NOI INVECE SPERIAMO

Le minacce del terrorismo, la mancanza di lavoro e le inquietanti prospettive economiche possono far perdere la forza di lottare. Nei tempi difficili che corrono, capita di farsi prendere dalla paura piuttosto che continuare a sperare. Famosi istituti di ricerca ci definiscono un popolo di pessimisti (cfr L’Eco, Gennaio). Noi invece annunciamo la speranza. Speranza psicologica, basata sulle nostre capacità, e speranza sociologica, basata sulle capacità degli altri. Speranza cristiana e speranza laica, fondata su Dio e sull’uomo nei quali crediamo con uguale fermezza. Si chiama speranza teologale, che per noi è fuori discussione perché siamo certi della presenza di Dio nella storia e nell’intimo dei cuori umani, anche se costoro sono liberi e possono restare chiusi a questa visuale.

Speriamo che l’attesa di tempi migliori sia appagata grazie al nostro impegno per costruirli. Tutti possiamo fare qualcosa per rendere la società più solidale e l’ambiente più pulito, o adoperarci per sprecare di meno e condividere di più. Se ognuno si contentasse di consumare il necessario e lasciare il resto agli altri scomparirebbe la fame del mondo. Se ognuno vivesse in pace con se stesso e con la gente che incontra ci sarebbe la pace sulla terra.

Speriamo che l’Europa, scossa dalla strage del terrorismo islamico a Parigi e minacciata ogni giorno dai suoi proclami, videomessaggi e trame scoperte in tempo, si senta davvero unita. Non per andare contro qualcuno o solo per difendersi dalle aggressioni, ma per testimoniare i valori della propria civiltà, soprattutto la libertà e la convivenza pacifica. Speriamo che la sua rivendicazione di libertà, elaborata dal-l’Illuminismo e affermata persino con violenza nelle varie rivoluzioni, progredisca verso una maturazione anche evangelica. Non è detto che debba essere senza limiti. Se non è bene legiferarne il controllo, è però opportuno l’autocontrollo, perché si arrivi alla “liberazione della libertà”, auspicata da Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor, 86.

Speriamo nell’Italia e nel suo nuovo presidente della Repubblica, i cui primi passi sembrano rispondere a molte attese. Anche se non piacesse la scelta, è il nostro presidente e basta. Gli auguriamo buon lavoro, e che sia meglio di tutti i predecessori. Speriamo nel nostro presidente del Consiglio, del quale lamentiamo anche noi le promesse ancora non mantenute, ma comprendiamo che deve vedersela con un parlamento frammentato e litigioso, data la maggioranza dai troppi galli a cantare e parte dell’opposizione niente affatto cooperativa.

Speriamo che i nostri governanti, partiti, sindacati e industriali si ricordino di tutti i cittadini non solo di alcuni, in genere trascurando i più deboli. Speriamo che l’inflazione non cresca, che questa benedetta ripresa finalmente cominci, che la disoccupazione diminuisca e i giovani trovino lavoro. Nel frattempo speriamo che resistano tutte le iniziative di sostegno ai più bisognosi, che fioriscono specialmente nelle diocesi, nella Caritas e in tante attuazioni del volontariato.

Speriamo in tutti i popoli del mondo, non solo dell’occidente ricco di benessere e di armamenti, ma anche nei miliardi di fratelli e sorelle che popolano i continenti dell’Asia, Africa e Oceania, ricchi di risorse umane e economiche, di pensiero e di culture. Vogliamo che i loro patrimoni circolino per accrescere il deposito dell’intera umanità, non solo di alcuni pochi e sfruttatori, come certi stati e multinazionali.

Speriamo nella chiesa, che oggi chiamiamo “di papa Francesco”, ma sempre nostra e per tutta l’umanità. Chiesa in uscita verso tutto il mondo e dalle porte aperte per accogliere tutto il mondo, specialmente i feriti dalla vita o i cercatori di un senso per la vita. Contiamo su questa chiesa, bisognosa di purificazione ma sempre protesa verso la santità. È il cardine della nostra speranza perché ci insegna che Dio è amore, ci ama perché è tenerezza, ci perdona perché è misericordia, e soprattutto perché è lui che per primo spera in noi con tenacia infinita. Un Dio che non potrà mai più abbandonare questa umanità perché ci ha mandato il suo Figlio e il suo Spirito, che restano dalla nostra parte per l’eternità.

Speriamo. La figura di san Gabriele a cui questa rivista si ispira, e il tempo liturgico in corso ci ricordano che anche la morte può essere guardata con gioiosa speranza, e che la quaresima ha il suo senso e il suo centro nella pasqua, culmine della rivelazione divina e dell’avventura umana.

L'ECO di San Gabriele
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