PROBLEMA, RISORSA O BUSINESS…?

la complicata gestione dei rifiuti
By Gino Consorti
Pubblicato il 1 Gennaio 2019

L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano”. No, non è lo stralcio di un manifesto di Legambiente, di un depliant di Greenpeace o l’introduzione del vademecum del piccolo ambientalista. Sono le parole di papa Francesco contenute in Laudato Si’, la più lunga di tutte le encicliche papali e la prima sull’ambiente. Tanti i temi trattati, dai cambiamenti climatici alla teologia della creazione di una terra, ahinoi, ferita dai tanti comportamenti sbagliati dei suoi abitanti. Un monito prezioso quanto necessario che auspica una “conversione ecologica” per mettere in salvo una casa comune che l’indifferenza e la prepotenza dei potenti stanno deteriorando.

Tra le tante tematiche affrontate dal santo padre c’è anche quella dei rifiuti e del conseguente smaltimento. Un’emergenza che tocca da vicino il nostro paese. Ogni anno, infatti, produciamo circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e l’Unione Europea ha fissato al 2030 l’obiettivo di una raccolta differenziata pari all’80%, in modo da arrivare, con gli scarti, al 65% di materiali riciclati. Una simpatica utopia o una strettoia, sì angusta, ma superabile? Come spesso accade, e non solo nel nostro paese, sui grandi temi si creano fazioni contrapposte. In questo caso a dividere il popolo è il seguente interrogativo: inceneritori sì o no? La cosiddetta “termovalorizzazione è davvero un’alternativa? Siamo proprio sicuri che tutto possa finire in cenere e soprattutto che da quelle lunghe canne fumarie non escano nano particelle tossiche e diossine? E ancora: le ceneri solide prodotte – si parla di circa 300 chilogrammi per ogni tonnellata di rifiuti – dove vanno smaltite? Sono sicure? Anche sulla raccolta differenziata gli interrogativi non mancano… Tutto può essere riciclato? L’obiettivo dell’80% di riciclato è realmente raggiungibile, considerando soprattutto che al Sud le percentuali sono particolarmente basse? La Sicilia, ad esempio, con 5 milioni di abitanti ha il 15% di raccolta differenziata… Come migliorare, dunque, in termini quantitativi e qualitativi la partecipazione alla raccolta differenziata?

Pure il governo, recentemente, ha messo in campo opinioni contrastanti circa la strada da seguire. Sicuramente non si tratta di una cammino privo di insidie, qualunque esso sia, anche perché lo spettro della discarica è sempre dietro l’angolo… Come prima cosa, dunque, dovremmo ridurre la produzione di rifiuti, modificare cioè le nostre abitudini, industrie comprese. Quindi incrementare l’impiantistica del riciclo che, ovviamente, è meno rischiosa degli inceneritori. Senza impianti adeguati, infatti, a vincere sarà sempre la discarica…

Nel tentativo allora di diradare un po’ il fumo… che avvolge l’argomento, siamo andati a trovare Marino Ruzzenenti, 70 anni, storico e ambientalista, già docente negli istituti superiori, collaboratore della Fondazione Luigi Micheletti di Brescia e della rivista dei saveriani Missioneoggi.

Scrittore di successo, ha pubblicato diverse opere di storia contemporanea, tra cui, su temi ambientali: Un secolo di cloro e… PCB. Storia delle industrie Caffaro di Brescia, Milano, Jaca Book 2001; L’Italia sotto i rifiuti, Milano, Jaca Book 2004; Autarchia Verde, Milano, Jaca Book 2011; con Pier Paolo Poggio, Il caso italiano. Industria, chimica e ambiente, Milano, Jaca Book 2012; Rifiuti. Il business dei rifiuti a Brescia, LiberEdizioni, Brescia 2015. È stato anche socio fondatore dell’associazione Cittadini per il riciclaggio, promotore di numerosi progetti di educazione ambientale nelle scuole, convegni di studio e forum. Inoltre, vivendo a Brescia, sede di uno dei più grandi termovalorizzatori d’Europa, il professor Ruzzenenti ha maturato una grande e preziosa esperienza in materia anteponendo sempre, in ogni suo studio o iniziativa, gli interessi generali della popolazione. Ascoltiamolo.

Partiamo da una curiosità: che ci azzecca un brillante professore di materie letterarie con lo spinoso problema della gestione e lo smaltimento dei rifiuti?

