“non c’è da scherzare MA CE LA FAREMO”
“Non dobbiamo indurre le persone a sottovalutare la situazione attuale – ammonisce la famosa e apprezzata biologa, da oltre vent’anni autrice di trasmissioni scientifiche televisive come Superquark e Ulisse – e a comportarsi in modo non corretto. Il parere degli scienziati resta fondamentale, ma un buon risultato è garantito solo se c’è un lavoro di squadra con persone con competenze diverse”
Quando la rivista di aprile arriverà nelle case dei nostri lettori non credo che il “mostro” Corona-virus, purtroppo, abbia mutato in meglio lo scenario. L’augurio è che si possa archiviare al più presto il tragico capitolo di questo anno bisestile del ventunesimo secolo, anche se i segnali che arrivano dicono altro… In queste pagine, però, non vogliamo iscriverci all’elenco dei “bollettini di guerra”, anche perché saremmo inevitabilmente superati dall’incalzante attualità e tragicità dei numeri. No, nessuna elencazione di contagi, morti, positivi asintomatici, guariti, eccetera, eccetera. Non avrebbe senso e soprattutto non aiuterebbe nessuno, se non l’ansia che ormai da mesi stringe il collo della gran parte di noi… Dinanzi a una pandemia, però, parola che l’Organizzazione mondiale della sanità ha finalmente pronunciato recentemente – proprio come il mitico Fonzie di Happy Days così restio a riconoscere di aver sbagliato -, non potevamo che affrontare l’argomento facendoci aiutare da chi ne sa più di noi. E di alcuni apprendisti stregoni e “capre” che in questi mesi hanno campeggiato sui media ridicolizzando la portata dell’emergenza.
Con la nostra interlocutrice, Barbara Gallavotti, siamo andati anche oltre la stretta attualità del Covid-19 made in Cina… In tempi non sospetti, infatti, la famosa e apprezzata biologa, scrittrice e giornalista scientifica, da oltre vent’anni autrice di trasmissioni televisive, in particolare Superquark e Ulisse, aveva mandato in libreria l’interessantissimo volume Le grandi epidemie – Come difendersi (Donzelli editore, pp.195, euro 14), con la prefazione di Piero Angela, raccontando le malattie contagiose che minacciano la nostra specie, antichi nemici che ritornano. E di come funzionano i vaccini e gli antibiotici, quali effetti collaterali possono davvero avere e come vengono “inventati” dai ricercatori. Insomma, non un venditore ambulante di fake news che gioca sulle paure della gente, bensì una scienziata “che studia i meccanismi che regolano i processi fondamentali della vita in relazione con gli ambienti specifici in cui essi si realizzano”. Uno scritto lungimirante visto quello che l’intero pianeta Terra sta vivendo oggi. I libri di divulgazione per ragazzi della Gallavotti sono stati tradotti in numerose lingue, tanti i seminari e le lezioni tenuti sulla comunicazione della scienza nelle varie università, numerosi premi e riconoscimenti per la sua attività di divulgatrice scientifica. Il suo, dunque, rappresenta un osservatorio privilegiato per aiutarci a vincere determinate paure e nello stesso tempo evitare di assumere atteggiamenti autolesionistici…
Prima di darle la parola, però, mia sia consentita una riflessione dopo aver indirizzato un immenso e fraterno grazie all’incredibile schiera di medici e infermieri che quotidianamente hanno messo e mettono in gioco la loro vita nel tentativo di salvare quella degli altri. C’è solo da applaudire con il cuore…
Dopo questa doverosa premessa, una domanda sorge spontanea: quante altre volte lo Stato italiano dovrà sbattere il muso prima di capire che in determinate situazioni di emergenza e gravità, come quella che stiamo vivendo, l’eccesso di democrazia e fiducia poco si sposa con i comportamenti di noi italiani? Enzo Biagi, rimpianto “maestro”, non solo di noi giornalisti, ripeteva spesso che “il bello della democrazia è proprio questo: tutti possono parlare, ma non occorre ascoltare…”. Noi che siamo il paese con il più alto tasso di evasione fiscale in Europa, il paese dei condoni, il paese dove l’utilizzo del casco in motorino o in bici è più di un miraggio, il paese dove la corsia autostradale di emergenza rappresenta la via migliore per pigiare sull’acceleratore sorpassando le auto a destra ed evitare le file – giusto per fare qualche piccolo esempio di una lunga lista – come possiamo credere che possa bastare un appello televisivo, anche se ripetuto, per ottenere una concreta risposta di responsabilità da parte di tutti? Una volta avuta contezza dei primi casi di Covid-19 e constatata l’assenza di farmaci risolutivi e di un vaccino da adottare in tempi brevi, le varie località dovevano essere immediatamente sigillate. Ma non confidando sul buon senso della gente o con l’autocertificazione, bensì “militarmente”.
