Il 60 per cento della popolazione mondiale vive in città, per questo l’ecosistema urbano deciderà il nostro futuro umano e la sostenibilità dei modelli economici e sociali. Modificare il nostro modo di vivere e organizzare le città in modo ecosostenibile, dunque, farà la differenza
La pandemia, come altri eventi catastrofici quali carestie, terremoti, guerre, ha influenzato inesorabilmente il nostro modo di concepire l’esistenza, inducendoci a modificare abitudini, credenze, luoghi. A volte si reagisce tornando al passato, nell’illusione di ricostruire “dov’era, com’era”; in altre si compiono mutamenti radicali che spesso accelerano processi di trasformazione lenti, ma già in corso. Sono cambiamenti che riguardano anche i posti dove viviamo, città, paesi, abitazioni. Nel caso di questa pandemia già si stanno ripensando gli agglomerati, ridisegnandoli per tenere conto delle nuove esigenze dettate dai lunghi periodi di lockdown: gli uffici non sono più un luogo obbligato di lavoro; i quartieri devono essere in grado di soddisfare la voglia di vivere di più fuori dalle case, in spazi che non offrano solo asfalto e cemento, ma siano in grado di riportare alla mente e ai polmoni un po’ più di natura; palazzi che siano anche giardini verticali (anche in Italia – a Milano per esempio – cominciano a vedersi costruzioni di questo genere); paesi sulla via dell’abbandono, che trovano qualcuno disposto a scommetterci sopra e a stabilirvisi, anche grazie alle offerte di una casa per un euro. Tutto questo è quanto hanno indotto l’home working, la limitazione degli spostamenti, la necessità di mezzi di trasporto, pubblici e privati, più ecologici, agglomerati urbani che non siano più dormitori, ma spazi da vivere. Il Covid-19 ci ha costretto a ripensare l’economia, il sociale, i rapporti interpersonali, la sicurezza, il rispetto della natura e un modo di vivere possibilmente migliore.
Come ignorare, quindi, l’importanza di ridisegnare gli spazi comuni e privati? L’urbanistica sarà uno dei settori sui quali si ragionerà e interverrà per i prossimi decenni. Il 60 per cento della popolazione mondiale vive in città, per questo l’ecosistema urbano deciderà il nostro futuro umano e la sostenibilità dei modelli economici e sociali. Modificare il nostro modo di vivere e organizzare le città in modo ecosostenibile farà la differenza tra la distruzione e/o la sopravvivenza. Nelle “stanze che contano” c’è già questo fermento, influenzato da quei settori dell’architettura e dell’urbanistica più sensibili alla politica e alla sociologia. Un fermento che si coglie in seminari e convegni svolti in remoto, a causa del lockdown, e che si replicheranno “dal vivo”, in cui si discute sulla necessità di ridisegnare e rendere più vivibili gli spazi. Un progetto che tende ad aggiornare la cosiddetta “Carta di Atene”, redatta nel 1933 dopo il IV Congresso internazionale di architettura moderna. Un documento con il quale si fissarono i principi fondamentali della città contemporanea, nel quale si sostengono la teoria della suddivisione dei quartieri e la diversificazione degli edifici in base alle funzioni che le persone svolgono all’interno della città. A distanza di 88 anni, la pandemia ha indotto ad aggiornare i concetti principali di quella Carta: abitare, lavorare, divertirsi, spostarsi.
Nel settore automobilistico, per esempio, lo studio degli incidenti sollecita e indica soluzioni per rendere più sicure le automobili. Un aspetto che la pandemia ha suggerito per la concezione delle future abitazioni. Colpiti da quella che è stata definita “sindrome della capanna”, gli architetti hanno elaborato il concetto di “casa scudo”, capace di accoglierci anche da malati, con kit di apparecchi sanitari di primo soccorso che possano tenere i malati non gravissimi lontani dagli ospedali. Quel che è certo è che le città dovranno governare i cambiamenti radicali che la pandemia ha accelerato. Dopo mesi trascorsi in spazi stretti, le persone reclamano una vivibilità diversa, migliore, a partire dal maggior consumo energetico derivante dall’aumento del traffico di Internet, e dall’impatto ecologico dei servizi logistici fino alle consegne a domicilio (i trasporti su ruota delle consegne e della delivery sono una delle fonti primarie di inquinamento, insieme ai riscaldamenti domestici).
Ma la pandemia ha risvegliato anche l’interesse per comunità più piccole, a “misura d’uomo”, come s’usa dire, dove non si conoscono lo stress, i tempi morti (ore trascorse in auto o metropolitana per spostarsi), la freddezza nei rapporti umani della città. L’Italia è ricca di borghi piccoli e bellissimi: se ne trovano ovunque, in montagna, sui laghi, in campagna. Posti dove la vita costa meno, fattore che aiuta non poco a far quadrare i bilanci familiari messi sempre più a dura prova dalla mancanza di un lavoro. Si è così accentuata la ricerca di case in questi paesi, in alcuni dei quali, per combattere lo spopolamento, case abbandonate, in cattivo stato e da ristrutturare vengono vendute a una manciata di euro, addirittura uno. Un fenomeno al quale è stato dedicato anche un sito internet, molto interessante e ricco di indicazioni e suggerimenti (https://casea1euro.it). La speranza delle amministrazioni di questi Comuni è di rilanciare l’economia locale con i lavori di ristrutturazione, rimettere in sesto il paese, ma soprattutto ripopolarlo.
Sono sempre più le persone che aderiscono a questi progetti ai quali hanno dedicato fiumi d’inchiostro anche giornali stranieri. Le case sono di proprietà di privati che vogliono disfarsene spesso per non pagare tasse e balzelli vari. Si tratta di immobili fatiscenti o pericolanti che necessitano di grandi ristrutturazioni. Gli immobili vengono ceduti in donazione ai Comuni che tramite un’asta pubblica li vendono alla cifra simbolica di 1 euro. In altri casi sono le stesse amministrazioni comunali a farsi da garanti per i proprietari di tali immobili. Da parte loro, gli aspiranti proprietari devono garantire una serie di impegni (le spese notarili per la registrazione, le volture e l’accatastamento, prevedere un progetto di ristrutturazione e rivalutazione della casa entro un anno dall’acquisto – circa 20-25mila euro). I progetti di vendita di case a 1 euro non riguardano solo la ripopolazione dei centri o la loro fragile economia. Sono anche ganci che trainano la riqualificazione di intere aree, che ridanno colore ai centri e offrono un’occasione per ridisegnare i requisiti di edificabilità in armonia con la paesaggistica e l’ambiente circostante, imponendo ad esempio uno spettro di colori per verniciare le pareti esterne degli edifici, materiali per gli infissi, le porte, balconi e terrazzi. Insomma, se nelle città la tendenza è quella di creare una parvenza di atmosfera di paese, con le case a un euro tutto ciò è già a portata di mano: bastano solo alcune decine di migliaia di euro e la consapevolezza che si può vivere bene anche senza frastuono, smog, stress.