Personalmente ho sempre coltivato un particolare interesse per la ricerca storica, cui mi sono dedicato con maggiore impegno negli ultimi trent’anni, collaborando con la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia, importante centro nazionale di documentazione e ricerca sulla storia contemporanea. In quell’ambito ebbi la fortuna di conoscere un precursore di livello internazionale dell’ecologia scientifica, Giorgio Nebbia, chimico e merceologo, professore emerito dell’università di Bari, di cui la Fondazione Micheletti custodisce lo sterminato archivio. Nebbia, tanto per dare un’idea della sua statura internazionale, rappresentò il Vaticano alla prima conferenza dell’Onu sull’ambiente a Stoccolma nel 1972. Giorgio, che nel frattempo è diventato un caro amico, mi ha suggerito di occuparmi di un settore particolarmente trascurato dalla ricerca storica nel nostro paese: il rapporto tra l’industrializzazione e l’ambiente. Fu in questo ambito che incrociai uno dei temi più scottanti, la gestione dei rifiuti, ricostruita nel mio L’Italia sotto i rifiuti, pubblicato nel 2004 da Jaka Book, un saggio che sorprendentemente riscosse successo all’epoca, tanto da essere ristampato. Devo anche aggiungere che tutte le mie ricerche in questo settore si sono sempre avvalse di importanti consulenze scientifiche e tecniche, essendo questo campo d’indagine programmaticamente multidisciplinare e votato a superare la tradizionale separazione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche. Per questo devo ringraziare, in particolare, oltre al già citato Giorgio Nebbia, il compianto Luigi Mara, scomparso prematuramente un anno fa, chimico e già fondatore di Medicina democratica, Paolo Ricci, illustre epidemiologo, e l’ingegner Massimo Cerani, esperto di energia e rifiuti, che collabora con me al sito www.ambientebrescia.it. Senza di loro e altri tecnici competenti sulle diverse tecnologie considerate, queste mie ricerche non sarebbero state possibili.

Nel corso della sua lunga e feconda attività ambientalista è rimasto mai vittima di qualche episodio “spiacevole”?

Se si è determinati a mantenere un atteggiamento critico e indipendente a tutela del bene comune rappresentato dalla risorsa ambiente e quindi della salute, inevitabilmente ci si scontra con settori del potere economico e politico troppo interessati, e con scarso scrupolo, a sfruttare quella risorsa. Intimidazioni mi sono arrivate, più di una volta, con relative querele che, però, si sono dissolte già in fase istruttoria per palese infondatezza. Il rigore della documentazione inoppugnabile è sempre stata la mia stella polare sia nelle ricerche che nelle denunce dei misfatti compiuti.

Appagata la curiosità, professore, entriamo nel cuore del problema partendo da un chiarimento terminologico necessario: c’è differenza tra inceneritore e termovalorizzatore?

No: da almeno 20 anni, tutti gli impianti di incenerimento prevedono un parziale recupero energetico. Il termine “termovalorizzatore”, (nel caso dell’impianto nazionale più grande, quello di A2A di Brescia, “termoutilizzatore” copyright esclusivo della stessa A2A) è stato coniato dal marketing della lobby dell’incenerimento, un eufemismo per celare la vera natura di questa tecnologia, intimamente distruttiva di risorse. Le normative europee e nazionali, nonché i testi di tecnologia, parlano di “impianto di incenerimento”, termine che dovrebbero usare tutte le autorità pubbliche, e che nel linguaggio comune può tradursi correttamente in inceneritore. A questo proposito, sarebbe auspicabile che l’attuale ministro dell’Ambiente Sergio Costa non usasse il termine “termovalorizzatore”.

Può l’immondizia che sparisce e si trasforma in energia pulita e rinnovabile essere considerata una soluzione concreta e definitiva?

Vi sono diversi studi che dimostrano come il risparmio energetico ricavabile attraverso il riciclo sia circa il doppio della poca energia prodotta con l’incenerimento. Del resto è facilmente intuibile che le componenti di rifiuto che possono bruciare (carta, cartone, legno e plastica), sono anche quelle più facilmente riciclabili. Anche per la plastica, quella forse più problematica, la Commissione europea è intervenuta il 16 gennaio 2018 con un documento specifico, A European Strategy for Plastics in a Circular Economy, scagliandosi contro l’incenerimento e a favore del riciclo. Questo documento certifica il beneficio di emissioni evitate di CO2 derivante dal riciclo della plastica: ogni milione di tonnellate di plastica riciclata in termini di riduzione delle emissione di CO2 equivale a togliere dalla circolazione un milione di automobili; inoltre la potenziale energia risparmiata annualmente avviando al riciclo tutta la plastica prodotta in Europa sarebbe equivalente a 3.5 miliardi di barili di petrolio. Insomma, non c’è partita tra incenerimento e riciclo, quest’ultimo ha performances sia energetiche che ambientali di gran lunga superiori.

