PRENDE FORMA LA CHIESA DI FRANCESCO
IL PONTEFICE NON GUARDA IN FACCIA A NESSUNO. PROCEDE PER LA SUA STRADA. UOMINI NUOVI E PRETI APPASSIONATI DI VANGELO STANNO AFFACCIANDOSI OGGI NELL’ORIZZONTE ECCLESIALE. NON SAPPIAMO ANCORA QUANTO LE RIFORME INVOCATE DA FRANCESCO AVRANNO EFFETTO. MA UNA COSA È SICURA: SE CONTINUERÀ COSÌ, CON PAPA BERGOGLIO NE VEDREMO DELLE BELLE La nuova chiesa di Francesco comincia a prendere corpo. Pian piano, per una storia che dura da duemila anni, abbastanza velocemente per chi, in curia e altrove, si aspettava magari un papa meno decisionista e più “tranquillo” nelle scelte del suo pontificato. Che sono arrivate, puntuali come un orologio svizzero. Il 22 febbraio, data fatidica per vedere come stanno realmente le cose all’interno della riforma annunciata da Francesco, è arrivato. Francesco continua ogni giorno ad annunciare il vangelo della misericordia e della tenerezza, ma proprio questo vangelo lo incarnano gli uomini, i preti, i pastori: la scelta del “governo” della chiesa è quindi di fondamentale importanza in questo tempo di passaggio. Bisogna dire che Francesco non ha deluso le attese.
Grandi novità, dunque, nella scelta dei 16 nuovi cardinali elettori, che, appartenenti a 12 nazioni diverse, rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la chiesa di Roma e le altre chiese sparse per il mondo. È utile ricordare alcuni nomi che hanno ricevuto il berretto rosso. Senza dubbio Pietro Parolin, il segretario di stato apprezzatissimo per le sue doti diplomatiche e spirituali, in questo caso la berretta è quasi obbligata. Poi, sempre tra gli italiani, spicca il nome di Lorenzo Baldisseri, il segretario generale del sinodo dei vescovi, il monsignore a cui proprio Francesco, nel momento di dire “sì” alla sua elezione nella cappella Sistina, diede il suo di berretto rosso, dicendogli “adesso sei cardinale a metà”; Beniamino Stella, nuovo prefetto della congregazione per il clero e la sorpresa, l’outsider, quel Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, già vicepresidente della Cei e scelto proprio da Francesco come membro della potente congregazione dei vescovi. Più attenzione alle chiese povere, nuovo cardinale per Haiti, poca Europa e America del Nord, e, per quanto riguarda l’Italia, non si è potuto non notare che Torino e Venezia, diocesi tradizionalmente cardinalizie per non dire “papaline”, non hanno avuto il premio tanto atteso.
Quasi una rivoluzione, questa di Francesco. Indubbiamente scelte che vanno oltre la “tradizione” e le consuetudini. Si ritorna a una scelta dei primi tempi della storia del cristianesimo, quando i cardinali li sceglieva, appunto, direttamente il papa. Tra i cardinali, non elettori, cioè coloro che hanno più di 80 anni, c’è il “nostro” Loris Capovilla.
Possiamo immaginare lo stupore di monsignor Loris Capovilla, un novantottenne arzillo e dalla battuta sempre pronta, quando dall’altro capo della cornetta del telefono la voce di Francesco gli annunciava la nomina a cardinale. E immaginiamo anche la soddisfazione interiore di don Loris ad apprenderla: giustizia è fatta, avrà detto. E sì, perché Loris Capovilla, segretario storico di Giovanni XXIII e ideatore con lui del concilio Vaticano II, “quel” concilio Vaticano II, ha vissuto una stagione bellissima della chiesa, carica di profezia, ma anche ha sofferto personalmente per aver incarnato quella stagione e quelle idee. Fu inviato vescovo a Chieti, una volta terminato il suo mandato con Giovanni XXIII, e cacciato dalla città abruzzese ben presto per aver sgridato in un’omelia del venerdì santo i due intoccabili politici d’Abruzzo, Gaspari e Natali. Secondo le norme concordatarie di allora il governo italiano si fece sentire, e naturalmente il Vaticano fu costretto a rimuoverlo, promovendolo ad altro ufficio più rappresentativo. Di lì a seguire, don Loris è rimasto quello che è sempre stato: libero pensatore, appassionato della buona notizia, amante della chiesa della profezia, in compagnia a un altro della sua stessa risma, quel Luigi Bettazzi che da Ivrea ancora oggi non rinuncia alla sua parola liberante e coraggiosa. Messi in ombra dai regnanti successivi al concilio, sia in curia che nell’episcopato italiano.
Una scelta, certo onorifica per via dell’età, quella del cardinalato a don Loris, ma assai importante per quello che significa. Francesco oggi premia l’uomo-macchina di Giovanni XXIII, premia il concilio Vaticano II.
Per quanto riguarda il bravissimo Bassetti, al di là della personalità di vescovo e uomo, da tutti stimato e apprezzato, non può rimanere in silenzio il fatto che Bassetti, in passato, è stato il rettore del seminario maggiore di Firenze e poi il suo vicario generale. Una porpora meritata, anche se forse arrivata un po’ in ritardo, dopo essere stato pastore di Massa Marittima, Arezzo e infine Perugia. Oggi, con queste nomine, Francesco rende chiaro a tutti, nel caso ce ne fosse bisogno, che una certa politica ecclesiastica tutta italiana che ha governato la santa sede negli ultimi decenni non è più gradita dal papa. O meglio, è sorpassata dai fatti. A questo punto è quasi superfluo dire chi sarà il prossimo presidente della Cei appena monsignor Nunzio Galantino, fresco segretario generale della stessa Cei, avrà finito di lavorare alla riforma voluta da Francesco. Quel don Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Jonio, guai a chiamarlo “eccellenza”, proprio come don Tonino Bello, che si troverà tra le mani l’organizzazione della potente macchina della chiesa italiana. E sappiamo già dove le indicherà di stare: lungo le periferie dell’esistenza.
Aria nuova, insomma. Nuovissima. Tra i cardinali stranieri, c’è Philippe del Burkina Faso che è un prete collegato alla fraternità Jesus Caritas di Charles di Foucauld. Un apostolo della povertà annunciatore della buona notizia in una fetta di mondo poverissimo e dimenticato da tutti.
Siamo di fronte a una rivoluzione. Francesco non guarda in faccia a nessuno. Procede per la sua strada. Uomini nuovi e preti appassionati di vangelo stanno affacciandosi oggi nell’orizzonte ecclesiale. Non sappiamo ancora quanto le riforme invocate da Francesco avranno effetto. Ma una cosa è sicura: se continuerà così, con Francesco ne vedremo delle belle.
Una politica ecclesiastica che ha governato la chiesa per circa trent’anni sta per andare in soffitta. Sembra di poter dire che più che le amicizie, oggi contino di più, nella gerarchia della chiesa, umanità, competenza, servizio e sobrietà di vita.