NAMUGONGO MARTIRI dell’UGANDA

Il santuario che visitiamo questa volta è quello di Namugongo in Uganda. È uno dei più celebri del continente nero. Oltretutto ha avuto l’onore di essere stato visitato da illustri pellegrini come Paolo VI nel 1969, Giovanni Paolo II nel 1993 e papa Francesco nel 2015. Sorge in un’area tipicamente subsahariana, dove si respira ancora il profumo di santità di tanti giovani martiri che, al tempo del re Mwanga, tra il 1885 e il 1887, hanno preferito morire piuttosto che rinnegare Cristo. In questo contesto, vale la pena riportare un pensiero di Paolo VI: “Chi poteva prevedere che alle grandi figure storiche dei santi martiri e confessori africani, quali Cipriano, Felicita e Perpetua e il sommo Agostino, avremmo un giorno associati i cari nomi di Carlo Lwanga e di Mattia Mulumba Kalemba, con i loro venti compagni?”.

Nell’antica Buganda, attualmente parte dell’Uganda, al tempo dei martiri regnava un giovane re di nome Mwanga. Il suo profilo però era decisamente deprecabile. Frequentò la scuola missionaria dei padri Bianchi, ma gli insegnanti su di lui hanno rilasciato un giudizio molto negativo: “Non è riuscito a imparare né a leggere né a scrivere perché testardo, indocile e incapace di concentrazione… da mercanti bianchi venuti dal nord, imparò quanto di peggio questi facessero: fumare hascisc, bere alcol e abbandonarsi a pratiche omosessuali”.

Con queste premesse, non fa meraviglia che abbia condotto una vita dissoluta e disumana. Per assecondare le sue tendenze perverse, fece costruire nella reggia un harem composto da paggi, servi e figli dei nobili della corte. Nei primi tempi, si mostrò piuttosto benevolo con i cristiani, perché questi (cattolici e anglicani) lo sostennero contro la dittatura del re musulmano Kalema. Ma il suo atteggiamento mutò presto. Da una parte, il re si accorse che il più grande ostacolo per la sua vita sregolata era costituito dall’etica cristiana; dall’altra, gli stregoni, vedendo compromesso il loro potere tra il popolo, lo sobillarono perché eliminasse fisicamente i cristiani.

Scoppiò una feroce persecuzione. La prima vittima fu il vescovo anglicano Hannington. Poi, il 15 novembre 1885 lo stesso sovrano ordinò la decapitazione di Giuseppe Mkasa Balikuddembè di 25 anni, maestro dei paggi e prefetto della sala reale. Le sue colpe erano di essere cattolico e catechista, di aver rimproverato il re per l’uccisione del vescovo anglicano e di aver difeso ripetutamente i paggi dalle avances del re. Dopo il martirio di Giuseppe Mkasa, venne scelto a sostituirlo il giovane Carlo Lwanga.

Questi all’inizio era ignaro delle tendenze malsane del sovrano, ma quando notò che indirizzava le sue attenzioni morbose sulla sua persona, gli si oppose fermamente. Ciò gli costò la vita. I biografi raccontano che un giorno Mwanga, rivolgendosi ai paggi, diede uno strano ordine: “Tutti coloro tra voi che non hanno intenzione di pregare possono restare qui accanto al mio trono; quelli invece che vogliono pregare, si radunino contro quel muro”. Il capo dei paggi, Carlo Lwanga, fu il primo a muoversi dal suo posto. Dopo di lui altri tredici. “Ma voi pregate veramente?” chiese il re. “Sì, mio signore, noi preghiamo veramente”, rispose Carlo a nome di tutti. “E avete deciso di continuare a pregare?”. “Sì, mio signore, sempre, fino alla morte”. Insomma, nel regno di Mwanga pregar” era diventato sinonimo di cristiano. Ovviamente questa coraggiosa professione di fede irritò il re.

