POLITICA E SPERANZA

By Gabriele Cingolani
Pubblicato il 1 Novembre 2022

Mi hanno chiesto: Che ne pensi di Dio, patria e famiglia? Ho risposto che per me può andare bene perché sono credente, amo la mia patria, ho padre e madre che sono stati fedeli nel matrimonio fino alla morte. Ma non obbligherei l’intera società a intendere queste cose come le intendo io. Inoltre non mi contenterei di questo trinomio. Aggiungerei giustizia per i più deboli e pace e libertà per tutti. E anche umanità e creazione, perché vorrei l’umanità come unica famiglia di fratelli e sorelle tutti uguali, e la creazione da rispettare e amare, terra cielo e mare e tutti gli animali compreso il cagnolino.

Mi hanno anche chiesto: Che ne pensi dei diritti civili? Ho risposto che devono essere garantiti a tutti. Ho però bisogno di confrontarmi con le posizioni degli altri, perché in qualche caso mi vengono dubbi che si tratti di veri diritti, e che siano civili. Proporrei anche iniziative perché nella società si consolidi la coscienza dei doveri e della responsabilità.

La discussione verteva su quello che dovrebbero fare i cattolici in politica, alla luce del loro impegno negli ultimi anni, specialmente nelle recenti vicende culminate con le elezioni per la diciannovesima legislatura del nostro paese. L’impressione generale è che l’influsso dei cattolici in questo ambito sia scarsamente percepibile. Non è un lamento che potrebbe venire dalla preoccupazione pastorale dei vescovi, ma una delusione manifestata da commentatori laici anche non credenti. Il che implica ammettere che senza i cattolici le cose vanno peggio. In Italia il pensiero cattolico ha sempre avuto notevole spazio, apprezzato anche da chi non lo condivide. Il suo indebolimento è considerato un impoverimento dell’identità culturale della nazione. È vero che l’azione cristiana nel mondo avviene come lievito e fermento, ma se la massa non lo avverte vuol dire che il lievito non funziona.

Papa Francesco, conversando coi giornalisti nel viaggio aereo di ritorno dal Kazakistan il 15 settembre scorso, ha confidato di capire poco della politica italiana. In fondo come molti di noi. “Non condanno, non critico, semplicemente non so spiegarmelo”. Ma ha invitato a una “politica alta, non di basso livello, che non aiuta anzi tira giù lo Stato”. È questo il contributo necessario per i tempi che corrono. C’è sete di coraggio e di speranza. La gente ha bisogno di energia e di capacità creativa. La società cerca presenze che infondano serenità, pacificazione e resilienza. La pandemia ci ha ferito anche nell’anima, rendendoci più fragili e attaccabili. Ha scosso l’armonia delle relazioni, divenute più difficili da controllare.

La guerra incredibile e assurda dentro la casa europea ha spinto la nostra area geografica nella “crisi totale”, cioè sociale, politica, economica, energetica, ecologica e persino di fede. Non abbiamo più parole per commentare la violenza e crudeltà che vediamo ogni giorno, contro ogni logica razionale e di convivenza umana. Fino alla minaccia del conflitto nucleare. Si parla di apocalisse non come genere letterario, ma come possibilità da un momento all’altro. Parte della popolazione si sente destabilizzata, sconvolta e impotente.

Mentre il dibattito pubblico degenera spesso in partigianerie e tensioni, con spinte a reazioni incontrollate, il senso di insicurezza e di smarrimento culmina nella paura. Ma nella Bibbia appare per trecentosessantasette volte l’invito a non aver paura. Come se ogni mattina, per tutti i giorni dell’anno, qualcuno ci sussurrasse nell’intimo: la storia attorno a te e la vita dentro di te sono in altre mani.

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