PIPPO MIO, NON TI CREDER…

By carmine arice
Pubblicato il 11 Settembre 2020

Quanto più siamo amici di Dio, tanto più sappiamo amare “con cuore di carne” coloro ai quali vogliamo bene, purificati da ciò che potrebbe deviare un sentimento così nobile come la vera amicizia.

Cari lettori, è commovente leggere l’intera lettera che il professo confratel Gabriele dell’Addolorata, studente di filosofia, scrive dal convento di Pievetorina il 13 maggio 1859 al suo più fedele e sincero amico, Filippo Giovannetti, studente di legge all’università di Camerino. Confidenzialmente la lettera inizia con un grazioso appellativo, “Pippo mio – e prosegue rassicurando l’amico – non ti creder già che il mio amore per te sia svanito perché sono separato da te: no, ne assicuro; anzi, esso, per grazia di Dio, si è purificato”. Con una meravigliosa testimonianza di affetto, san Gabriele ci ricorda che la distanza non è motivo per dimenticare un vero amico e volere per lui ogni bene possibile, anzi diventa la prova della sua autenticità e della sua fortezza.

La lettera prosegue con una serie di raccomandazioni nelle quali san Gabriele invita l’amico a prendersi cura della sua anima, augurandogli, come dono supremo, una vita in grazia di Dio. Se il linguaggio della lettera risente della data e del clima spirituale in cui è stata scritta, non così i contenuti che sono quanto mai essenziali.

Pippo e Gabriele hanno vissuto anni di amicizia giovanile nei quali, probabilmente, hanno fatto esperienza anche di quanto è dannosa per una vita autenticamente cristiana e direi anche umanamente compiuta, la superficialità dei rapporti e delle relazioni, come pure la mondanità, anche se “leggera”; la sensibilità spirituale di san Gabriele fa sottolineare con vigore alcuni vizi che probabilmente non l’hanno nemmeno sfiorato, ma dei quali ha percepito il possibile conseguente malessere. In particolare san Gabriele è preoccupato di compagni che, “con belle parole”, potrebbero guastare il suo cuore per la menzogna in esse celata. Nel ragionamento del patrono dei giovani c’è una convinzione fondamentale: l’importanza di essere prudenti vigilando che il male non entri nel cuore di un giovane.

Cosa può dire a noi, uomini e donne del terzo millennio, una lettera come questa? Siamo sinceri, viviamo un tempo nel quale si fa a gara a chi è più spudorato, a chi ha meno paura di ostentare con fierezza il superamento di ogni limite e, pensando di essere immuni da ogni contaminazione negativa, dichiarare che tutto deve essere permesso in nome della libera autodeterminazione, salvo poi leggere di atti di violenza senza limiti e il racconto di comportamenti che prima ancora di essere moralmente riprovevoli sono umanamente distruttivi. E per noi cristiani: non è forse vero che la salvezza dell’anima debba essere la principale preoccupazione della vita, memori dell’ammonimento di sant’Ago-stino: “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te?”.

Cari lettori, può essere utile chiederci: saremmo noi capaci di scrivere a qualche nostro amico una lettera come quella che san Gabriele ha scritto a Pippo, senza timore di essere considerati bigotti ma semplicemente testimoni di una verità? E, soprattutto, siamo proprio convinti che l’amicizia con Dio, la vita di grazia e la salvezza siano davvero i tesori da custodire per una vita cristianamente coerente e umanamente riuscita? Forse come il fortunato Pippo abbiamo bisogno anche noi di avere come amico san Gabriele dell’Addolorata non solo per chiedergli miracoli – segni dell’opera provvidente di Dio – ma anche per sentire preziose raccomandazioni per la nostra vita spirituale e accoglierle concretamente come segno di un’autentica devozione.

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