A mio avviso andavano chiuse tutte le vie di accesso con i cosiddetti New Jersey, i dispositivi di sicurezza modulare di calcestruzzo utilizzati nelle grandi città come barriere antiterroristiche, e con il controllo di militari 24 ore su 24. Quindi andavano presidiati gli ingressi autostradali, le stazioni ferroviarie e gli aeroporti. Solo dopo aver fatto ciò, dunque, si annunciava una quarantena ferrea e assolutamente necessaria nelle zone cosiddette rosse e semi rosse. In Cina, con questo sistema, hanno tenuto a casa 60 milioni di abitanti, non sessantamila… E i risultati sono sotto gli occhi di tutti! Sia ben chiaro, non ho parenti, amici o interessi economici in Cina. Tantomeno nutro simpatie per i regimi, io e loro siamo proprio agli antipodi… È solo un dato di fatto! Il “tana libera tutti”, andato in scena dopo l’annuncio sulla chiusura della Lombardia e ancor prima dei comuni del lodigiano fatto dal presidente del Consiglio Conte, vittima tra l’altro di attacchi vergognosi da parte di chi ha a cuore solo il proprio narcisismo, non è infatti da popolo serio. Attenzione: non è una tirata d’orecchie a tutto il popolo italico, ci mancherebbe, c’è tanta brava gente in giro, la maggioranza. Però certi comportamenti irresponsabili la dicono lunga sulla sensibilità, sul senso civico e sull’etica di tanti. Come si può seguitare a popolare le vie della movida dopo i ripetuti e accorati inviti a starsene a casa da parte delle istituzioni e della comunità scientifica? Come si può violare la zona rossa per andare a sciare e magari infettare un’altra comunità? Come è possibile recarsi in ospedale con i sintomi del Covid-19 e “dimenticarsi” di dire a medici e infermieri di avere avuto contatti con persone delle zona rossa o amici tornati dalla Cina? Come si può, subito dopo l’annuncio di una quarantena fondamentale per la salvaguardia della salute di tutto il paese, organizzare una fuga di massa dal Nord verso il Centro-Sud. Territori, quest’ultimi, all’epoca ancora poco esposti al temibile virus?
Ora, però, consci dell’assoluta necessità di adottare tutti, nessuno escluso, comportamenti responsabili per il bene comune, è il momento di ascoltare Barbara Gallavotti.
Dottoressa che situazione che stiamo vivendo…?
Ci stiamo confrontando con un agente infettivo nuovo: un virus che fino a dicembre era del tutto sconosciuto. Questo vuol dire che nessun essere umano aveva mai sviluppato alcuna forma di difesa immunitaria contro di esso. In queste condizioni il microbo non incontra nessun ostacolo e ha possibilità sconfinate. Inoltre è un virus bene adattato: nella maggioranza dei casi provoca solo sintomi lievi e le persone colpite possono continuare a circolare e così a diffondere l’infezione. È un grosso vantaggio rispetto ad agenti infettivi più aggressivi come ebola, che provoca sintomi tanto gravi da debilitare e uccidere rapidamente le persone che infetta e che in questo modo riduce le possibilità che le vittime abbiano contatti e trasmettano ad altri il contagio. Ricordiamoci che dal punto di vista dell’evoluzione lo scopo degli agenti infettivi non è farci star male, ma produrre quante più possibili copie di loro stessi raggiungendo il maggior numero di persone possibile.
