Chi ne scrisse le sintetiche note biografiche dopo la morte, volle subito tramandare ai posteri che il giovane passionista Livino Migerode nella sua vita terrena era stato “devoto con tutto il fervore dell’anima, di Maria santissima e del grande servo di lei Gabriele dell’Addolorata”. L’autore del breve profilo non poteva tralasciare questo aspetto particolare e significativo del giovane. Livino infatti aveva avuto sempre davanti agli occhi e soprattutto nel cuore il santo confratello come sicuro sostegno nei momenti difficili e come dolce compagno nel quotidiano cammino che lo avrebbe condotto al sacerdozio. Era cresciuto così e così era arrivato al felice passaggio alla vita eterna: nutrendosi giorno dopo giorno dell’amore filiale verso la Madonna e seguendo il luminoso esempio di Gabriele di cui aveva sempre sperimentato l’amorevole vicinanza e aveva ripetutamente gustato la celeste protezione. Livino apparteneva alla provincia religiosa passionista costituita in Belgio nel 1910 e intitolata proprio a san Gabriele; inoltre lui stesso, vestendo l’abito passionista, aveva voluto chiamarsi Livino di san Gabriele dell’Addolorata.
Il Belgio, dunque, è la patria di Livino; vi nasce il 30 aprile 1918 durante la prima guerra mondiale che dal 1914 insanguina e sconvolge tragicamente l’Europa seminando morte e miseria. Il bambino vede la luce a Drogenbos, nella regione delle Fiandre, da Egidio e Chiara Liehndael; muove i primi passi nella vita circondato dall’affetto dei genitori che con il loro amore e le loro premure cercano di fargli sentire il meno possibile non solo le tristi conseguenze della guerra ma anche la grande sofferenza per la iniqua e deprecabile invasione tedesca del Belgio.
Diligente chierichetto già a otto anni, il ragazzo incontra i passionisti nella chiesa del suo paese, quando i religiosi vi arrivano per predicare una missione popolare. Livino li ascolta con un trasporto e con una avidità che è raro vedere nei ragazzi della sua età. Durante la missione la sua frequenza alle funzioni sacre diventa ancora più assidua e il comportamento ancora più devoto tanto da suscitare meraviglia e ammirazione negli stessi missionari che lo trovano un ragazzo dolce, sereno e riflessivo. Questo chierichetto, si dicono, vive con gusto sorprendente quanto si riferisce a Dio e ha tutte le premesse per entrare in convento. E non si sbagliano.
Infatti, terminate le scuole elementari, Livino chiede di essere ammesso al seminario passionista. La sua richiesta è subito accolta. In convento il ragazzo conferma quanto di buono si diceva di lui. Ama lo studio, è rispettoso dei superiori, segue con attenzione ed esegue fedelmente quanto gli insegnano, è molto contento di vivere insieme ad altri ragazzi incamminati come lui verso la vita sacerdotale. Si fa apprezzare per le sue doti di mente e di cuore e per i rapidi progressi nella vita sia scolastica che spirituale.
Il 3 settembre 1934 a 17 anni, veste l’abito religioso a Kruishoutem nella chiesa dedicata a san Gabriele e inizia l’anno di noviziato durante il quale sarà impegnato ad approfondire le esigenze della vocazione. Il giovane trova tutto bello e gratificante, vive con gioia ogni momento. Al termine del noviziato emette la professione dei voti; riprende poi lo studio e guarda il futuro affrettando con il desiderio l’ordinazione sacerdotale. E quando pensa al momento nel quale diventerà ministro di Dio, avverte un fremito di stupore e raccoglie nel pianto l’intensa commozione che non riesce a trattenere. Ma le sue belle aspirazioni, i suoi splendidi sogni, i suoi meravigliosi progetti non troveranno la realizzazione auspicata e attesa da tutti.
Infatti nel febbraio del 1938, mentre è studente nel convento di Wezembeek-Oppem, viene colto improvvisamente da forti e preoccupanti brividi freddi di cui la scienza medica del tempo non riesce a trovare la causa e il rimedio efficace. Dopo due giorni di grande sofferenza, il 20 febbraio 1938 a 19 anni e 10 mesi di età, il malato dà l’arrivederci in paradiso ai confratelli che lo assistono costernati e commossi lo vedono addormentarsi serenamente nel Signore. “L’angelico giovane, scrive il cronista del tempo, come fiore di serra non ha avuto il tempo di sentire le punture del male. Il Signore lo ha reciso come un giglio nel mattino della vita prima che il sole ne bruciasse i petali, perché con il suo profumo deliziasse le aiuole del cielo”.