“MAMMA MIA FA’ PRESTO”

“Gabriele, dice il suo direttore padre Norberto, fin dall’inizio della vita religiosa desidera di morire giovane e ne chiede la grazia al Signore”. E sembra che il Signore lo abbia ascoltato. Al manifestarsi della malattia a chi gli suggerisce di implorare la guarigione, come già facevano per lui confratelli e persone amiche, Gabriele risponde: “Mi lasci domandare piuttosto una buona a santa morte”. Lui si avvicina con gioia all’incontro definitivo con il Signore.

Domenica 16 febbraio 1862 Gabriele, sorretto amorevolmente da premurosi confratelli, scende in chiesa per l’ultima volta e si comunica con grande fervore. I pochi fedeli presenti lo vedono comparire e scomparire esile e raccolto: conserveranno la visione di quell’angelo come un dolce ricordo da raccontare a figli e nipoti quando sul suo sepolcro cominceranno a sbocciare miracoli a grappoli.

Poi Gabriele si mette a letto: non si alzerà più. Lunedì 17 febbraio riconosce dal passo padre Norberto, apre la porta e lo chiama. Povero Gabriele! Una tosse acuta e insistente gli squassa il petto e gli gratta la gola. Una violenta emottisi lo sta uccidendo; il sangue gli gorgoglia in bocca ed esce a fiotti. Il medico, subito accorso, gli resta vicino tutta la notte, stupito della serenità del giovane; partendo piange di commozione per aver visto quanto e come soffre quell’ “angioletto”.

Il direttore lo avverte che è bene ricevere il viatico. Il volto di Gabriele è percorso da un lampo di sorpresa immediatamente cancellato da incontenibile “gioia e allegrezza”. Per ricevere l’Eucaristia vorrebbe inginocchiarsi sul nudo pavimento. Accoglie il Signore “intenerito e commosso, colpito e annientato dalla grandezza di Gesù”. Chiede perdono a tutti. Attorno a lui pianto e commozione che neppure i religiosi più anziani riescono a trattenere. Cosa potrebbero perdonare a questo giovane che ha sempre tutti affascinato con la sua straordinaria bontà?

Gabriele teme di essere di peso ai confratelli che si alternano premurosi giorno e notte accanto a lui. “Frequentemente lo visitano, e non sanno staccarsene”. Assisterlo per loro è un premio, non un peso. Gabriele riconoscente dice che le cure riservategli “non si sarebbero fatte neppure a un principe”. Come ricambiarle? E i confratelli a pregarlo: “Raccomandami alla Madonna… Quando sarai in Paradiso prepara un posticino anche per noi!”. E lui “sorridendo graziosamente”, assicura che lo farà. “Spero, dice, nella misericordia di Dio e nella intercessione della mamma mia”. Seguono scene da “far commuovere i sassi”, scriverà padre Norberto.

Inchiodato “sul povero lettuccio” nessuno lo sente lamentarsi; si preoccupa piuttosto degli altri. Poche ore prima di morire vedendo confratel Vincenzo che lo assiste ormai da tempo, prega il direttore: “Lo mandi a prendere un po’ di vino buono perché ne ha bisogno”. Lo studente esce, torna, Gabriele gli sorride “a lungo e la gioia gli traspare sensibilmente anche sul viso”. Quel sorriso accompagnerà Vincenzo per tutta la vita come una soave carezza di Gabriele.

La febbre lo divora e lo fa vaneggiare, ma appena se ne accorge lui per primo ne sorride amabilmente. L’ultima notte padre Norberto, spinto dai confratelli tenta, ma inutilmente, di riposare. Il cuore gli è rimasto inchiodato vicino “al suo Gabriele, al suo caro figliolo”: si alza e torna dall’infermo che lo accoglie compiaciuto e contento. Nelle prove spirituali che lo attendono, Gabriele avrà bisogno del “suo padre”, perché solo lui lo conosce nell’intimo.

Il malato riceve con gioia l’Unzione degli infermi, si affida ai meriti della Passione di Gesù, vuole l’immagine del Crocifisso e dell’Addolorata che con trasporto bacia e stringe fortemente al cuore. Invoca con affetto la Madonna pregandola di portarlo in Paradiso: “Maria, Mamma mia, fa’ presto”. D’un tratto gli occhi di Gabriele fissano in alto un punto preciso, il volto si illumina; la Madonna è venuta a prenderlo.

Il 27 febbraio “al sorgere del sole, confortato e rallegrato dall’aiuto della divina madre” Gabriele incontra il Signore e si immerge in quella luce che non ha tramonto. La sua, è una morte “senza agonia, una dolce estasi”.

Gabriele lo aveva scritto al fratello Michele: “Compatiamo la Madonna nei suoi dolori e Lei ci assisterà nel punto della nostra morte e ci farà vedere il suo volto materno”. Questo è l’invito, insieme all’augurio, che Gabriele rivolge anche ai suoi devoti.

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