Il governo e la comunità scientifica avrebbero potuto gestire meglio questa brutta storia?
A posteriori possiamo dire di sì, ma è troppo facile. La realtà è che non ci sono precedenti nella nostra memoria per un’emergenza del genere e neppure regole di gestione collaudate. Quindi gli errori sono in agguato. Inoltre ognuno sta reagendo anche in base alla propria cultura. Abbiamo sentito in Gran Bretagna parlare quasi con rassegnazione dell’eventualità di perdere molti dei nostri cari… In una cultura come la nostra questa eventualità non la vogliamo neppure prendere in considerazione. E siamo disposti a ogni sacrificio per evitare che accada. In primo luogo sacrifici economici. Abbiamo sentito medici pronti a tutto per non dover arrivare a scegliere chi curare… Le enormi limitazioni che l’Italia sta sopportando sono rivolte a questo: non tanto a fermare l’epidemia, cosa che pare davvero difficile al momento, ma a distribuire i contagi nel tempo in modo da poter accudire al meglio tutti i malati. È qualcosa di cui credo dovremmo essere molto orgogliosi. Come pure dovremmo esserlo del fatto di avere un servizio sanitario nazionale concepito per assistere tutti gratuitamente.
Se fosse lei a decidere cosa farebbe?
Chiederei che a decidere siano gli esperti. Affrontare un’emergenza del genere richiede competenza, anzi forse una delle cose che ci ha insegnato questa epidemia è proprio il valore della competenza. In questo caso ne occorrono di diverse. Medici e ricercatori devono dare un quadro il più chiaro possibile dello stato delle conoscenze, mentre politici e amministratori devono decidere quali azioni intraprendere per raggiungere gli obiettivi, ad esempio arginare il contagio. Questo secondo passaggio non è automatico, perché bisogna capire quali azioni sono fattibili, quali le loro conseguenze e quali gli effetti secondari che si possono avere. Banalmente, ci sono servizi che non possono essere interrotti, perché non garantirli avrebbe conseguenze troppo pesanti.
Quanto ha pesato il fatto di non aver individuato il cosiddetto paziente zero?
Moltissimo. Se si fosse riusciti a farlo si sarebbe potuto spegnere il focolaio dell’infezione prima che incendiasse il Nord Italia. Scontiamo forse l’errore di essere stati certi che il “paziente zero” sarebbe stato qualcuno proveniente dalla Cina o con legami diretti con essa. Il contagio, invece, forse è giunto a noi dopo diversi passaggi intermedi, come denaro sporco che appare legale dopo essere passato più volte di mano. Il virus ci ha in qualche modo attaccati alle spalle, mentre guardavamo altrove.
È giusto paragonare il Covid-19 a una semplice influenza?
A mio avviso assolutamente no. È vero che può assomigliarle nei sintomi, ma dal punto di vista della comunicazione il paragone è dannosissimo. Intanto, bisogna considerare che non molti attribuiscono a una “semplice influenza” la pericolosità che ha. Pensiamo che questa malattia fa normalmente dai 290.000 ai 650.000 morti all’anno nel mondo. Il nuovo Coronavirus, però, è letale in un numero di casi almeno dieci volte maggiore (qualcuno dice 40 volte), e già questa sarebbe una differenza. Ancora più grave è che in genere l’influenza non può colpire tutti, perché anche se muta di anno in anno presentandosi quindi in modo diverso, molti di noi hanno in effetti una sorta di immunità, perché può esserci capitato negli anni di incontrare ceppi non troppo dissimili. Poi contro l’influenza esiste un vaccino che può proteggerci. Infine, l’influenza è stagionale: con l’arrivo del caldo il numero di casi diminuisce drasticamente. Possiamo sperare che faccia così anche questo nuovo virus, ma non abbiamo alcuna garanzia che accada.
