PRONTI A CONDIVIDERE
il 75% degli intervistati ha sentito parlare di sharing economy e uno su tre si dice pronto a sperimentare questa forma alternativa di risparmio. Avere in comune case, automobili, orti e altro potrebbe trasformarsi nel modello economico del futuro Dalle giornate a prestito alla sharing economy, cambiano i tempi, ma il senso è lo stesso: la fame aguzza l’ingegno. Una volta – tanti, ma tanti anni fa – quando era problematico fare due pasti al giorno, i poveri si aiutavano l’un l’altro scambiandosi le giornate di lavoro nei campi, per la costruzione di una casa modesta; e facevano anche ricorso al baratto: olio in cambio di farina, vino per la verdura eccetera. Oggi quel modo di fare, con l’aggiunta di tanti altri servizi, viene definita sharing economy, letteralmente “economia condivisa”, un anglicismo per indicare la condivisione di beni e servizi. L’autorevole settimanale statunitense Time le ha dedicato addirittura una delle sue famose copertine perché ritiene che questo sia l’anno della sua esplosione, perché, in tempi di crisi, condividere case, automobili e altro potrebbe trasformarsi nel modello economico del futuro. Si possono condividere anche un ambiente di lavoro, un collaboratore, i computer, le scrivanie per abbattere i costi degli affitti ed eliminare le spese per l’acquisto di attrezzature.
Un nuovo modo di vivere e lavorare che all’estero è attuato già da tempo e che sta prendendo piede anche da noi. L’istituto Ipsos ha condotto una ricerca su un campione di mille persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni dalla quale è emerso che il 75% degli italiani ha sentito parlare della sharing economy, anche se per il momento ne ha fatto uso solo l’11%, ma uno su tre si dice pronto a sperimentare questa forma alternativa di economia. Un fenomeno ancora di nicchia, ma con un alto potenziale di crescita dato che vi sono già oltre 250 siti specializzati. Chi non ha sentito parlare di Uber, il colosso americano contestato dai tassisti, non solo italiani? I suoi autisti sono persone che lo fanno spesso come secondo lavoro, condividono l’auto e le corse costano molto meno di quelle dei taxi ufficiali (che in alcune città italiane alle già alte tariffe aggiungono due-tre euro per i bagagli!). Sempre restando nel campo delle auto, esiste anche BlaBla Car, che favorisce lo scambio di passaggi a medio e lungo raggio. A Milano, per esempio, vi sono già 200 mila persone che hanno rinunciato all’uso dell’auto privata per gli spostamenti e utilizzano con regolarità bici, moto e car sharing.
Una tendenza che si è estesa anche alla campagna dove molti agricoltori condividono l’uso di trattori o altre attrezzature e capannoni. Per non parlare degli orti: a Roma sono 154 quelli usati da gruppi di persone unitesi per coltivare fazzoletti di terra messi a disposizione dal comune. E che dire di coloro che si coalizzano nei Gruppi di acquisto solidali (Gas) per ottenere sconti dalle società che erogano servizi (sulle bollette si riesce a risparmiare fino a 25 euro all’anno) o per acquistare con sconti fino all’80% prodotti ortofrutticoli venduti a fine giornata e destinati, altrimenti, ai rifiuti? C’è, poi, Airbnb, piattaforma di condivisione di appartamenti per brevi periodi, anche attraverso lo scambio di alloggi. La crisi economica – rileva la ricerca di Ipsos – ha spinto l’86% degli intervistati a modificare le proprie abitudini di consumo; 2 su 3 hanno ridimensionato le spese e tra le motivazioni che spingono verso questa nuova forma di economia vi è principalmente il bisogno (per il 38% convenienza e risparmio sono gli elementi chiave). Ma c’è anche chi la vede come un modo di vivere diverso, ritenendo che la condivisione con altri, specie se provenienti da culture diverse, sia fonte di arricchimento, creatività e crescita sociale.
Inoltre, la sharing economy moltiplica il valore di un bene che altrimenti sarebbe sottoutilizzato: il 96% degli intervistati usa l’auto almeno una volta a settimana, quasi sempre in solitudine; e sono migliaia le seconde case che restano chiuse gran parte dell’anno mentre possono essere messe a disposizione nei periodi morti, senza ricorrere alle agenzie. Se gli utenti di BlaBla Car si avvalgono del servizio soprattutto per motivi di convenienza e socialità, quelli di Airbnb scelgono in base al buon rapporto qualità-prezzo (89%) e dal desiderio di provare un’esperienza unica (64%). Tuttavia, ci sono anche i dubbi: il 58% degli intervistati si è dimostrato poco o per nulla interessato a questa forma di economia. Si tratta di persone tra i 55 e i 64 anni, residenti al nord e appartenenti alla classe media e medio-bassa. Il timore è che sia rischioso avventurarsi in un’esperienza simile: come essere sicuri di non incorrere in sgradevoli inconvenienti (un inquilino malintenzionato o poco pulito; un conducente spericolato)? È vero che alcuni portali verificano identità, numeri di telefono e mail prima di pubblicare un annuncio oppure hanno centri di assistenza; ed è vero pure che la reputazione degli iscritti la fanno anche le recensioni degli utenti, ma – almeno da noi – per il momento prevale la vecchia convinzione che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Però – aggiungiamo – non fidarsi mai è peggio.