MANCA LA PAURA DELLE ISTITUZIONI

il rapporto scuola-famiglia
By antonio sanfrancesco
Pubblicato il 3 Aprile 2018

“Le regole, la disciplina, il controllo emozionale – afferma Federica Mormando, psichiatra e psicoterapeuta – non sono trasmesse dalla società e tanto meno dalla scuola, finita in balia d’ignoranza e assenza di etica”.

A gennaio Giuseppe Busà, insegnante di educazione fisica alla scuola media Vittorini di Avola (Siracusa), è stato mandato all’ospedale con una costola rotta perché ritenuto “colpevole” da due genitori di aver rimproverato il loro figlio di 12 anni. “Non torno più a scuola. Non ci sono le condizioni – ha detto il professore dopo il pestaggio – sono un uomo privo di forze, sono cardiopatico, ho una coronaria chiusa. Ho dato tanto nella mia vita. Ho detto a mia moglie che sia io, sia il ragazzino, siamo vittime di un sistema, intendo sociale, che non va più bene”.

Il 1° febbraio a Santa Maria a Vico, provincia di Caserta, nell’istituto tecnico commerciale Ettore Majorana, un alunno di diciassette anni di Acerra perde la testa, tira fuori un coltello e sfregia al volto con un coltello a serramanico la sua professoressa d’italiano, Franca Di Blasio, per vendicarsi di una nota ricevuta per scarso rendimento in classe. A metà febbraio a Foggia un professore, Pasquale Diana, vicepreside della scuola media Leonardo Murialdo è stato colpito dal genitore di uno studente di prima media, che ora è indagato, con un potente pugno al viso e, quando è caduto a terra, con calci all’addome. Un pestaggio vero e proprio, avvenuto nei corridoi dell’istituto sotto gli occhi dei suoi alunni. La “colpa” del professore? Aver rimproverato il figlio del suo aggressore perché all’uscita da scuola spingeva e rischiava di far cadere le compagne in fila davanti a lui: il professore ha preso per il braccio il ragazzo e lo ha allontanato dalla fila. A casa l’undicenne avrebbe invece raccontato che il professore lo aveva picchiato. Senza verificare la versione del figlio, il giorno successivo, l’uomo si è precipitato a scuola e si è scagliato contro il professore che, sentendo voci concitate nel corridoio, si era affacciato dall’aula dove stava per iniziare la lezione. Il prof non ha reagito nel timore di spaventare ancora di più i ragazzi che erano in classe. Poi ha spiegato: “Non l’ho fatto perché avevo gli occhi del figlio di chi mi stava aggredendo e dei miei ragazzi addosso. Noi abbiamo fatto tante lezioni sul rispetto delle regole e sul linguaggio non violento, reagendo avrei annullato tutto quello che avevo cercato di insegnare loro e non me lo sarei mai perdonato”. Al ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli che l’aveva chiamato per esprimergli solidarietà, il professore è stato chiaro: “Le ho detto che noi insegnanti siamo in trincea, in prima linea e occorre che finalmente ci sia un giusto riconoscimento per il ruolo che viene svolto dagli insegnanti”.

La scrittrice Caterina Soffici nel libro Italia yes, Italia no sulla sua esperienza dopo essersi trasferita con la famiglia a Londra che “alla Darwen Vale High School, nella contea del Lancashire, settanta professori hanno picchettato i cancelli in segno di protesta contro il vandalismo e le minacce degli studenti. Avevano sequestrato i cellulari di alcuni bulletti da social network. È dovuta intervenire la polizia per evitare una rivolta violenta”.

In Trentino si sta discutendo se precisare nella pagella scolastica che la bocciatura di Tizio o Caio è dovuta a questo o quel professore. Esponendo, magari, l’insegnante a eventuali ritorsioni da parte di qualche bocciato, sulla scia dei sempre più numerosi episodi di cronaca degli ultimi anni, dove molti genitori si sentono autorizzati non solo a fare ricorso al Tar ma a passare alle vie di fatto e prendere a botte il “nemico”. Intendiamoci: se prendi un’insufficienza in matematica o in latino è chiaro che il tuo destino scolastico è stato deciso dal docente di matematica o di latino. Ma all’Istituto Alberghiero di Rovereto e Levico Terme, che dipende dalla provincia autonoma di Trento, guidato dal preside Federico Samaden, già fondatore in Trentino di un centro di recupero di San Patrignano, c’è chi si è posto il problema se sia meno opportuno scrivere nel giudizio finale che l’allievo Tizio “è ammesso alla classe successiva con voto di consiglio di cinque favorevoli e quatto contrari. Il professore Caio ha espresso voto negativo per…”. Una segnale di trasparenza? Può darsi. Ma il fatto che i professori si pongano il problema la dice lunga del clima di intimidazione che si è creato nei loro confronti.

I casi di cronaca degli ultimi mesi sono solo la punta dell’iceberg. È da anni che il fuoco cova sotto la cenere. Litigi, ricorsi al Tar, minacce verbali. Senza contare tutte quelle aggressioni che restano tra le mura scolastiche e non hanno strascichi penali ma creano ugualmente tensioni. Il blog Skuola.net ha raccolto alcuni dati allarmanti: tra coloro i cui genitori hanno partecipato ai colloqui (la stragrande maggioranza, 8 su 10), il 7 per cento riporta un litigio tra uno dei prof e il proprio genitore. Questi fenomeni sono più presenti al Nord (12 per cento) e nelle scuole professionali (20 per cento). Nella metà dei casi il litigio si limita a insulti o comunque si ferma alle parole. Nell’altra metà dei casi, invece, diventa violenza fisica che può partire sia dai genitori che dai docenti.

