PERCHÉ NESSUNO SIA MAI TRASCURATO

By Mons. Antonio Riboldi
Pubblicato il 2 Giugno 2014

Nella liturgia delle domeniche dopo la Pasqua la parola di Dio ci ha presentato i primi passi della chiesa, che ha iniziato il suo cammino proprio da Gerusalemme, la città santa che era stata testimone dei grandi avvenimenti dell’amore di Dio tra gli uomini. Lì era stato crocifisso Gesù, il messia, il figlio di Dio. Lì il terzo giorno era resuscitato dai morti. Lì era salito al cielo dove siede alla destra del padre. Lì aveva inviato lo Spirito Santo, perché continuasse negli apostoli prima e nella chiesa poi, la missione di salvezza di tutto il genere umano, come è nella volontà del padre, che ama talmente gli uomini, ogni uomo, da non avere alcuna esitazione a offrire per loro la vita del figlio. Lì, a Gerusalemme, ha avuto inizio il cammino della chiesa nel mondo, giunto fino a noi.

Noi, oggi, dobbiamo confessarlo con umiltà, abbiamo in parte perso il senso della divina bellezza della chiesa: questa chiesa, che, nonostante grandi esempi come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, canonizzati in aprile, o il dono dello Spirito che è papa Francesco, appare appannato, non certo per colpa di Dio, ma per colpa nostra, perché la chiesa siamo tutti noi, credenti nel Cristo risorto, che troppe volte non rimuoviamo i macigni che sono all’imboccatura della nostra anima impedendo la “festa dei macigni rotolati”, come diceva don Tonino Bello.

Quando le meraviglie di Dio sono affidate a mani di uomo, queste, troppo spesso, lasciano impronte poco gloriose. E così tanta gente, oggi, guardando troppo alle impronte degli uomini, si ferma più alle sue debolezze, che alla grandezza delle opere di Dio nella chiesa.

Da qui la conseguenza che tanti si allontanano, non trovando più il perché o la gioia di essere intimamente parte della famiglia di Dio, che è la chiesa: regno di Dio qui tra noi in terra. Ma com’era a Gerusalemme la prima comunità di credenti?

Se, per un confronto con le nostre, ne leggiamo le caratteristiche nel libro degli Atti degli apostoli, (2,42-48) pare davvero un quadro di “famiglia”, un’icona, diremmo noi, che davvero dà della fede vissuta una visione da altro mondo, il mondo di Dio. Stavano insieme ed “erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli” su tutto quello che Gesù aveva detto e fatto, fino alla morte sulla croce e la sua risurrezione. Ripetevano i gesti del maestro e vivevano “nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” soprattutto volendosi bene, un bene infinito dentro la chiesa, che erano essi stessi, popolo in cammino dietro le orme del loro Signore. Solo questo contava e interessava, tanto da essere completamente distaccati dai beni: “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di tutto il popolo e tenevano in comune ogni bene per vivere insieme il vero bene, che è Dio”: un bene unico e insostituibile, davanti a cui i nostri poveri beni sono davvero piccolissima cosa, che può diventare però pericolosa se ci aggrappiamo a essi.

Purtroppo troppe volte sia-mo proprio accecati dalle piccole cose che fanno piccolo il cuore e limitato l’orizzonte di vita, che chiede invece una dilatazione infinita nell’amore. Gesù lo ha insegnato e subito ci richiama a tale vigilanza. Già allora sorsero delle “mormorazioni perché venivano trascurate le vedove nella distribuzione quotidiana dei beni”… si stava deviando dallo spirito di carità; “essendo i discepoli cresciuti in gran numero” inevitabilmente aumentavano le difficoltà. Ed ecco il nuovo segno dello Spirito: “Allora i dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque fratelli cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della parola” (Atti 6, 1-7).

Quanto è creativa l’azione dello Spirito, se solo fossimo sempre attenti a ciò che sussurra nei nostri cuori! Purtroppo troppe volte noi stessi, discepoli del Cristo risorto, scadiamo nel materialismo, ci lasciamo tarpare le ali dall’effimero che ci circonda e non ha futuro, forse tradiamo, nei fatti, la vera ragione della nostra creazione. La vita altro non è che un tempo di prova per il cielo.

Ma la viviamo davvero secondo lo spirito di risorti? Ma possiamo vivere solo in funzione dell’oggi, senza guardare al domani che ci attende? Dovremmo tutti, anche nella vita quotidiana che è piena di tante occupazioni e preoccupazioni, avere il cuore e il pensiero continuamente rivolti al nostro posto presso il padre. Ricordiamocelo tutti: il materialismo non ha futuro.

Solo una vita di fede, che cerca di battere le vie della santità, può essere degna della creazione che di noi ha fatto Dio. Non resta che pregare Gesù che ci doni il suo spirito di sapienza, per diventare discepoli che sanno vivere ogni giorno nella luce del domani “senza tramonto” con il padre.

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