Perché allora alcuni rappresentanti della scienza lo hanno fatto? Come può il cittadino acquisire un’informazione corretta e quindi comportarsi di conseguenza se gli arrivano informazioni contrastanti? La scienza dovrebbe parlare un’unica lingua…
Il messaggio che alcuni hanno voluto dare è che nella stragrande maggioranza dei casi, circa l’80%, l’infezione non ha conseguenze serie, comunque non più serie di quelle che consideriamo accettabili per una influenza. Questo messaggio a mio avviso, però, non funziona dal punto di vista della comunicazione. Perché l’influenza è un problema serio che viene sottostimato, e il nuovo coronavirus è un problema molto più serio di quello dell’influenza. Sommando le due cose si rischia quindi di indurre le persone a sottovalutare enormemente la situazione attuale, e a comportarsi in modo non corretto. Però credo che una cosa fondamentale da capire è che in una situazione tanto complessa come questa ognuno ha il suo ruolo. La comunità scientifica è totalmente in accordo su ciò che emerge dalla ricerca (quale virus causa la malattia, come è fatto il suo patrimonio genetico, eccetera). Discute, come è giusto, sugli aspetti ancora incerti, ad esempio perché i bambini risultano ammalarsi meno, quanto sopravvive il virus sulle superfici e così via. Come formulare le informazioni nel modo migliore perché siano comprese correttamente, però, non è compito degli scienziati e dunque non riesce bene a tutti, così come non lo è prendere decisioni politiche o economiche. Il parere degli scienziati in tutti questi casi resta fondamentale, ma un buon risultato è garantito solo se c’è un lavoro di squadra con persone con competenze diverse.
Realisticamente quando si potrà contare su un vaccino? Nel percorso di ricerca qual è l’ostacolo più arduo da superare?
Ci vogliono molti mesi per mettere a punto un vaccino contro un agente infettivo completamente sconosciuto. L’osta-colo maggiore probabilmente sta nel fatto che il vaccino si somministra a persone sane. Quindi deve essere garantito che gli effetti collaterali possano essere davvero minimi e questo comporta prove e controlli estremamente approfonditi. Quando si somministra un farmaco a qualcuno a cui occorre salvare la vita invece si accetta molto di più il rischio di effetti collaterali.
Non sarebbe meglio, allora, concentrare gli sforzi nella ricerca di una cura farmacologica efficace, almeno nel tentativo di rallentare la malattia e far respirare gli ospedali…
Le due cose non sono affatto in alternativa, si procede su entrambi i fronti. Anche mettere a punto un farmaco completamente nuovo richiede molto tempo, ma al momento si stanno prendendo in considerazione decine di principi attivi potenzialmente utili contro il nuovo coronavirus. Si tratta di molecole usate contro altre infezioni, che potrebbero trovare un nuovo utilizzo in questo caso. Poiché sono molecole che sono già state somministrate, abbiamo già molte informazioni preziose, ad esempio sui dosaggi.
Se io vado in giro con la mascherina e i guanti riduco la possibilità di contrarre il virus?
Dipende dalla mascherina. E comunque in generale a meno che non si appartenga a categorie bisognose di una particolare protezione la mascherina è suggerita non per tutelare sé stessi ma gli altri nel caso si fosse infetti.
Cosa deve avvenire per essere contagiati?
Come spiegato nel sito del ministero della Salute, che consiglio, il virus si trasmette principalmente a causa di un contatto stretto con una persona infetta e tramite goccioline di saliva. Queste possono essere emesse tossendo, starnutendo, ma anche parlando.