In mezzo all’infuriare della persecuzione Carlo Lwanga, di sua iniziativa, assunse il ruolo di leader dei neoconvertiti. Di conseguenza lui, con i suoi fedeli paggi, con un gruppo di cristiani e quattro catecumeni il 25 maggio 1886 vennero condannati a morte. Nella notte seguente, Carlo Lwanga riuscì segretamente a battezzare i catecumeni. Tra questi c’era anche Kizito un ragazzo di 14 anni. Questi cristiani furono trasferiti da Munyonyo, sede del palazzo reale, a Namugongo, località distante circa 50 chilometri. Una vera via crucis. Da un lato, i parenti spingevano i familiari condannati a rinnegare la fede per essere liberati, dall’altro i soldati li maltrattavano in tutti i modi possibili. Il 3 giugno 1886 giunsero alla collina di Namugongo, nuovo calvario di quei cristiani ugandesi. Qui, insieme ad alcuni anglicani, furono bruciati vivi senza pietà. C’erano anche i tredici paggi che con il loro maestro avevano risposto al re di continuare a “pregare sempre fino alla morte”. Grande commozione suscitarono il quattordicenne Kizito e Carlo Lwanga, il quale gli aveva promesso: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”.

Nel 1964, durante lo svolgimento del concilio ecumenico Vaticano II, Paolo VI dichiarò solennemente la santità dei martiri di Uganda. Sul luogo del martirio è sorto un santuario inaugurato dallo stesso papa. A poca distanza, un altro per i martiri anglicani. Papa Francesco in visita a Namugongo il 28 novembre 2015, disse tra l’altro: “Oggi ricordiamo con gratitudine il sacrificio di san Carlo Lwanga e compagni, e quello dei martiri anglicani, la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue”.

Il grandioso santuario ha una struttura tipicamente africana. Alto, spazioso, e a for-ma di capanna. I pellegrini vi giungono da tutto il mondo. Soprattutto nel giorno della festa dei martiri. Per i cristiani dell’Africa Na-mugongo rappresenta la mecca dei cattolici. Ogni battezzato sente l’obbligo di visitarlo almeno una volta in vita.      lancid@tiscali.it

 

 

 

 

 

 

 

 

Dall’alto in senso orario:

l’imponente santuario

UN MONDO DI SANTUARI

 

 

NAMUGONGO

MARTIRI dell’UGANDA

 

 

Il santuario che visitiamo questa volta è quello di Namugongo in Uganda. È uno dei più celebri del continente nero. Oltretutto ha avuto l’onore di essere stato visitato da illustri pellegrini come Paolo VI nel 1969, Giovanni Paolo II nel 1993 e papa Francesco nel 2015. Sorge in un’area tipicamente subsahariana, dove si respira ancora il profumo di santità di tanti giovani martiri che, al tempo del re Mwanga, tra il 1885 e il 1887, hanno preferito morire piuttosto che rinnegare Cristo. In questo contesto, vale la pena riportare un pensiero di Paolo VI: “Chi poteva prevedere che alle grandi figure storiche dei santi martiri e confessori africani, quali Cipriano, Felicita e Perpetua e il sommo Agostino, avremmo un giorno associati i cari nomi di Carlo Lwanga e di Mattia Mulumba Kalemba, con i loro venti compagni?”.

Nell’antica Buganda, attualmente parte dell’Uganda, al tempo dei martiri regnava un giovane re di nome Mwanga. Il suo profilo però era decisamente deprecabile. Frequentò la scuola missionaria dei padri Bianchi, ma gli insegnanti su di lui hanno rilasciato un giudizio molto negativo: “Non è riuscito a imparare né a leggere né a scrivere perché testardo, indocile e incapace di concentrazione… da mercanti bianchi venuti dal nord, imparò quanto di peggio questi facessero: fumare hascisc, bere alcol e abbandonarsi a pratiche omosessuali”.

Con queste premesse, non fa meraviglia che abbia condotto una vita dissoluta e disumana. Per assecondare le sue tendenze perverse, fece costruire nella reggia un harem composto da paggi, servi e figli dei nobili della corte. Nei primi tempi, si mostrò piuttosto benevolo con i cristiani, perché questi (cattolici e anglicani) lo sostennero contro la dittatura del re musulmano Kalema. Ma il suo atteggiamento mutò presto. Da una parte, il re si accorse che il più grande ostacolo per la sua vita sregolata era costituito dall’etica cristiana; dall’altra, gli stregoni, vedendo compromesso il loro potere tra il popolo, lo sobillarono perché eliminasse fisicamente i cristiani.

