PIÙ VIOLENTI A CAUSA DELLA CRISI

DATI CHE PREOCCUPANO
By Antonio Andreucci
Pubblicato il 2 Giugno 2014

SECONDO L’INDAGINE DELLA CONFEDERAZIONE NAZIONALE DEGLI ARTIGIANI IN QUESTI ANNI IL NUMERO DEI REATI È CRESCIUTO DELL’8,7%. IN FORTE AUMENTO RISULTANO SOPRATTUTTO I REATI CONTRO IL PATRIMONIO, CHE POSSONO ESSERE RICONDOTTI ALLA CADUTA DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE: I FURTI SONO SALITI DEL 32,5%, LE TRUFFE E LE FRODI INFORMATICHE DEL 21,8%   L’Italia al tempo della crisi ha vissuto una tragica trasformazione. È diventata più anziana (logico: il tempo passa) e più povera, e questo si sapeva e si vede ogni giorno. Il fatto è che questa povertà ha portato con sé un altro fenomeno del quale avremmo fatto volentieri a meno: la vera novità è che l’Italia in questi sei anni di crisi è diventata anche più violenta. Non so quanti di noi condividano questa analisi, ma è così che emerge il nostro paese da uno studio della Confederazione nazionale degli artigiani (Cna), un’associazione che rappresenta una categoria che è una delle travi portanti della nostra economia; professionisti con i quali siamo a contatto tutti i giorni e che meglio di tanti altri possono misurare l’andamento della situazione.

Dopo sei anni di crisi economica, politica e sociale l’Italia ha visto crescere in maniera travolgente le persone a rischio di povertà e di esclusione sociale. Ormai sono oltre 18 milioni, quasi tre milioni in più del 2007, e rappresentano il 14,8% di tutti gli europei emarginati economicamente. Si tratta di persone costrette a vivere in famiglie che hanno entrate inferiori al 60% del reddito medio; che non possono permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni e, se lavorano, lo fanno in maniera ridotta. Nell’Unione Europea in condizioni peggiori di noi si trovano solo la Grecia e sette paesi ex-comunisti. Dal 2007 la percentuale di italiani che non possono sostenere una spesa imprevista, pagare le bollette, riscaldare la casa, nutrirsi come si deve è schizzata dal 6,8 al 14,5%. Nel vecchio continente il disagio è cresciuto di più solo in Grecia. Colpa della crisi, è vero. Ma negli stessi anni in Germania il numero di tedeschi emarginati è diminuito. Anche la crisi, evidentemente, non è uguale per tutti. In Italia crea un ulteriore elemento di allarme sociale come il boom degli sfratti per morosità.

Come se non bastasse, il nostro paese è diventato anche più insicuro. In questi anni il numero dei reati è cresciuto dell’8,7%. In forte aumento risultano soprattutto i reati contro il patrimonio, che possono essere ricondotti alla caduta delle attività economiche: i furti sono saliti del 32,5%, le truffe e le frodi informatiche del 21,8%. La crisi spinge le famiglie a guardare sempre di meno alla qualità e di questo ne approfitta la criminalità, anche quella internazionale. Si spiega così la crescita esponenziale dei reati di contraffazione di marchi e prodotti industriali, più che quadruplicata. Ma la crisi ha finito per turbare e impoverire anche i rapporti tra le persone, come dimostra l’incremento degli episodi di violenza personale, dalle percosse alle lesioni.

L’incertezza economica e sociale si riverbera, inevitabilmente, sul dato demografico: non si fanno più figli. Negli anni della crisi il tasso di natalità, già basso, in Italia è calato ulteriormente, da 9,7 a 8,9 nuovi nati ogni mille abitanti. L’età media è salita da meno di 43 a 44 anni. E il peso della popolazione anziana è aumentato. Ormai gli ultra 65enni sono una volta e mezza i ragazzi sotto i 15 anni e quasi un terzo (il 32,7%) della popolazione in età lavorativa. È il livello più alto in Europa. E rappresenta un segnale inquietante. Questo indicatore, infatti, misura la capacità potenziale del sistema di provvedere al pagamento delle pensioni. Una bomba a orologeria.

Eppure, anche perché non si trova occupazione, tra il 2007 e il 2013 si è incrementato il grado di istruzione della popolazione. Sono aumentati del 23,9% i laureati e dell’11,9% i diplomati, così da portare al 47,4% degli italiani i possessori di un diploma o di una laurea. Ma l’istruzione non ha garantito un’occupazione, anzi. Infatti, se prima della crisi il diploma assicurava un inserimento sul mercato del lavoro, oggi la probabilità di disoccupazione di un diplomato è prossima a quanti posseggono solo la licenza media.

Si spiega anche con questi numeri, sottolinea l’indagine del centro studi Cna, l’esplosione del fenomeno Neet: i giovani tra i 15 e i 34 anni che non lavorano, non studiano, non svolgono attività di formazione. In sette anni il loro numero è aumentato di oltre 750mila unità, arrivando a quasi 3,6 milioni. Il 27,3% dei Neet sono diplomati (erano il 17% nel 2007), il 21,7% laureati, contro il 15,9 per cento all’inizio della crisi.

Al quadro allarmante che ci troviamo di fronte fa da contraltare un ritorno della speranza per il futuro. Non sappiamo se la cosa dipenda da fattori politici o dal fatto che, come recita il finale del capolavoro di Eduardo de Filippo Napoli milionaria, “Adda passa’ ’a nuttata”, cioè, il peggio prima o poi finirà. Forse il lungo tempo di buio induce a confidare nella fine. Speriamo che sia davvero così e non come una celebre battuta di Woody Allen nel film Hannah e le sue sorelle: “C’è sempre una luce in fondo al tunnel. Speriamo che non sia un treno”.

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