Le classiche raccomandazioni del lavaggio meticoloso delle mani, del metro di distanza dal nostro prossimo e lo starnuto da coprire con un fazzoletto o con l’incavo del gomito, ci mettono veramente al sicuro? Lei nel libro, citando un video, osserva che lo starnuto si produce comprimendo centinaia di muscoli, portando all’espulsione di aria e goccioline di saliva e muco a una velocità che può raggiungere i 160 chilometri orari… Tante goccioline, anche 40 mila…
È vero, quello è un esempio particolarmente impressionante perché si riferisce a quanto può viaggiare una minuscola gocciolina di saliva emessa con uno starnuto in un luogo chiuso con correnti d’aria, come un vagone della metropolitana. Ma si tratta di uno starnuto libero. Proprio per evitare quell’effetto è fondamentale starnutire coprendo bocca e naso. Cosa che però credo facciamo tutti anche in condizioni normali, e in questa a maggior ragione. Poi ogni agente infettivo ha le sue caratteristiche: se gli esperti assicurano che in questo caso le cose necessarie sono coprirsi per starnutire e mantenere la distanza di sicurezza di un metro e mezzo, vuol dire che così è.
Lo studio dei modelli matematici è in grado di dare certezze in merito all’evoluzione dell’emergenza?
I modelli ci mostrano molto, in particolare la catastrofe a cui andiamo incontro se non rispettiamo le regole. Non possono dirci però tutto perché mancano informazioni fondamentali, ad esempio come si comporterà il virus con il cambio delle stagioni.
Nella caccia agli untori di manzoniana memoria, come commenta gli attacchi gratuiti che diversi media internazionali hanno riservato al nostro Paese?
Più che altro mi da fastidio la denigrazione dell’Italia e degli italiani da parte di certi politici, ma anche di molti italiani stessi. Credo che nonostante gli errori, abbiamo molti motivi di essere fieri del nostro Paese. In particolare stiamo dimostrando quanto per noi la priorità sia sempre curare ogni malato al meglio. Questa estrema importanza che diamo alla vita di ciascuno, indipendentemente dallo stato di salute e anche dal costo, credo debba essere un motivo di grande fierezza.
Sul rischio di diffusione dell’epidemia nei paesi africani, e in particolare nelle zone di guerra, qual è il suo pensiero?
È estremamente preoccupante. Ma pensiamo che queste zone del mondo sono piagate da infezioni gravissime che noi diamo per dimenticate. Persino la poliomielite è ancora presente in certi paesi in condizioni particolarmente critiche. Spero che ciò che stiamo vivendo cambi il mondo in meglio, convincendoci che anche il benessere di ciascuno è garantito solo se tutti gli esseri umani sono uniti. In un mondo globalizzato, anche i problemi sono globali e non è pensabile potersi rinchiudere in angoli tranquilli se altrove c’è la disperazione. Vale per le epidemie, ma anche per i cambiamenti climatici, che sono la più grande emergenza da affrontare tutti insieme.
Una “normale” influenza, sottolinea ancora nel libro, colpisce ogni anno decine e decine di milioni di persone in tutto il mondo, causando centinaia di migliaia di morti, soprattutto per complicazioni respiratorie ma anche perché porta a un aumento del rischio di complicazioni cardiache come l’infarto. A correre il pericolo più grande di norma sono i più piccoli e gli anziani, ma se si verifica una pandemia influenzale a essere colpiti in modo più letale sono invece i giovani adulti, come dimostrato dal caso della spagnola. Perché?
Il caso della spagnola è particolare, non è detto che sia così sempre. Quella epidemia disastrosa che fra il 1918 e il 1919 fece tra i 50 e i 100 milioni di morti in tutto il mondo, in effetti fu particolarmente drammatica per i giovani. Non sappiamo perché, così come ignoriamo molte cose su un morbo che si diffuse quando la moderna medicina era ancora praticamente neonata. Una ipotesi è che i più anziani avessero casualmente acquisito una qualche immunità incontrando molti anni prima un virus meno letale ma non troppo dissimile dal quello che fece una strage. Questo li avrebbe protetti.
