POCHI E IN FUGA

Gli italiani giovani sono sempre di meno, pochi di essi si laureano e un terzo di quei pochi cerca lavoro all’estero. Chi l’avrebbe detto? Per fortuna ci sono gli emigrati!

L’Italia è diventata un Paese d’immigrazione senza mai cessare di essere un Paese di emigrati. Immigrazione clandestina a parte, c’è quella legale i cui flussi sono decisi dalla Presidenza del Consiglio: per il 2024 è previsto un fabbisogno di 151 mila lavoratori stranieri e di 165 mila nel 2025, ma pare che ne servano di più. L’Italia ha bisogno estremo di immigrati per mantenere il suo livello produttivo e il sistema pensionistico. Senza l’apporto di lavoratori stranieri regolari chiuderebbero molte fabbriche, l’agricoltura crollerebbe e mancherebbero i soldi per pagare le pensioni ai settantenni e ottantenni di oggi.

Parallelamente partono ogni anno decine di migliaia di giovani italiani, per lo più diplomati e laureati, che non vedono un futuro nel loro Paese e si trasferiscono all’estero alla ricerca di posti di lavoro e stipendi più gratificanti. Una recente indagine Ipsos riporta che uno su tre (il 35%) dei giovani italiani sotto i 30 anni è disposto a lasciare il Paese per cercare opportunità lavorative all’estero. È un diritto poter emigrare e sotto certi aspetti dovremmo essere fieri se avessimo un surplus di laureati e diplomati da esportare. Il problema è che nella situazione attuale l’esodo diventa una fuga che danneggia il nostro Paese.

Bello sarebbe se, dopo aver messo a profitto altrove le competenze apprese in Italia, tornassero in patria arricchiti delle nuove esperienze estere. Purtroppo non è così: tra il 2008 e il 2022 sono andati all’estero oltre 525 mila giovani italiani, ma di questi solo un terzo è tornato in Italia, nonostante una recente legge faciliti il ritorno in patria. Motivo: stipendi e condizioni di lavoro sono migliori in molti Paesi esteri. Alla dizione “fuga di cervelli”, che pare politicamente scorretta, dicono che sia da preferire “scambio di cervelli”, ipotizzando un automatico sostanziale equilibrio tra arrivi e partenze. Purtroppo non è il caso dell’Italia dove lo scambio è fortemente sbilanciato anche per alcune allarmanti situazioni peculiari del nostro Paese.

La prima: gli italiani sotto i 30 anni sono sempre di meno per la crisi demografica (l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa). Basta un semplice dato a confermarlo: nel 2008 sono nati 577 mila bambini e bambine, ma nel 2023 hanno visto la luce solo 379 mila. La seconda situazione: l’Italia è penultima in Europa per numero di laureati. In definitiva, abbiamo molti anziani e pochi giovani e di questi pochi si laureano e più del 30% di questi pochi giovani laureati se ne va a lavorare all’estero. Il Paese invecchia ulteriormente e s’impoverisce il cosiddetto capitale umano, quello che garantisce sviluppo e benessere al Paese. Ottima, però, la scelta di coloro che integrano la loro formazione con esperienze di studio e lavoro all’estero o partecipano a programmi formativi tipo Erasmus (che purtroppo vede l’Italia poco allettante).

La Fondazione Nord-Est e l’associazione Talented Italians in UK, elaborando i dati Eurostat, ha trovato che, negli ultimi 10 anni, l’Italia ha perso 1,3 milioni di persone andate a lavorare e vivere all’estero. Quasi come succedeva negli anni ’50 del secolo scorso, quando però chi lasciava il nostro Paese aveva un basso livello di scolarizzazione, mentre oggi si stima che almeno un emigrante su tre sia laureato. Per contro, l’immigrazione in Italia è fra le meno istruite.

Cos’è che non va in questo Paese che non fa più figli, non sa invogliare i giovani a studiare e non sa mettere a profitto in patria i talenti dei propri diplomati e laureati? Esame di coscienza.