Scoppiò una feroce persecuzione. La prima vittima fu il vescovo anglicano Hannington. Poi, il 15 novembre 1885 lo stesso sovrano ordinò la decapitazione di Giuseppe Mkasa Balikuddembè di 25 anni, maestro dei paggi e prefetto della sala reale. Le sue colpe erano di essere cattolico e catechista, di aver rimproverato il re per l’uccisione del vescovo anglicano e di aver difeso ripetutamente i paggi dalle avances del re. Dopo il martirio di Giuseppe Mkasa, venne scelto a sostituirlo il giovane Carlo Lwanga.

Questi all’inizio era ignaro delle tendenze malsane del sovrano, ma quando notò che indirizzava le sue attenzioni morbose sulla sua persona, gli si oppose fermamente. Ciò gli costò la vita. I biografi raccontano che un giorno Mwanga, rivolgendosi ai paggi, diede uno strano ordine: “Tutti coloro tra voi che non hanno intenzione di pregare possono restare qui accanto al mio trono; quelli invece che vogliono pregare, si radunino contro quel muro”. Il capo dei paggi, Carlo Lwanga, fu il primo a muoversi dal suo posto. Dopo di lui altri tredici. “Ma voi pregate veramente?” chiese il re. “Sì, mio signore, noi preghiamo veramente”, rispose Carlo a nome di tutti. “E avete deciso di continuare a pregare?”. “Sì, mio signore, sempre, fino alla morte”. Insomma, nel regno di Mwanga pregar” era diventato sinonimo di cristiano. Ovviamente questa coraggiosa professione di fede irritò il re.

In mezzo all’infuriare della persecuzione Carlo Lwanga, di sua iniziativa, assunse il ruolo di leader dei neoconvertiti. Di conseguenza lui, con i suoi fedeli paggi, con un gruppo di cristiani e quattro catecumeni il 25 maggio 1886 vennero condannati a morte. Nella notte seguente, Carlo Lwanga riuscì segretamente a battezzare i catecumeni. Tra questi c’era anche Kizito un ragazzo di 14 anni. Questi cristiani furono trasferiti da Munyonyo, sede del palazzo reale, a Namugongo, località distante circa 50 chilometri. Una vera via crucis. Da un lato, i parenti spingevano i familiari condannati a rinnegare la fede per essere liberati, dall’altro i soldati li maltrattavano in tutti i modi possibili. Il 3 giugno 1886 giunsero alla collina di Namugongo, nuovo calvario di quei cristiani ugandesi. Qui, insieme ad alcuni anglicani, furono bruciati vivi senza pietà. C’erano anche i tredici paggi che con il loro maestro avevano risposto al re di continuare a “pregare sempre fino alla morte”. Grande commozione suscitarono il quattordicenne Kizito e Carlo Lwanga, il quale gli aveva promesso: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”.

Nel 1964, durante lo svolgimento del concilio ecumenico Vaticano II, Paolo VI dichiarò solennemente la santità dei martiri di Uganda. Sul luogo del martirio è sorto un santuario inaugurato dallo stesso papa. A poca distanza, un altro per i martiri anglicani. Papa Francesco in visita a Namugongo il 28 novembre 2015, disse tra l’altro: “Oggi ricordiamo con gratitudine il sacrificio di san Carlo Lwanga e compagni, e quello dei martiri anglicani, la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue”.

Il grandioso santuario ha una struttura tipicamente africana. Alto, spazioso, e a for-ma di capanna. I pellegrini vi giungono da tutto il mondo. Soprattutto nel giorno della festa dei martiri. Per i cristiani dell’Africa Na-mugongo rappresenta la mecca dei cattolici. Ogni battezzato sente l’obbligo di visitarlo almeno una volta in vita.      lancid@tiscali.it