“NON SIAMO UNA FILIALE DI ROMA…”

i vescovi tedeschi fanno la voce grossa
By Gianni Di Santo
Pubblicato il 3 Aprile 2015

Il terreno del contendere è il sinodo ordinario sulla famiglia, in calendario per il prossimo ottobre, chiamato a fornire risposte certe su temi etici e morali di grande rilevanza in seno alla pastorale familiare. La domanda alla quale la chiesa cattolica non può fuggire è la seguente: dialogare con il mondo, con le sue periferie esistenziali e individuali, oppure continuare in una rigida condanna in nome di una dottrina che non sa incarnare il vangelo della vita?  L’affondo è arrivato all’improvviso, qualche mese prima del secondo round del sinodo dei vescovi sulla famiglia, che si svolgerà nell’ottobre prossimo. A parlare è il cardinale di Monaco Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca e stretto collaboratore di papa Bergoglio come membro del C9, il consiglio dei nove cardinali che lavora alla riforma della curia e presidente del consiglio vaticano per l’Economia. Fin troppo chiare, le sue parole: “Non possiamo aspettare fino a quando un sinodo ci dirà come dobbiamo comportarci qui sul matrimonio e la pastorale familiare. La chiesa tedesca non può essere una filiale di Roma. E se nell’insegnamento si rimane in comunione con la chiesa, nelle questioni puramente pastorali il sinodo non può prescrivere nel dettaglio ciò che dobbiamo fare in Germania”.

Il prossimo sinodo sulla famiglia, chiamato a fornire risposte pastorali ai problemi delle famiglie, dalla comunione ai divorziati risposati all’accoglienza delle coppie conviventi, etero e omosessuali, entra nel vivo qualche mese prima. Per mano di una Conferenza episcopale molto vicina al pontificato di papa Francesco, ma anche a causa di chi ha fortemente contrastato, durante il recente sinodo straordinario e i giorni a seguire, l’apertura pastorale di Bergoglio. I vescovi tedeschi anticipano così le mosse future: noi andiamo avanti, comunque vada a finire, sembrano dire.

Insomma, il dibattito apertosi nell’assise ecclesiale non si è mai placato del tutto, nemmeno durante questa pausa di riflessione che intercorre tra il sinodo appena passato e quello da venire. Le tesi dei più favorevoli a una chiesa che dialoga con il mondo e sa ascoltare le sue difficoltà esistenziali e di fede, rappresentate dalla famosa relazione del cardinale Kasper, hanno avuto una forte e chiara critica da parte dell’ala più conservatrice presente al recente sinodo.

Uno scontro anche frontale che ha visto i punti più controversi, esattamente la comunione ai divorziati risposati e l’accoglienza degli omosessuali, non arrivare, per pochi voti, alla fatidica soglia dei due terzi durante le votazioni, poi rese pubbliche da papa Francesco. Segno che non tutto è scontato e che il dibattito è aperto e la democrazia, finalmente, trova residenza anche a San Pietro.

Non ci sono dubbi nell’affermare che la data temporale del prossimo ottobre sarà uno degli obiettivi primari e più qualificanti dell’intero pontificato di Francesco. Il papa continua a espletare con simpatia e carità la sua enciclica quotidiana dei gesti, veste di segni evangelici la città di Roma (vedi le docce e i bagni fatti costruire apposta per i senza tetto all’interno del colonnato di San Pietro), tesse le sue relazioni diplomatiche in giro per il mondo, cura con attenzione la prossima riforma della curia, ma è chiaro che il prossimo sinodo dei vescovi dirà a tutti quanto “il nocciolo” di questa sua azione pastorale e dottrinale sia realmente capita e appoggiata dai suoi confratelli.

La domanda alla quale la chiesa non può fuggire è la seguente: dialogare con il mondo, con le sue periferie esistenziali e individuali, oppure continuare in una rigida condanna in nome di una dottrina che fatica a incarnare il vangelo della vita? Su questo non ci sono dubbi: al sinodo dei vescovi del prossimo ottobre le conferenze episcopali e i cardinali invitati voteranno e delibereranno appositamente su alcune questioni che, negli ultimi anni, hanno costruito un muro invalicabile tra la chiesa e gli uomini.

Su questo papa Francesco gioca anche la sua abilità di stratega gesuita. Il potere temporale della chiesa, con tutti i suoi accoliti, non ha digerito il progetto di riforma complessivo di Francesco e cercherà di approfittare dell’appuntamento sinodale per reclamare spazi politici e visibilità mediatica nel nome della tradizione dottrinale.

Ovviamente è una scusa. In realtà al prossimo sinodo, chi è contro Francesco cercherà di mettergli i bastoni tra le ruote e di far valere le ragioni della minoranza, perché, seppur rumorosa, sempre di piccolissima minoranza si tratta.

Il sinodo di ottobre dirà a tutti, questo è l’auspicio, che la chiesa è con l’uomo e a servizio di esso. Che sa riconoscere l’anelito di speranza e di domanda di Dio anche all’interno di situazioni dolorose, come il divorzio, o di scelte di vita che possano portare a discriminazioni ed emarginazioni.

Al di là dei voti e dei contrasti dottrinali (che non ci sono), la chiesa cattolica al sinodo si gioca gran parte del suo futuro. E se, come sembra, papa Francesco insisterà scegliendo la democrazia ecclesiale come sigillo e architrave di questo futuro, allora tempi nuovi di profezia e speranza si apriranno per tutta l’umanità.

In altre epoche storiche, altri papi avrebbero imposto il segno del comando nell’orientare i lavori del sinodo e, presumibilmente, neppure avrebbero così tanto discusso.

Oggi, per fortuna, non è così. Francesco ascolterà, valuterà, e poi deciderà, sulla base delle votazioni democratiche che avranno luogo.

Se non è una rivoluzione evangelica questa, poco ci manca.

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