MA COME AVETE FATTO A COSTRUIRMI?

Non so se è successo anche a voi quello che è capitato a me. Ho conosciuto una bambina di tre anni e mezzo che, in occasione della nascita della cuginetta, ha detto alla mamma: “Ho capito che è nata ma non ho capito come è entrata nella pancia”. Oppure, il bambino di cinque anni il quale, alla nonna, che gli raccomandava di voler bene a mamma e papà perché gli hanno donato la vita, alzando un ditino e riferendosi ai suoi genitori, ha dichiarato: “Però non mi hanno mai detto come hanno fatto a costruirmi e a mettermi nella pancia della mamma… Che mi hanno fatto con le loro ossa?”.

Sappiamo che queste domande vengono poste già negli anni che precedono l’inizio della scuola elementare, quando lo sviluppo intellettivo spinge il bambino ad interessarsi di ciò che lo circonda. È in questo periodo, chiamato anche “l’età dei perché?”, che il bambino s’interessa del sesso, scoprendo i propri organi genitali e quelli del sesso opposto. Ma sappiamo anche che tali domande sono tutt’altro che retoriche in quando corrispondono a precisi bisogni di comprensione del mondo.

Mi sono chiesto francamente come dovrebbe comportarsi, in questi casi, un genitore. Sfogliando la letteratura psicologica si trovano risposte apprezzabili di questo tipo: “Ai bambini più piccoli si può spiegare, in modo molto semplice, che il bambino nasce grazie all’incontro di mamma e papà, perché il papà ha dei semini che entrano nel corpo della mamma che ha degli ovetti e dall’unione di un semino e di un ovetto si sviluppa il bambino… Se però il bambino fa altre domande, è il segno che ha già acquisito sue informazioni, dai media o dagli amichetti, e vuol capirci di più. In tal caso prima di dare altre spiegazioni, cerchiamo di comprendere che cosa il bambino sa e che cosa vuol sapere in più”.

Per fortuna, oggi, sul tema del concepimento, esistono libri rivolti ai bambini della prima infanzia che si servono di opportune illustrazioni esplicative. Uno per tutti: Come nascono i bambini di Maria Teresa Zannin, in cui l’amore coniugale è presentato come espressione di desiderio e di tenerezza e la gravidanza in termini di paziente e gioiosa attesa di conoscere il nascituro. Ho notato, comunque, in alcune pubblicazioni, una particolare insistenza sui dettagli, probabilmente in considerazione del prevalente uso del pensiero concreto da parte dei bambini. Dimenticando, però, che i bambini possiedono una straordinaria spiritualità aperta ai valori e ai sentimenti. E trascurando qualcosa d’importante. Che non è opportuno sapere tutto e subito. Perché, un certo alone di mistero rende più interessante la realtà, evitando di appiattirla sugli aspetti esteriori di essa.

Da parte mia, ritengo che, nel dialogo con i nostri bambini, dovremmo porre soprattutto l’accento sulla bellezza straordinaria della vita umana e sul significato profondo dell’amore come sorgente della vita. Ai genitori, invece, va ricordato che un figlio che varca la scena dell’esistenza, anche se si serve di loro per entrare nel mondo, non è nostro, non è appendice o proprietà dei genitori, ma costituisce una soggettività autonoma e compiuta. E che un bambino che compare nella nostra vita rappresenta, per noi, una straordinaria occasione di scoperta. Infatti, ciò che apprendiamo dai bambini, in termini di sensibilità, sentimento, curiosità, interessi, è molto di più di ciò che possiamo insegnare loro. Ha scritto un poeta indiano che “Gli adulti possono apprendere dai loro bambini in quanto il grande Spirito può mostrare loro numerose cose invisibili agli adulti”. Luciano Verdone