innovativa per la produzione di biocombustibili solidi da attività di valorizzazione scarti alimentari. Una giovane ecoimprenditrice lungimirante e dal curriculum di grande pregio, nonostante la giovane età, farcito di master, collaborazioni e premi. Il tutto accompagnato da una esperienza significativa in progetti di riciclo, nuova frontiera del marketing green. Questa bella storia made in Italy ha inizio ricercando e approfondendo una serie di studi a livello internazionale sulle potenzialità dei fondi di caffè, un prodotto, quest’ultimo, particolarmente diffuso in tutto il pianeta. In pratica, insieme al suo gruppo di lavoro ha scommesso su una seconda “vita” di questa bevanda così amata tirandoci fuori, appunto, un pellet al caffè… Sì, avete capito bene, l’obiettivo è quello di trasformare uno scarto nobile in una risorsa innovativa dai tanti benefici: economica, biologica, responsabile, 100% locale, pratica ed efficiente. Il pellet, infatti, è tra le alternative migliori al continuo aumento del prezzo dei combustibili per il riscaldamento. Utilizzando il pellet al caffè, inoltre, non solo il rapporto di anidride carbonica presente nell’aria rimane invariato (la CO2 emessa durante la combustione verrà assorbita dalla pianta durante la crescita) ma vengono utilizzate ingenti quantità di materiale ad alto valore intrinseco togliendole dal ciclo dei rifiuti (dove venivano precedentemente sprecate) evitando smaltimenti in discarica. Insomma, una risposta eccellente alla pressante richiesta di nuove fonti energetiche alternative, italiane e rinnovabili, diminuendo nel contempo la produzione di rifiuti e aumentando il riciclo. Andiamo, allora, ad ascoltare cosa ha da dirci l’amministratrice unica di Oltrecafé, approfittando di un momento di pausa in una giornata – come tante – freneticamente scandita dagli appuntamenti di lavoro.

Ingegnere, come nasce l’idea di una startup per la valorizzazione di un rifiuto?

Amore per la natura e curiosità per ciò che si nasconde dietro la superficie. Da sempre lavoro nel mondo del riciclo ed è sorprendente vedere quanto valore c’è ancora in ciò che buttiamo. E quante relazioni, quanta creatività si può esprimere dando una seconda opportunità a ciò che ci circonda ogni giorno. Spesso siamo noi a decidere quando qualcosa diventerà o no un rifiuto e le nostre azioni possono fare una grossa differenza.  Ho lavorato per qualche tempo all’università e mi sono resa conto di come le ricerche e gli studi nel campo del riciclo portino quasi sempre alla risposta “si può fare”. Il problema, poi, è passare dalla fase di studio e sperimentazione a quella applicativa, reale. Oltrecafé è nata proprio con l’idea di coniugare un riciclo virtuoso con la possibilità concreta di creare opportunità di lavoro. Il primo tassello di un progetto che vuole creare prodotti di qualità dagli scarti agroalimentari delle nostre aziende: produciamo i migliori prodotti food al mondo, perché non divenire leader anche nel riciclo degli scarti?

Perché, allora, tra tanti scarti la scelta dei fondi di caffè?

Il caffè è al secondo posto tra le materie prime commercializzate a livello mondiale dopo il petrolio e la seconda bevanda più bevuta al mondo dopo l’acqua.

Quanto caffè consuma un italiano ogni anno?

In media 5,77 chili, quantità che lo relega al settimo posto in una classifica in cui al primo posto si piazza la Finlandia (10,58 kg), seguita da Danimarca (9,99 kg) e Olanda (9,85). Nell’arco di una giornata, circa il 49% degli italiani beve caffè. Ogni anno ci gustiamo 3,4 miliardi di espresso, serviti in oltre 200.000 bar disseminati lungo tutta la penisola, con un consumo totale intorno ai 250 milioni di chili di prodotto tostato. Questo significa ritrovarsi a gestire una quantità enorme di fondi di caffè che a seconda di come vengono gestiti possono rappresentare un costo economico e sociale o un’opportunità di sviluppo. Da non dimenticare, inoltre, il fenomeno capsule da caffè, in continuo aumento e molto più preoccupanti, poiché destinate direttamente all’indifferenziato e quindi all’inceneritore e alla discarica. Dati 2010 indicano un consumo di 1 miliardo di capsule l’anno in Italia, il che equivale a circa 12 mila tonnellate di caffè e plastica smaltite ogni anno. Una enormità se si pensa che la Tour Eiffel, ad esempio, pesa 10 mila tonnellate…

Quante e quali applicazioni sarebbe possibile, a suo avviso, tirarci fuori?