Il vaccino antinfluenzale, dunque, è sempre da consigliare anche se non tutti gli anni riesce a ottenere la stessa efficacia…
Sì. Ogni anno viene prodotto un vaccino contro il virus influenzale che si ritiene circolerà qualche mese dopo. A volte, però, nel tempo che passa fra la progettazione e la distribuzione del vaccino, il virus muta e questo può rendere la vaccinazione meno efficace. Ma è pur sempre meglio che affrontare l’influenza senza protezione.
Quanto sono importanti i vaccini, soprattutto in età scolastica?
I vaccini sono fondamentali perché permettono di evitare di contrarre la malattia e perché funzionano sulla stragrande maggioranza delle persone. Prevenire è immensamente preferibile ad andare incontro alla malattia e doverla curare. E credo che quanto stiamo vivendo lo dimostri chiaramente.
Secondo alcuni studi epidemiologici il morbillo fa ancora paura. Perché?
Il morbillo è una malattia seria che in un terzo o un quarto dei casi in occidente porta a complicazioni tali da richiedere il ricovero in ospedale. Inoltre indebolisce il sistema immunitario in una misura paragonabile a quanto può fare il virus dell’HIV, anche se provvisoriamente. In particolare sembra agire cancellando la memoria delle difese immunitarie che il corpo ha costruito negli anni. Per qualche tempo, quindi, l’organismo resta indifeso verso nuove infezioni e questo è rischiosissimo. La malattia può essere prevenuta grazie a un vaccino estremamente sicuro, tuttavia un numero preoccupante di persone ha cominciato a rifiutarlo. Se la percentuale di vaccinati non supera almeno il 95% della popolazione, c’è il rischio di epidemie. E in effetti negli ultimi anni in Europa si è verificato un numero molto preoccupante di casi di morbillo.
È vero che farsi un tatuaggio potrebbe nascondere più insidie di un vaccino?
Sicuramente siamo di fronte a una contraddizione. Da un lato ci sono alcune persone che temono i vaccini perché li reputano pericolosi, nonostante siano farmaci estremamente sicuri, i cui benefici superano largamente gli effetti indesiderati e sottoposti a controlli approfonditi. Dall’altra molti si sottopongono senza alcun problema a tatuaggi, facendosi di fatto iniettare sotto pelle dei coloranti che non sono certo sottoposti a controlli rigorosi come quelli dei vaccini.
Parliamo di antibiotici. Se nello spazio la capacità dei batteri di resistere agli antibiotici rappresenta un interrogativo aperto – sulla Stazione spaziale internazionale sono stati isolati 105 ceppi di batteri portati dall’uomo – sulla Terra, allora, siamo messi proprio male…
Non è la presenza di batteri a doverci preoccupare, ma la presenza di batteri che causano malattie. E in particolare, la presenza di batteri che causano malattie e che resistono agli antibiotici. Su questo fronte, in effetti, non siamo messi per niente bene, soprattutto in Italia dove il fenomeno è molto diffuso. È qualcosa che dobbiamo prendere estremamente sul serio. Anche a livello individuale possiamo fare molto, rendendoci conto che gli antibiotici sono farmaci che vanno presi in caso di necessità, ma seguendo le indicazioni mediche e non per curare un malessere di origine virale. Perché gli antibiotici hanno effetto contro i batteri, non contro i virus.
Se è impossibile impedire agli agenti patogeni di attraversare le frontiere, quali dovrebbero essere le nostre armi di difesa? Soprattutto per conviverci senza grandi ansie…
Credo che la migliore difesa stia in una ricerca scientifica forte, in una organizzazione sanitaria globale e capillare che predisponga anche piani efficaci per rispondere rapidamente alle emergenze, e in un’eguaglianza sociale che garantisca un accettabile livello di vita e di cure per tutti.
