NELLA RETE DELL’INSIGNIFICANTE

il punto
By Stefano Pallotta
Pubblicato il 1 Aprile 2014

Il brusio dell’insignificante. Fateci caso: quante volte ripetiamo le stesse cose perché le riteniamo utili e stentiamo a farcene una ragione quando gli altri non le capiscono. E allora le ripetiamo di nuovo con la speranza che sia l’ultima e che il nostro interlocutore, finalmente, ci comprenda. Invece, niente da fare. È allora che le nostre parole entrano in quell’alone dell’insignificante, delle vacuità sonore, del lessico inutile, del rumore di fondo come il traffico delle nostre strade o della lavastoviglie: la colonna sonora del passaggio nel mondo del sonno.

Vediamo allora quali sono le cose – che da anni stiamo ripetendo per il bene del nostro Abruzzo – che rischiano di essere catalogate (se non lo sono già state) nello scaffale delle vacuità sonore, della coazione a ripetere e quindi della stereotipia. Vediamone un campione.

Partiamo da quella più frequente che ha un carattere strutturale: l’Abruzzo deve smetterla di puntare, per il suo sviluppo, sullo sfruttamento dissennato delle sue risorse naturali e puntare, invece, sulla valorizzazione della risorsa ambientale e delle bellezze naturali. Oppure quella che riguarda l’esistenza di migliaia di giovani senza lavoro: devono trovare il loro futuro nei settori strategici dell’economia regionale, agricoltura, ambiente, innovazione. Poi c’è quella delle divisioni territoriali: l’Abruzzo è una regione che deve ritrovare il suo riequilibrio puntando sul turismo della montagna. Passando per quella del ceto politico dirigente: abbiamo bisogno di politici che guardino all’interesse generale piuttosto che al loro personale come è accaduto nel recente passato (recente?).

Cose dette e ridette tante quante quelle che riguardano la scomparsa delle mezze stagioni o del denaro che non fa la felicità. Viene addirittura il sospetto (in realtà vi è scientifica certezza) che c’è chi punta all’assuefazione vocale di questi concetti per vanificarli sul piano della concretezza e della fattibilità: una sorta di strategia della vanificazione con il mezzo del parossismo linguistico.  Mi chiedo, a questo punto, se con la ricostruzione dell’Aquila non si corra lo stesso pericolo. Ormai, su tutti i mezzi di comunicazione abruzzesi non c’è giorno che non si assista alla sagra della banalizzazione delle problematiche riguardanti la ricostruzione del capoluogo di regione. È diventata un’ossessione quella degli anni necessari per la ricostruzione del centro storico, la cosiddetta ricostruzione pesante. Cinque, dieci, quindici, venti anni: il dibattito è in atto e ormai sembra di assistere all’estrazioni del lotto.  Ogni esponente del governo che percorre le strade transennate o si fa fotografare sotto gli edifici puntellati del centro storico fornisce il suo numero preferito. E a furia di pronosticare e vaticinare si finisce nella rete dell’insignificante. Vorremmo proprio sbagliarci ma…

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