QUALCHE NOTA SULLA CAMPAGNA ELETTORALE

By Nicola Guiso
Pubblicato il 3 Marzo 2013

La democrazia rappresentativa è la forma di governo in cui la so-vranità risiede nel popolo, che la esercita a mezzo degli organi e delle persone che elegge a rappresentarlo. Secondo Chur-chill “è la peggiore, eccezion fatta per tutte le altre sperimentate prima”. È  la forma di governo che negli ultimi due secoli ha consentito, infatti, ai paesi dell’occidente (pur tra dure prove politiche)  un costante sviluppo civile e sociale e delle libertà per i loro popoli. Di essere (anche in questo caso con percorsi non lineari) la maggiore forza propulsiva di civilizzazione nel mondo. Ed è la forma di governo che li ha portati alla vittoria contro i regimi totalitari nazisti e comunisti nella seconda guerra mondiale e nella “guerra fredda”. Oggi, però, la democrazia rappresentativa è in crisi (più o meno accentuata) nei paesi dell’occidente, e in particolare in Italia, come ha confermato l’ultima campagna elettorale. Ciò appare evidente dal fatto che le loro istituzioni sono in grave difficoltà a operare sintesi efficaci e tempestive (come accadeva in passato) tra gli interessi degli individui, dei gruppi, dei territori e quelli generali delle comunità nazionali e delle loro eventuali unioni  sovranazionali. Un fatto che crea in tutti i paesi crescenti problemi a mantenere, sviluppare ed arricchire le conquiste civili, economiche e sociali del passato (dal voto per tutti alle tutele in materia sanitaria e previdenziale). E che inoltre li sta ponendo in condizione di inferiorità nella competizione a livello mondiale che stanno portando all’occidente (in particolare in campo economico, commerciale, finanziario ma anche politico) nuove grandi potenze quali la Cina, l’India, il Brasile, la Russia, la Corea. In Italia la crisi si manifestava già alla fine degli anni 70. Ma il fallimento delle iniziative per contrastarla  delle tre commissioni parlamentari per le riforme istituzionali (agli inizi e alla fine degli anni 80 e nella seconda metà degli anni 90) hanno aggravato la situazione.

Come detto, l’ultima campagna elettorale ne ha sottolineato aspetti essenziali. A prescindere infatti del risultato del voto (ne parleremo a “bocce ferme”, come si dice), essa ha messo in evidenza soprattutto lo stato confusionale in cui versano i partiti e i movimenti politici, che sono stati e restano i pilastri della democrazia rappresentativa. Per affermarsi nelle istituzioni, infatti, idee e programmi hanno bisogno di persone che si incontrano per comunanza di idee, che mettono a punto le loro proposte sui grandi temi di vita, di lavoro, di libertà e di giustizia (da sottoporre al confronto con gli altri partiti e al voto dei cittadini); che adottano le forme più efficaci di organizzazione dei loro sforzi al fine di allargare il consenso alle proprie idee e ai propri programmi. La campagna elettorale ha invece rivelato, impietosamente, un pulviscolo di aggregati espressione di ambizioni personali e di interessi particolari, e non di idee e di programmi riferiti agli interessi generali del paese. Nel pieno di una gravissima crisi istituzionale, economica e sociale, anche i maggiori partiti hanno risposto non con una franca esposizione della sua natura e dei costi (comunque alti per tutti, e da pagare ciascuno in proporzione alle proprie possibilità). Ma con promesse più o meno mirabolanti a costo zero, oppure con fughe dalla realtà legate a una sorta di nuovo anarchismo onirico, ispirato alle meraviglie dell’informatica, per trasformare l’Italia in un reale paese dei balocchi.

È una situazione grave. E credo che per affrontarla in modo adeguato sarebbe necessario partire riflettendo su queste osservazioni fatte, nel 1981, dall’allora cardinale Joseph Ratzinger: “Il vero rischio del nostro tempo è l’irrazionalità dei miti politici”. Dunque occorre “essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare col cuore in fiamme l’impossibile. (…) La morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole. (…) Non è morale il moralismo dell’avventura (…) lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo”. E tra i miti politici che  incombono il più pericoloso per il futuro dell’uomo e della società è quello della scienza capace di appagare ogni desiderio individuale, che poi le istituzioni dovranno trasformare in “diritto civile”.

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