Bollettino numero 2. Al momento di mandare in stampa questa pagina siamo al 58esimo giorno di guerra. Praticamente da due mesi dalle nostre confortevoli redazioni europee e d’oltreoceano – ovviamente esclusi gli inviati – commentiamo la morte, la distruzione, il dolore e la disperazione del conflitto tra Russia e Ucraina. Paradossalmente, però, mentre tanti commentatori dalle loro zone di comfort tifano per l’invio massiccio di armi, della serie armiamoci e partite…, nella società civile tra le parole più ricorrenti c’è la pace. Giusto per dare qualche numero di casa nostra, circa il 70% per cento degli italiani vuole un negoziato con la Russia; papa Francesco non passa giorno in cui non lanci appelli accorati affinché si cessi il conflitto; la rete universitaria italiana, ma anche quella d’oltralpe, ribadisce da settimane, con fermezza, l’importanza della pace e del dialogo quali valori insostituibili per la convivenza fra i popoli; associazioni, movimenti, onlus, gente comune, invitano quotidianamente i “potenti della terra” a far tacere le armi sottolineando come con la guerra tutto sia perduto. Insomma, la parola pace è sempre presente sulla bocca di tantissime persone. Poi, però, ascolti il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel (Vogliamo la vittoria dell’Ucraina, per questo useremo tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione…) e il presidente americano Joe Biden che annuncia di aver consegnato all’Ucraina 800 milioni di dollari di nuove armi, e ti cadono le braccia… E naturalmente non puoi che farti una domanda: si vuole che la guerra finisca o continui?
Ma come si può ottenere la pace incitando alla guerra e inviando montagne di armi? Una follia assoluta pensare che più armi possano agevolare i negoziati. Il presidente ucraino continua ogni giorno a chiedere sempre più l’invio di nuove e specifiche armi e il coinvolgimento dei Paesi europei nella guerra. Qualcuno, però, per fortuna, ha iniziato a rivedere le proprie posizioni, come ad esempio il cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha risposto no all’invio di armi pesanti a Kiev, idem la Grecia. Il nostro Paese, invece, gonfiando il petto, come fosse una medaglia da appuntare sulla giacca militare, continua a rispondere presente, violando palesemente l’articolo 11 della nostra Costituzione che recita testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Cioè, giusto per i duri di testa, non è consentito usare armi in nessun caso.
La verità è che l’Europa, e ancor più l’Italia, sono legate a filo doppio con l’America che, udite udite, è in testa alla classifica dei Paesi esportatori di armi nel mondo. Gli Stati Uniti, secondo la recente analisi condotta dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute, l’istituto internazionale di ricerca sulla pace con sede a Stoccolma) nel quinquennio 2017-2021 da soli hanno esportato il 39% di tutte le armi al mondo, una crescita del 14% rispetto ai cinque anni precedenti. Nello specifico il Paese a stelle e strisce ha venduto i propri prodotti a 103 Paesi, in particolare aerei, missili e veicoli corazzati.
Insomma, è fin chiaro persino a un bambino che il titolare di una gelateria si auguri una stagione particolarmente calda… In questo caso, però, di mezzo non ci sono coni e granite ma vite umane…