In generale, il fondo di caffè è al centro di studi per la produzione di biodiesel e composti d’interesse cosmetico e nutraceutico, nonché per la produzione di fertilizzanti. Non ultimo, è notizia di qualche giorno fa, l’articolo pubblicato sulla rivista Sustainable Chemistry and Engineering dell’American Chemical Society di uno studio su delle nuove spugne, fatte con fondi di caffè, che assorbono i metalli pesanti e permettono quindi di pulire le acque. Gli autori lavorano  all’Istituto italiano di tecnologia di Genova.

Possiamo dire, dunque, che il campo del riciclo spesso rappresenta una miniera d’oro che tanti, però, ignorano…

È un settore complesso e forse a volte sottovalutato o ignorato, visti i tanti input che riceviamo ogni giorno e la frenesia delle nostre vite. Ma sempre più il riuso e il riciclo sono pratiche che stanno tornando alla ribalta, nei consumi e ora anche nelle leggi, a livello europeo e nazionale. Tutti noi conosciamo le potenzialità del riciclo, ma siamo anche consci che tra la raccolta del materiale e il suo riciclo in nuova materia i passaggi sono a volte tanti e non sempre immediati.

Qual è allora il segreto?

Bisogna lavorare bene. Ci vuole professionalità e attenzione, come in tanti altri settori, anche se spesso la qualità del riciclo dipende dalla qualità del materiale in ingresso e quindi, parlando di raccolta differenziata, i cittadini fanno letteralmente la differenza quando separano le diverse frazioni. La chiave di tutto è la consapevolezza: ognuno di noi sa che il mondo in cui viviamo è finito e se non ce ne prendiamo cura in prima persona non possiamo aspettarci che le cose migliorino. Possiamo usare bene e a lungo e/o fare in modo che ciò che non usiamo più possa avere una seconda vita. Se non lo usiamo noi potrà servire ad altri, basta portarlo nei luoghi giusti e non abbandonarlo dove capita. Pensiamo semplicemente a questo: quanto migliorerebbero le nostre città se semplicemente nessuno buttasse più nulla per terra?

Quanto è difficile passare da una fase di sperimentazione e di studio a quella applicativa?

Tra il dire e il fare… La teoria può essere la base di partenza, poi ci s’imbatte con la realtà, con i vincoli fisici e con le abitudini consolidate, industriali e personali. Però se c’è la volontà di raggiungere un risultato si può trovare fisicamente e tecnicamente la via per arrivarci.

Qual è l’ostacolo più insidioso da superare?

Sicuramente la disponibilità o meno di fondi economici per supportare le prime prove e “uscire” dalla dimensione laboratorio è un fattore importante. Inizialmente c’è un gap da superare che è appunto la dimensione intermedia: in laboratorio si lavora con grammi o qualche chilo come riferimento, nell’industria si lavora partendo almeno da centinaia di chilogrammi per non dire qualche migliaio. Solitamente la fase di sperimentazione si colloca nel mezzo e spesso mancano le macchine stesse o le taglie necessarie. Dopodiché c’è la parte normativa che riguarda il trasporto, lo stoccaggio e lo stesso processo di riciclo. Per questo è necessario fare accordi ad hoc che permettano di lavorare il materiale in quantità sufficienti, tracciando tutto il percorso e preservando la tutela dell’ambiente, ma alleggerendo anche la parte “burocratica” di gestione del materiale. Con amministrazioni che dialogano è possibile, procedendo passo passo anche perché le norme sono tutte da interpretare e quindi è necessario un confronto costante per arrivare al risultato migliore. Nel mentre si verificano anche tutti i costi relativi per capire se alla fine il prodotto potrà costare come uno non riciclato per evitare di realizzare qualcosa di valido che però nessuno potrebbe utilizzare se troppo costoso.

A che punto è il vostro progetto?

Abbiamo già due pellet prototipo con un 20% di potere calorifico in più rispetto al legno, uno per il mercato domestico e uno per quello industriale, ma contiamo di migliorarlo ancora. Vorremmo arrivare con il primo prodotto commerciale per il prossimo inverno. L’idea è proporlo a una prima cerchia di interessati che vogliano contribuire con il loro parere professionale o personale su tutte le componenti del prodotto: estetica, utilizzo e maneggiabilità, packaging, servizi associati.

Avete già un impianto prototipo?

Stiamo proprio lavorando a questo dal punto di vista normativo! Abbiamo già iniziato a fare diversi incontri con le aziende di gestione rifiuti e le amministrazioni coinvolte. A livello pratico abbiamo sviluppato il pellet con alcune aziende interessate e collaboriamo con diversi laboratori universitari, tra cui il Beelab della facoltà di Ingegneria di Modena e il laboratorio Biomasse dell’università Politecnica delle Marche. Abbiamo alcuni piccoli macchinari prototipo che utilizziamo in parallelo ai partner industriali.

