Porte chiuse, porte aperte, porte girevoli… Le porte del calcio misurano sette metri per 2,40 (pignoleria vuole che si specifici: 7,32 metri da un palo all’altro per 2,44 di altezza dal suolo…), e sono la meta ambita, e unica, violata la quale una volta più dell’avversario si determina il successo della squadra. Quando gli inglesi, oltre un secolo e mezzo fa, hanno scritto le regole del calcio scelsero come verdetto quello di affidarsi al numero di goals segnati per stabilire la vittoria dell’una o dell’altra squadra. Non altro: una rete più dell’avversario.
Di porte chiuse, nel calcio, se n’è parlato, e discusso, ai primi di marzo, quando la crisi sociosanitaria provocata dal “coronavirus” ha indotto prima il calcio e subito a seguire l’intero movimento sportivo nazionale a sospendere ogni attività, ogni iniziativa nel timore che possibili contatti fisici tra gli atleti e nel pubblico potessero espandere la pandemia. Prima che questo avvenisse s’era fatto in tempo a polemizzare e a registrare comunque la partita tra Juventus e Inter, anticipata e naturalmente seguita da una consistente filastrocca di ricordi, polemiche, rimandi. Come l’ampiamente citato precedente di un poco dissimile ricorso storico tra le due illustri antagoniste, protagoniste, anche allora, primi anni sessanta, proprio come ai nostri giorni. Era successo che un Juventus-Inter fosse giocato a Torino con gli spettatori assisi ai bordi del campo, seduti in terra a un metro dalle linee del terreno di gioco. L’arbitro ritenne regolare quel pur insolito pubblico e mise a verbale la regolarità dell’incontro. La Lega prima decise per la sconfitta a tavolino della Juventus (responsabilità oggettiva della squadra ospitante), poi la CAF spinta dalle forze pro Juventus annullò quel referto e fece ripetere l’incontro: che tuttavia fu fissato per la fine del torneo, a classifica ormai stabilizzata (in favore dei bianconeri, manco a dire…). L’Inter ritenendosi danneggiata dalla decisione relativa alla ripetizione decise di inviare la squadra giovanile, nella quale esordì Sandro Mazzola.
Fu in quell’incontro che Sivori segnò sei delle nove reti con le quali la Juventus vinse la partita, storica la sua parte, e consegnando alle statistiche quel primato di goal che un po’ immeritatamente figura ancora tra i record del campionato. A segnarli, Enrique Omar Sivori, il “Cabezon”, argentino con i calzettoni abbassati (“a cacaiola”, se mi si consente la citazione, presa pari pari dai cronisti d’allora) e grande ispiratore delle reti messe a segno in quella e nelle altre partite del tempo dal suo sodale John Charles, gallese di grande forza fisica e dirittura agonistica.