L’ex capo del dipartimento del-la Protezione civile Guido Bertolaso è stato rinviato a giudizio con l’accusa di omicidio colposo plurimo per essere stato l’ispiratore della riunione, all’Aquila, della commissione Grandi rischi, il 31 marzo 2009, alla vigilia della scossa del 6 aprile che devastò il capoluogo abruzzese provocando 309 morti. C’è una telefonata tra Bertolaso e l’allora assessore regionale alla Protezione civile, Daniela Stati, che è alla base dell’accusa sostenuta contro di lui. Il processo contro Bertolaso fa parte del procedimento satellite del filone principale sulla commissione Grandi rischi che si trova ora in Cassazione. La sentenza di condanna emessa dal Tribunale dell’Aquila contro i componenti della Commissione Grandi rischi (ribaltata completamente dalla Corte d’Appello che ha assolto tutti tranne il vicedirettore della Protezione civile Bernardo De Bernardinis) a livello nazionale e internazionale aveva sollevato la corale indignazione del mondo scientifico, ma anche dei grandi organi d’informazione.
La chiave di lettura di quella sentenza, in realtà, aveva poca attinenza con i dati fattuali del procedimento: “la scienza non si può processare, la scienza non può prevedere i terremoti e pertanto non può essere chiamata a rispondere del disastro dell’Aquila, con il processo dell’Aquila si torna indietro di diversi secoli quando fu processato Galileo Galilei” e via di questo passo. In realtà il Tribunale dell’Aquila non aveva processato la scienza, ma solo i componenti di una commissione, la più alta autorità scientifica in fatto di terremoti in Italia, venuti all’Aquila non per esaminare la questione dello sciame sismico e le sue possibili evoluzioni, ma con il compito precipuo di rassicurare la popolazione. La rassicurazione arrivò tramite un comunicato stampa e molta gente credette agli scienziati e rimase in casa. All’Aquila, dunque – qualsiasi cosa hanno detto o dicano ancora gli esclusivi circoli scientifici internazionali con il corredo delle loro autorevoli riviste – non si è processata la scienza ma scienziati che si sono prestati ad un uso politico della stessa.
Adesso tocca a Bertolaso che quell’uso politico degli “scienziati” ha praticato più di ogni altro. Dopo l’assoluzione, in appello, dei componenti della commissione Grandi rischi alcune domande però questo nuovo procedimento le pone. Primo. Non si può processare la scienza è vero e nessuno ha pensato di farlo, meno che meno i giudici del Tribunale dell’Aquila, ma si può processare l’uso politico di essa? Secondo. Se in appello sono stati assolti gli scienziati che hanno rassicurato i cittadini dell’Aquila circa gli effetti dello sciame sismico si può condannare Guido Bertolaso che all’Aquila li ha portati, come un complesso bandistico pronto a eseguire musiche a lui gradite? Non prendiamoci in giro: Bertolaso è sotto processo perché la politica alla vigilia del 6 aprile ritenne che la popolazione dell’Aquila andava rassicurata; che Giuliani, il tecnico che stava allarmando la popolazione con i rilevamenti sul radon fosse solo un ciarlatano da zittire con la calata di un’orda di scienziati che avrebbero messo la parola fine a ogni allarmismo. Bertolaso aveva una sua visione della Protezione civile molto politica, ossia di centro autonomo di potere in grado di competere con altri poteri in tempi normali e di sostituirli a tutti gli effetti nei casi di emergenza. Si è mai approfondito, ad esempio, l’esperimento di militarizzazione della città dell’Aquila dopo il terremoto? Credo che sia l’unico esempio, non solo nazionale, di ghettizzazione di un’intera città posta in una sorta di quarantena dove tutte le istanze democratiche furono azzerate e sostituite dall’autocrazia di Guido Bertolaso, dalla sua assolutistica monarchia. Per fortuna quel modello di Protezione civile non ha fatto scuola, ma gli aquilani l’hanno subita.
Ma questa è un’altra storia che non ha nulla a che fare con i processi in corso per i lutti e le devastazioni subite da una città intera.