Chi sono i suoi compagni di viaggio e di studio?

Diverse sono le persone con cui collaboro. Il team stesso di Oltrecafé è in continua evoluzione, costituito da ricercatori e professionisti nel campo riciclo, biocombustibili e esperti di normativa sui rifiuti. Ho iniziato collaborando con Andrea Maccari e Riccardo Mariani, che lavorano nel campo riciclo e consulenza aziendale, a cui si sono aggiunti altri due professionisti, Fabio e Giovanni, attivi nel campo energie rinnovabili e innovazione digitale. Mi confronto inoltre con esperti di diritto ambientale per la parte normativa. Non posso non pensare anche ai diversi ricercatori universitari con cui stiamo lavorando e diversi imprenditori e professionisti che credono in un modo diverso di lavorare e soprattutto di produrre e quindi stanno collaborando con il loro tempo, le loro esperienze e le loro conoscenze in modo gratuito. Persone appassionate di ambiente e riciclo, ma anche desiderose di poter dare un contributo al territorio in cui vivono. Abbiamo incontrato soggetti che lavorano nei campi più diversi, ma tutti vogliono lasciare un segno e migliorare la realtà in cui vivono.

Avete già localizzato l’area per la realizzazione del pellet?

L’Emilia Romagna è una regione all’avanguardia nella gestione rifiuti e stiamo già confrontandoci con le amministrazioni del territorio per poter stabilire il primo impianto proprio in questa regione. Ci sono diverse aree industriali e diversi capannoni disponibili, quindi stiamo valutando dove sia più efficace insediarci per ridurre gli spostamenti logistici e realizzare il primo impianto. Puntiamo a rendere il modello smart per poterlo poi replicare in diverse regioni.

Visto che l’Italia è ai primi posti al mondo per importazione di pellet, le ricadute potrebbero essere più che interessanti…

Il settore del pellet è già particolarmente significativo per l’industria italiana, con oltre 42 mila unità lavorative impiegate annualmente, di cui oltre 20 mila direttamente nella produzione e distribuzione del combustibile. Purtroppo importiamo più dell’85% del pellet che consumiamo e proprio qui il pellet al caffè potrebbe fornire un aiuto ad aumentare la produzione italiana. La sola produzione di pellet ha inoltre una ricaduta occupazionale pari a 8,3 unità lavorative per milione di euro fatturato, contro 0,5 per i derivati dalla raffinazione del petrolio. Inoltre, l’incidenza del valore aggiunto della produzione di pellet è sette volte superiore rispetto a quello derivante della raffinazione del petrolio. In più è importante evidenziare che i produttori italiani di generatori alimentati a pellet, con oltre 22 mila unità lavorative impiegate, sono oggi leader a scala internazionale, esportando oltre il 35% in Europa e nord America, contribuendo al prestigio del made in Italy nel mondo.

A livello di qualità come siamo messi?

Purtroppo uno dei problemi che affligge il mercato del pellet è avere la garanzia della qualità del prodotto. molto pellet è di dubbia provenienza (pellet radioattivo dall’Est Europa), oppure frutto di disboscamento indiscriminato o ricavato da scarti non controllati (legno inquinato da colle e vernici) o contaminati (da metalli pesanti quali nichel, cromo, zinco, cadmio e rame). Problemi che con il pellet al caffè, dati i numerosi controlli sulla materia prima, non sussistono. Il nostro scopo, in futuro, è quello di indagare le potenzialità di tutta una serie di scarti agroalimentari che possono essere utilizzati per produrre un pellet 100% italiano e a km zero, rendendo di fatto molte aziende “a scarto zero”. Nel caso del pellet il problema sta nella poca disponibilità di scarti di segheria e quindi lo importiamo dall’estero. Noi siamo convinti che si possano individuare una serie di scarti di valore da poter utilizzare per questi scopi, insieme ovviamente a una riscoperta e una gestione sostenibile del nostro patrimonio boschivo abbandonato che, appunto, potrebbe contribuire a contrastare tale fenomeno nei territori montani e collinari.

Insomma, un modello di business sostenibile che porti benefici a chi…?

