è mettere il cuore nel cuore degli altri. Tenerezza, condivisione, con-passione nel senso di patire insieme perché è brutto patire da soli. Papa Francesco ha detto che misericordia è il nome di Dio, perché non ci ha lasciati soli a soffrire, ma ha inviato il Figlio e lo Spirito per aiutarci.
Il 20 novembre si è concluso l’anno giubilare della misericordia. Che cosa abbiamo imparato da questa esperienza, e che cosa cercheremo di ricordare? Ecco una piccola sintesi a mo’ di souvenir.
Chi non può pretendere di venire al mondo, né fare qualcosa per ricompensare, vuol dire che è amato senza condizioni. Perciò il Dio che siamo soliti chiamare amore si chiama anche misericordia. Tanto più che continua ad amarci anche quando lo offendiamo. È misericordia fin dalle prime mosse della rivelazione. Manda Mosè a liberare un popolo oppresso, perdona quando gli preferiscono un vitello d’oro, invia profeti a confortare nelle difficoltà.
Per secoli sembra che la misericordia sia possibile solo a Dio, ma un bel giorno il Figlio viene a farci vedere com’è il volto della misericordia, e ci comanda di essere anche noi misericordiosi come il Padre, Lc 6,36. Cosa per niente assurda, perché se abbiamo lo stesso Spirito del Padre possiamo fare quello che fa lui.
Allora è diventato chiaro che, se siamo salvati per misericordia, ci salveremo solo se saremo misericordiosi. L’anno giubilare ci ha ricordato di praticare le opere di misericordia corporali e spirituali, come insegnato da Gesù. Delle prime c’è un preciso elenco nel vangelo: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, Mt 25,35-36.
I verbi della salvezza umana sono i più quotidiani del nostro linguaggio: mangiare, bere, accogliere, vestire, visitare. Dio si rapporta con noi come Padre misericordioso. Noi possiamo rapportarci con lui nella misura in cui siamo misericordiosi con gli altri. La salvezza dipende non solo dal nostro rapporto con lui, ma anche dal nostro rapporto tra noi. La misericordia è allo stesso tempo vertice della perfezione divina e culmine della possibile perfezione umana.
Inoltre la misericordia di Dio non è solo perché siamo peccatori, ma perché siamo deboli e limitati, e nella nostra libertà ci siamo cacciati in un mare di sofferenze. Ridotti così, facciamo immensa compassione al suo amore infinito.
Gesù stesso, nel rivelarci la misericordia del Padre, non si presenta preoccupato prima di tutto dei peccati, ma si dice inviato “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi”, Lc 4,18. La sua compassione – termine per indicare misericordia – è rivolta ai malati d’ogni genere che gli si stringono attorno, ai soggiogati da dipendenze umilianti, alle folle abbandonate come pecore senza pastore, ai poveri in senso materiale e spirituale, alle madri o alle sorelle a cui muore una persona cara.
Il suo rapporto coi peccatori è discreto, come di chi capisce senza parlare. Più che parlare di peccato, va a pranzo con loro. Appena li trova disponibili, perdona e basta, perché sa che dinanzi al peccato le forze umane soccombono. Accetta la morte di croce per nostro amore, ma senza metterla in rapporto col peccato. Lo faranno gli interpreti della sua morte e risurrezione, specialmente l’apostolo Paolo e l’evangelista Giovanni.
Infine abbiamo imparato che misericordia è anche il nome della chiesa e di tutto quello che è chiamata a fare nel mondo. Se continua l’opera di Cristo nella storia, la sua attività catechetica, sacramentale e caritativa dev’essere sulla linea della misericordia. La storia della santità della chiesa è storia di misericordia realizzata, mentre la storia dei limiti umani della chiesa dimostra che anch’essa ha bisogno della misericordia di Dio. È vero che sembra scomparso il senso del peccato, ma s’era attenuato anche il senso della misericordia.
Dopo millenni in cui si è insistito nel denunciare il peccato, è ora di dare la precedenza all’annuncio della misericordia. La catechesi dovrà essere improntata al linguaggio della misericordia. Un conto è dire: tu sei peccatore, se non ti converti vai all’inferno; altro è dirgli: Dio ti ama e vuole abbracciarti nella sua misericordia. All’intransigenza sulla norma generale deve succedere lo sguardo misericordioso sul caso particolare.
L’umanità di oggi è ferita. Papa Francesco ha paragonato la chiesa a un ospedale da campo, e l’ha invitata a uscire per andare a raccogliere i feriti e guarirli con la medicina della misericordia. Non bisogna aver paura di toccare le piaghe, di metterci il dito e di fasciarle, perché sono del Crocifisso. Per ora dolorose, ma alla cura della misericordia sono destinate a diventare le piaghe gloriose del Risorto.
Il Natale che arriva nel calendario, ci presenta ancora una volta il Bambino che tutti vorrebbero abbracciare. Ma è lui che vorrebbe abbracciare tutti nella misericordia che viene a portarci. Buon Natale.