Sarò banale, ma perché i microbi evolvono molto più in fretta di noi? Non mi dica che sono più intelligenti dell’essere umano…
Non sono intelligenti ma sono molto ben evoluti. Si moltiplicano con estrema rapidità e questo offre loro enormi opportunità di adattamento, perché fra tanti discendenti c’è probabilità che in qualcuno sia casualmente comparsa una caratteristica utile.
È vero che alcuni tipi di batteri sono nostri amici…?
La maggior parte dei batteri sono per noi totalmente innocui, molti sono fondamentali, alcuni sono dannosi e possono portare malattie. Quelli fondamentali sono in primo luogo quelli che abitano nel nostro corpo, in particolare nel nostro intestino. Consideriamo che nel nostro corpo le cellule batteriche sono dieci volte superiori a quelle umane… Siamo una minoranza nel nostro stesso organismo. Da questi batteri dipende molto della nostra salute: producono per noi vitamine, aiutano la digestione, contribuiscono a diminuire il rischio di malattie e ad addestrare il sistema immunitario. Poi ci sono tutti i batteri che “lavorano” per noi più indirettamente, ad esempio li impieghiamo in certe preparazioni, come i formaggi. Se non ci fossero gli opportuni batteri, non avremmo neppure molte delle prelibatezze alle quali siamo abituati.
Lei ci mette in guardia dicendo che dal “mondo invisibile” possono sempre emergere nuovi, devastanti agenti infettivi… Che intende per “mondo invisibile”?
Credo che lei accenni alla parte in cui racconto degli agenti infettivi che infettano specie selvatiche, e che possono evolvere la capacità di infettare anche gli esseri umani. In questo momento lo sappiamo benissimo, perché è quanto accaduto con questo nuovo coronavirus: tutto fa pensare discenda da un virus presente nei pipistrelli. Molti di questi agenti infettivi potenzialmente pericolosi sono ospitati probabilmente in animali che abitano i luoghi più inviolati del pianeta, mondi che al momento sono fuori dalla nostra portata. O dovrebbero esserlo. Però penetriamo sempre più a fondo in quegli ambienti naturali, e in modo sempre più invadente. Da un lato dobbiamo assolutamente incominciare a mostrare maggiore rispetto e tutelare la natura. Dall’altro dobbiamo prepararci meglio contro possibili agenti infettivi mai visti. È qualcosa su cui si stanno già concentrando diversi gruppi di ricerca.
È fantascienza pensare che virus conservati nel permafrost possano trasformarsi, in caso di scioglimento dello strato di terreno ghiacciato, in una pericolosa arma di contagio?
In teoria potrebbe essere possibile. E infatti quando alcuni anni fa si è tentato di estrarre l’agente infettivo della terribile spagnola dal corpo di vittime sepolte alle Svalbard, nel Circolo polare artico, sono state usate tutte le precauzioni. Il materiale genetico del virus, però, era troppo deteriorato. Personalmente mi preoccupano molto più gli agenti infettivi in circolazione fra gli esseri viventi del pianeta, che quelli sepolti nei ghiacci. Fino a prova contraria…
La dipendenza dalla paura e dall’ansia indebolisce il nostro sistema immunitario?
Ci sono alcune indicazioni che lo stress abbia effetti negativi sulla risposta immunitaria, ma non credo che in una situazione come quella che stiamo vivendo questo possa fare la differenza. Comunque, siccome paura e ansia non ci aiutano a passare meglio le nostre giornate, meglio evitarle.
In che modo?
Cerchiamo di essere razionali e di aver fiducia. Se faremo quanto ci viene richiesto, l’epidemia rallenterà e questo consentirà al sistema sanitario di gestirla al meglio e di aiutare tutti.