Ora l’obiettivo è creare le migliori partnership sul territorio in modo da far partire questo modello di business sostenibile che si basa su un progetto di rete che vuole portare benefici a chi ricicla, a chi utilizza pellet per la propria caldaia e a chi favorisce questa buona pratica. Oltrecafé punta a favorire la nascita di attività capaci di generare business e posti di lavoro con processi sostenibili in un’ottica di economia circolare, un’economia rigenerativa che sfrutta il design e il recupero di materiali per fare in modo che anche lo scarto venga considerato risorsa e reimmesso nel ciclo produttivo.  Un secondo obiettivo, poi, è quello di aiutare aziende, comuni e le comunità aderenti a ottimizzare la gestione dei rifiuti e diminuire la quantità di indifferenziato nell’area, a partire proprio dal riciclo dei fondi del caffè e delle capsule come “buona pratica” di economia circolare, ottenendo pellet innovativi per il mercato italiano che importa l’85% del pellet che consuma. Il nostro è il primo progetto che va in questa direzione, proponendo il servizio di ritiro e riciclo di questa frazione di rifiuto e la fornitura di un pellet unico nel suo genere, dalla profonda anima green. La scommessa è partire dall’ambiente per creare valore e trasferirlo alle comunità.

È possibile abbozzare qualche cifra del potenziale mercato?

A livello mondiale si prevede un aumento della domanda di pellet dagli attuali 23 milioni di tonnellate ai 50 milioni di tonnellate nel 2024, soprattutto nell’ambito del riscaldamento domestico. Se riuscissimo a raccogliere tutti i fondi di caffè prodotti a livello nazionale avremmo a disposizione circa 360 mila tonnellate di fondi di caffè più almeno altre 7 mila tonnellate provenienti dal recupero delle capsule, con cui poter estrarre oli per la produzione di biodiesel e produrre pellet al caffè. Eviteremmo costi di gestione per lo smaltimento in discarica di circa 21 milioni di euro, senza contare i costi ambientali e sociali, e potremmo invece generare guadagni da reinvestire nei territori italiani per circa 27 milioni di euro. Per quanto riguarda il settore agro-industriale nella sola Emilia Romagna abbiamo un ammontare di scarti dalla lavorazione e trasformazione industriale dei prodotti vegetali di circa 230 mila tonnellate/anno. In virtù della loro elevata qualità e purezza merceologica il loro effettivo recupero e ulteriore valorizzazione sarebbe più che possibile e auspicabile per un riciclo di valore.

L’attuale normativa italiana in fatto di rifiuti, riciclaggio e rimessa sul mercato, come si pone nei confronti del vostro progetto?

Il due dicembre 2015 la Commissione europea ha adottato un  pacchetto di misure per incentivare la transizione dell’Europa verso un’economia circolare, con l’obiettivo di rafforzarne la competitività a livello mondiale e stimolare la crescita economica sostenibile e la creazione di nuovi posti di lavoro. Secondo la Commissione passare da un’economia di tipo lineare come quella attuale a una di tipo circolare creerebbe 580 mila nuovi posti di lavoro. Un modello che ridurrebbe anche l’impatto ambientale e le emissioni di gas a effetto serra: le misure approvate in sede europea prevedono il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030 e, a partire dal 2025, il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili. In generale le normative italiane stanno recependo le indicazioni europee e stiamo sviluppando un’economia del riciclo che dovrebbe appoggiare iniziative come la nostra. Gli impegni europei e internazionali sul clima e sull’ambiente, infatti, forniscono una spinta e una copertura politica ai nuovi biocombustibili, soprattutto di seconda generazione, che producono energia senza sottrarre suolo alle coltivazioni o ridurre la biodiversità.

E Oltrecafé in quale segmento di mercato si inserisce?

In quello della bioeconomia per produrre biocombustibili solidi di seconda generazione, ricavati cioè da scarti e sottoprodotti, senza sottrarre suolo alle coltivazioni. È l’Emilia-Romagna la prima regione in Italia ad aver assunto, per legge, l’economia circolare come stella polare della propria politica dei rifiuti.

Con quale obiettivo?

Ridurre la produzione di rifiuti solidi urbani non differenziati e recuperare più materia possibile da inviare a riciclo.

Alla luce di quanto detto, ingegnere, è più arduo confrontarsi con la burocrazia o trovare degli investitori disposti a sposare il progetto?

Potremmo definirle due facce della stessa medaglia. È arduo trovare investimenti se non hai certezza dei tempi di sviluppo che dipendono in larga parte anche dai tempi autorizzativi. Serve dedizione e pazienza: noi continuiamo a sviluppare metodologie di riciclo innovative e vediamo che anche da parte degli investitori, una volta conosciuto il progetto e approfondito l’argomento, c’è disponibilità a investire sul progetto in termini di tempo, professionalità e investimenti, sempre con un occhio attento alla parte normativa. Un confronto e una collaborazione che richiede tempo per svilupparsi, ma pensiamo possa portare a solide basi per crescere.

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