L’impianto di incenerimento che impatto ha sull’ambiente?

Vi sono emissioni quantitativamente rilevanti come la CO2 deleteria per il surriscaldamento del clima, o gli ossidi di azoto precursori delle PM2,5 in inverno e dell’ozono in estate, particolarmente dannosi alla salute. Poi vi sono i microinquinanti (metalli pesanti, IPA, diossine e PCB), in quantità ridotte ma altamente tossici, perché cancerogeni certi per l’uomo. Insomma, danno un buon contributo allo smog atmosferico in particolare in aree come la Pianura Padana con scarsa circolazione dell’aria e dove gli inquinanti si accumulano in particolare in inverno. Che effetti tutto ciò possa avere sulla salute umana è facilmente deducibile…

In termini economici, invece, qual è la risposta? Può essere considerato un impianto vantaggioso?

La risposta viene dalla storia della stagione della rincorsa a costruire inceneritori, circa venti anni fa, in cui le regioni e le multiutilities del Nord (Aem di Milano e Asm di Brescia, diventate ora A2A, Hera di Bologna, Iren di Reggio Emilia…) primeggiarono. Trattandosi di un’impiantistica piuttosto complessa e costosa, sia sul versante dell’investimento iniziale che della gestione, la lobby inceneritorista non si sarebbe mai avventurata in questa impresa se non fosse stata abbondantemente foraggiata con denaro pubblico. Si inventò allora la storiella, poi smentita dall’Unione Europea, che l’energia elettrica prodotta bruciando rifiuti fosse rinnovabile e che quindi meritasse di essere compensata con un valore tre volte superiore a quello di mercato, il tutto fatto pagare ai cittadini consumatori con una voce aggiuntiva sulle bollette. Si trattava dei famosi Cip6 che permisero a chi costruiva un inceneritore di ricevere di fatto dallo stato un ammontare di contributi a fondo perduto equivalente a quasi il doppio dei costi dell’impianto stesso. Un andazzo tutto italiano, in cui una parte importante della nostra imprenditoria è abituata a vivere di prebende pubbliche, veri “prenditori” di risorse succhiate al proverbiale “pantalone”, sempre pronti a scaricargli addosso le eventuali perdite. E con questo è detto tutto sull’economicità di questa impiantistica.

Ma il nostro paese possiede impianti del riciclo sufficienti per trattare i prodotti, in particolare l’umido? Senza di questi, infatti, i prodotti finirebbero nuovamente in discarica…

Premesso che la filiera del riciclo va potenziata, va detto che gli inceneritori producono a loro volta rifiuti da collocare in discarica, circa il 20% dei rifiuti in ingresso, cui vanno aggiunti i rifiuti pericolosi dei sistemi di abbattimento degli inquinati, nell’ordine di un 6% circa.

Come se ne esce, allora, dall’incubo delle discariche?

Le discariche si superano riducendo la produzione di rifiuti e spingendo la raccolta differenziata al 90%, livello possibile perché già ora praticato dalla provincia di Treviso. E soprattutto curando la qualità della raccolta differenziata e quindi del riciclo

I fautori dei termovalorizzatori (loro li chiamano così…), dicono che per risolvere il problema immondizia al Centro e al Sud ne occorrerebbero almeno altri quattro. Due di dimensioni grandi per la Campania e la Sicilia, uno di media dimensione al servizio delle regioni del Centro Italia (Lazio, Marche e Umbria) e uno più piccolo in Sardegna…

I dati smentiscono questo presunto fabbisogno: già ora in Italia abbiamo un eccesso di impianti di incenerimento. Assumendo il modello virtuoso di Treviso, che va esteso in tutta Italia, con una produzione di rifiuto urbano procapite di 400 chilogrammi all’anno, avremmo una quantità nazionale di rifiuti urbani pari a 24.235.778 tonnellate e, con una raccolta differenziata vicina al 90%, ne rimarrebbero da trattare circa 2 milioni e 500.000 tonnellate, mentre a oggi abbiamo installati 41 inceneritori con una capacità superiore a 6 milioni di tonnellate, quasi tre volte di più. È quindi del tutto insensato costruire nuovi impianti di incenerimento, che comunque richiederebbero almeno 5 anni, al netto di ricorsi e controversie legali. Si tratta invece di smantellare una parte degli attuali inceneritori, in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna, come ci chiede l’Unione Europea, tenendo conto che si tratta di regioni con la qualità dell’aria in condizioni oltremodo critiche, e che trarrebbero vantaggio da una riduzione di polveri sottili, per di più conseguita chiudendo fonti emissive del tutto inutili.