“Il Sessantotto ha insegnato la protesta fine a se stessa e ha distrutto i valori fondanti”

I genitori in cattedra e i professori in trincea. Una scuola sottosopra. Federica Mormando è psichiatra e psicoterapeuta. Specializzata in metodologia montessoriana ha fondato negli anni ottanta l’unica scuola italiana dedicata ai bambini ad alto potenziale intellettivo. “Mancano fattori di resilienza, per tutti, figli e genitori”, la sua diagnosi. “L’unità solidale della famiglia, a prescindere dalle liti interne, è un optional poco gettonato. Le regole, la disciplina, il controllo emozionale non sono trasmesse dalla società e tanto meno dalla scuola, finita in balia d’ignoranza e assenza di etica. Anche il merito, anche la promozione solo a chi sa, è etica: la scuola sta tradendo la sua missione di buon insegnamento. Manca la paura delle istituzioni, si pensa che non siano puniti granché i criminali. Tutto lo sfascio s’innesta su una quantità di persone primitive, che non sopportano di perdere, vivono qualunque contraddizione ai propri desideri come una lesione insopportabile dell’io. Non essendo dotati di logica se non di quella primordiale (abbatti il nemico), eliminare chi gli pare o è nemico è l’azione che gi viene spontanea. Non scordiamo l’assenza di religiosità e neppure gli esiti della legge Basaglia per cui i pazzi sono in strada, in famiglia, e pure compatiti come se un delitto compiuto da un disturbato fosse meno un delitto. Non scordiamo la frequente inefficacia della giustizia: quante persone segnalate, con precedenti e denunciate per stalking sono a piede libero?”.

Il rapporto tra scuola e famiglia ha qualcosa di patologico, c’è un’incomunicabilità quasi totale. Perché questa degenerazione? “Dal Sessantotto si è ucciso il senso della gerarchia e dell’autorità -, afferma Mormando – non è riconosciuto il maestro, nell’estasi dell’immediato e dell’immediata soddisfazione del sé, cioè del proprio predominio. Quindi il rimprovero è vissuto come un insulto, cui è ‘giusto’ rispondere con un’aggressione. Ovviamente non tutti i genitori reagiscono in questo modo, ma quelli che lo fanno appaiono impuniti, così come i ragazzi bulli. Alla fine l’idea che passa è quella che sia giusto o comunque permesso reagire in questo modo”.

La violenza, purtroppo, non è prerogativa solo dei rapporti scolastici. “È sempre di più nelle nostre vite – secondo Giammarco Manfreda, coordinatore nazionale della rete degli studenti delle scuole superiori – basta vedere quello che accade nella politica. Ed è entrata anche nelle scuole. Il fenomeno dei genitori aggressivi esiste”.

Conferma Mormando: “Non solo quelli scolastici, tutti i rapporti sono gestiti con la violenza che è insegnata dappertutto, dai politici ai film di moda, alla stessa scuola che poco insegna a ragionare. I violenti non conoscono altro che l’insulto e la prevaricazione. Non conoscono la dialettica né sanno mettersi in discussione”. Oggi la stragrande maggioranza degli adolescenti sono figli unici, non di rado iper protetti da genitori ansiogeni che considerano ogni difficoltà per il figlio una minaccia insopportabile. “Non sempre l’essere figlio unico – spiega Mormando – porta a un atteggiamento di questo tipo. Certo i figli unici non sono abituati a condividere, però vedo tanti fratelli e sorelle che sono rivali e anche da adulti non si frequentano. Basti guardare le liti per l’eredità”.

Forse, però, anche gli insegnanti, che pure sono vittime, hanno qualcosa da rimproverarsi. “La viltà. La frequente ignoranza. La frequente incapacità d’insegnare. Bisogna però riconoscere – risponde Mormando – che non sono appoggiati né protetti da nessuno. Non si può andare a insegnare come alla guerra”.

La questione, di là dei casi di cronaca, è più complessa. Ad esempio, i genitori di oggi ritengono ancora di avere qualcosa da insegnare ai propri figli? “Pochissimi hanno le idee chiare, nota Mormando – tra manuali e insicurezze, al primo ostacolo mandano i figli dallo psicologo. Sono gli eredi del Sessantotto, che ha insegnato la protesta fine a se stessa e ha distrutto i valori fondanti. Pochissimi riflettono su ‘che bambino vogliono’ per poi essere coerenti con i principi scelti. Inoltre, in troppi danno esempi di mancanza di principi etici, di solidarietà. Anche di gioia di vivere, di gioia di lavorare, di fiducia in sé e nei loro figli”.

In un commento su La Stampa, lo scrittore Antonio Scurati ha scritto che “la nostra epoca si sta avviando al tramonto della pedagogia. Dopo l’evaporazione del Padre, ora assistiamo all’eclissi del Maestro”. È d’accordo Mormando? “In parte sì. Ma non generalizziamo. Di recente – risponde –  ho partecipato a un convegno organizzato all’università Bocconi da un gruppo di studenti di Giurisprudenza: intelligenti, rispettosi, con il futuro nello sguardo. Purtroppo si dà molto più peso nella comunicazione ai peggiori, così pare che tutti i giovani e tutti gli insegnanti siano degradati. La ricerca del maestro, del modello, ricerca conscia o no, è vivissima, più che mai, e se in infanzia o in adolescenza, se ne trova uno non lo si abbandona. Per questo bisogna che gli adulti consapevoli sappiano di avere una grande responsabilità verso tutti i giovani e che anche una parola casuale, anche un incontro rapido, possono lasciare un segno importante nella vita di una persona”.

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