PRIMA CHE IL FIORE APPASSISCA
L’eccellente professore con la sua premura e la sua scienza era già riuscito a salvare il venticinquenne padre Domenico Amerigo da un primo attacco di polmonite; ora sperava di tirarlo fuori anche da una pericolosa ricaduta nella stessa malattia. La morte, però, giunse per altra strada; senza offrire alcun indizio e cogliendo tutti di sorpresa, si portò via il malato quasi a tradimento.
Domenico era nato a Costarainera (Imperia) il 14 maggio 1837. Giovanissimo, è già un falegname tanto esperto che riesce a trasformare il faticoso mestiere in apprezzata e piacevole arte; ma successivamente avverte che la sua vita non può consumarsi nel chiuso di una bottega tra tavole e trucioli ma deve essere spesa al servizio del Signore e all’annuncio del vangelo. Entra perciò tra i passionisti e compie l’anno di noviziato nel convento dell’Angelo (Lucca) dove il 13 gennaio 1855 veste l’abito religioso. Con l’impegno personale accompagnato dall’entusiasmo giovanile e la guida del direttore spirituale arricchita dall’esempio dei confratelli, assimila con facilità e vive con gioia lo spirito della congregazione. Il 18 gennaio 1856 emette la professione dei voti.
Per prepararsi al sacerdozio studia nel convento di Todi (Perugia) dal 1856 al 1859 e poi in quello di Pievetorina (Macerata); il 21 settembre 1861 viene ordinato sacerdote a Camerino (Macerata). Domenico ha compiuto il corso della formazione spirituale e culturale con molta diligenza. Chi gli è stato vicino in questi anni lo ha visto progredire in sapienza e bontà ed è sicuro che il giovane non deluderà le attese riposte in lui per i compiti che sarà chiamato a svolgere. Sul finire del 1861 si trasferisce nella casa religiosa di Recanati e viene impegnato nella predicazione, come da lui sempre desiderato. Vi si dedica quindi con amore ed entusiasmo; ritiene del tutto lieve, anzi vive con gioia qualche sacrificio che accompagna la vita missionaria: offre tutto al Signore per il bene delle anime. Il giovane non è un oratore dalla voce potente e non ama neppure un linguaggio ricercato come era facile riscontrare in non pochi predicatori del tempo. Eppure il popolo resta affascinato dalla sua parola. I fedeli ammirano in lui la santità e lo zelo del vero apostolo; lo vedono umile nel portamento; lo trovano instancabile e dolce nell’amministrare la grazia e la misericordia di Dio.
Il suo apostolato viene bruscamente interrotto dalla polmonite; guarisce dopo cure adeguate e può riprendere gli impegni della vita comunitaria. Dopo poco, però, la malattia si ripresenta costringendolo di nuovo a letto. Il medico che lo ha curato precedentemente, non dubita di restituirgli ancora la perfetta guarigione. Il malato viene assistito amorevolmente dai confratelli che lo trovano sempre tranquillo: la pace e la serenità, dicono, gli vengono dalla preghiera e dall’eucaristia. Domenico trascorre il 22 gennaio 1863 particolarmente raccolto; la sera consuma la cena con normale appetito e augura buon riposo a chi lo visita prima che si concluda la giornata. Quando la comunità si sveglia per la preghiera notturna, l’infermiere torna da Domenico che gli dice di sentirsi solo un po’ stanco ma lo assicura che non c’è motivo di preoccuparsi. Lo stesso infermiere di prima mattina torna a visitarlo e lo trova con le mani giunte sul petto come se stesse placidamente dormendo. Domenico, invece, era passato alla vita eterna.
Grande il dolore e grande la sorpresa dell’infermiere e di tutta la comunità; grande la sorpresa e grande il dolore del medico che si prendeva cura del malato con molto amore e sincero affetto. Il giovane, dice il dottore, è stato portato via da un imprevisto e imprevedibile attacco cardiaco verso le ore quattro e trenta. Al secondo apparire della polmonite, Domenico aveva capito che la malattia troncava i suoi progetti e le sue aspirazioni. Ma non era stato preso da tristezza o rimpianti umanamente legittimi e comprensibili. Anzi, aveva rivolto il cuore e lo sguardo al cielo sperando di andarvi presto. I confratelli con emozione e stupore lo avevano sentito pregare così: “Signore, ti ringrazio che sei venuto a prendermi prima che la mia giovinezza appassisca”.
Domenico Amerigo: un fiore, dunque, che non ha conosciuto il gelo dell’inverno ma che ha conservato per sempre il candore e il profumo della primavera. (165)