Il governo M5S e Lega su questo argomento la pensano diversamente… Il vicepremier nonché ministro dell’Interno Salvini ha detto che “chi dice sempre no provoca i roghi tossici…”.

Salvini dovrebbe sapere che i “roghi tossici” nella Terra dei fuochi provenivano dai rifiuti speciali e non dai rifiuti urbani, e quindi gli inceneritori sono del tutto ininfluenti rispetto a questo fenomeno. Lo dimostra la Lombardia che con i suoi 13 inceneritori, un’enormità, è diventata negli ultimi tre anni la terra privilegiata dei roghi illeciti di rifiuti speciali, come ha certificato la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite connesse nell’ultima riunione del 17 gennaio 2018.

I numeri, professore, hanno sempre la loro importanza. Il nostro paese ogni anno produce circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e in base agli obiettivi fissati dalle UE entro il 2030 la raccolta differenziata deve raggiungere l’80% in modo da arrivare, con gli scarti, al 65% di materiali riciclati. Seguendo quali strade…?

Come già detto bisogna innanzitutto lavorare alla riduzione del rifiuto, mettendo al bando l’usa e getta, sviluppando la vendita dei prodotti sfusi, quindi senza imballaggi, imponendo per legge il vuoto a rendere per tutte le bevande… Quindi va sviluppata una raccolta differenziata a livelli vicini al 90%, curandone la qualità con grande scrupolo e iniziative di formazione dei cittadini. Se la separazione dei rifiuti è ben fatta anche il recupero di materia diventa virtuoso con altissime percentuali di riciclo. Questa è comunque l’unica strada se intendiamo stare al passo con i tempi. Dall’ubriacatura inceneritorista di 20 anni fa sono intervenute tante “novità” che riproporre oggi quella discussione non ha più alcun senso, se non un impossibile passo all’indietro di decenni. Vi è stata la direttiva Ue sui limiti delle PM10 nell’aria, regolarmente disattesi dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna con i loro 21 inceneritori che emettono ossidi di azoto e quindi PM10 a manetta, con conseguenti sanzioni della Corte di giustizia europea; vi sono state le diverse Cop internazionali sui cambiamenti climatici e le evidenze drammatiche degli effetti devastanti anche nei nostri territori (ultimo il tornado che ha colpito diverse aree del Nord abbattendo centinaia di migliaia di abeti rossi); vi sono state le direttive europee sull’economia circolare che hanno stigmatizzato l’incenerimento dei rifiuti come concorrente sleale del riciclo, incenerimento che quindi va disincentivato anche con penalizzazioni fiscali, invitando alcuni paesi, compresa l’Italia, a ridurre il numero degli impianti già esistenti (e la Lombardia e l’Emilia Romagna sono ovviamente nel mirino). Occorrono certamente nuovi impianti ma esclusivamente per migliorare e potenziare la filiera del riciclo, che tra l’altro è meno complessa di quella dell’incenerimento e quindi più rapidamente realizzabile.

A livello occupazionale che differenze ci sono tra un inceneritore e la filiera della raccolta differenziata?

È imparagonabile l’occupazione in un impianto di incenerimento in gran parte automatizzato con quella possibile nella filiera della raccolta differenziata e del riciclo.

Quali sono invece i numeri di costi e durata di un inceneritore?

I costi sono in funzione della dimensione dell’impianto e la durata è quella di un impianto industriale, 25-30 anni, così pure la manutenzione e lo smantellamento eventuale a fine ciclo.

Cosa s’intende per economia circolare?

Un’economia che cerca di imitare la natura la quale non produce rifiuti con i propri cicli chiusi, in cui gli scarti, ad esempio, degli animali consumatori, vengono degradati da microrganismi e diventano alimento per i vegetali produttori. Un’idea lanciata dal grande ecologista Barry Commoner nel suo Il cerchio da chiudere già nel lontano 1977.

La plastica è tutta riciclabile?

Vi sono oggi tecnologie sofisticate che separano la plastica per caratteristiche e per colore. Nel caso di plastiche non riciclabili, vanno semplicemente messe al bando. Per ridurre i rifiuti, come suggerisce l’economia circolare, bisogna progettare prodotti che siano intrinsecamente riciclabili al 100%. Gli altri vanno banditi.

Chi gestisce e chi effettua i controlli sul corretto funzionamento dei termovalorizzatori?

Dovrebbero essere le Arpa, che non sempre sono dotate di personale e strumentazione adeguati. In particolare sono molto carenti i controlli sui rifiuti in ingresso, per motivi che hanno a che fare con la cosiddetta tracciabilità dei rifiuti, tema mai risolto in Italia per l’opposizione degli operatori.

Con la raccolta differenziata, si disse al momento dell’introduzione, l’ambiente ne guadagnerà e i cittadini pagheranno meno tasse. Purtroppo, però, non sempre è così…, almeno per quello che riguarda la diminuzione della tasse. Anche perché spesso i rifiuti vengono smaltiti all’estero con una conseguente lievitazione dei costi…

Una raccolta differenziata di qualità che permetta un riciclo interessante dal punto di vista merceologico, comporta anche un risparmio sulle tariffe per i cittadini, come dimostra l’esperienza di Treviso e molte altre.

A quanto ammontano le sanzioni comminate fino a oggi dalla UE all’Italia per le discariche abusive e l’emergenza rifiuti in Campania?

Le discariche abusive erano essenzialmente rifiuti speciali provenienti dal Nord e gestiti dalla Camorra, scorie e fanghi industriali e l’incenerimento dei rifiuti urbani è del tutto ininfluente. Va ricordato che la Campania per i rifiuti urbani già oggi supera il 50% di raccolta differenziata e può e deve migliorare. Ma a quanto ammontano le sanzioni comminate dall’Unione Europea, ad esempio in seguito alle condanne da parte della Corte di giustizia europea dell’Italia perché la terza linea dell’inceneritore A2A di Brescia fu costruita senza valutazione di impatto ambientale, o perché in Pianura padana non si rispettano i limiti dei 35 giorni di supero delle PM10?

Lei, a Brescia può contare su un osservatorio privilegiato: parliamo di uno dei più grandi inceneritori d’Europa. Quale consuntivo viene fuori a distanza di anni?

Un bilancio disastroso: fino a 2 anni fa la raccolta differenziata a Brescia non raggiungeva il 40%, con una produzione pro capite di rifiuti vicina ai 700 chilogrammi. L’inceneritore è assolutamente sovradimensionato, con una potenzialità fino a 800.000 tonnellate di rifiuti, circa il triplo dell’attuale “fabbisogno”, peraltro gonfiato dalla scarsa virtù nella gestione dei rifiuti. Di conseguenza vengono importati da ogni dove rifiuti urbani, in parte travestiti da speciali, tipo “ecoballe” e rifiuti speciali di ogni genere, in una città con l’aria tra le più inquinate d’Europa. Ecco, se vogliamo sintetizzare, Treviso è il modello positivo, Brescia quello negativo.

Se sono più gli aspetti negativi perché diversi esponenti della scienza accademica ed esperti continuano a vantare le virtù degli inceneritori?

In verità sono sempre meno, si sono rassegnati all’idea che questa strada è ormai impercorribile…

Però anche l’Europa, soprattutto i paesi nordici da sempre particolarmente attenti al rispetto dell’ambiente, ha sposato la causa dei termovalorizzatori… Addirittura a Copenaghen, in Danimarca, ne hanno impiantato uno che non solo brucia i rifiuti ma produce energia al centro di un parco pubblico. E sul tetto ospita una pista da sci…

Già, un bel baraccone, perché anch’esso sovradimensionato, per cui mancano i rifiuti e i costi di gestione sono insostenibili. Un inceneritore che l’ex ministro dell’ambiente della Danimarca Ida Auken, favorevole al riciclo e all’uscita dall’incenerimento, intervistata da Report il 26 marzo 2018, definì uno scandalo…

Concludendo professore, come risolvere il problema dei rifiuti in Italia?

Con una battuta le rispondo attraverso un po’ di cultura, conoscenza e serietà da parte di chi ci governa.

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